8/11/2019
VITTORIA MELCHIONNA
La nozione di società a controllo pubblico, quale species tra le società a partecipazione pubblica prevista dal decreto legislativo 19 agosto 2016, n.75 (TUSP), è tuttora oggetto di notevoli difficoltà interpretative.
Le autorità pubbliche, che hanno dovuto applicare tale definizione nell’ambito delle loro competenze, hanno assunto negli ultimi tempi posizioni contrastanti. Di fronte al rischio, ormai sempre più concreto, di un trattamento giuridico disomogeneo l’unica soluzione sembra quella di un intervento chiarificatore e definitivo del legislatore.
Nel luglio 2019 l’Osservatorio sulla finanza locale e contabilità degli enti locali ha pubblicato un atto di indirizzo sulla precisazione della definizione di “società a controllo pubblico” ai sensi e per gli effetti di cui al TUSP, espressamente volto a sollecitare un intervento legislativo in questa direzione.
Come rilevato dall’Osservatorio nell’atto di indirizzo citato, i contrasti riguardano la sussistenza del controllo pubblico in quelle società che sono partecipate, totalmente o in maggioranza, da più amministrazioni pubbliche, ciascuna avente una frazione di capitale di minima entità. In questi casi, infatti, le amministrazioni partecipanti, singolarmente considerate, non sarebbero in grado di esercitare un controllo individuale ai sensi dell’art. 2359 c.c. a meno di esercitare un controllo congiunto tra loro. È proprio relativamente alle modalità di realizzazione di tale controllo congiunto che sono risultate le maggiori divergenze tra le autorità pubbliche intervenute sul tema.
L’art. 2, comma 1, lett. m) del TUSP definisce “società a controllo pubblico” quelle “in cui una o più amministrazioni pubbliche esercitano poteri di controllo ai sensi della lettera b)”. Quest’ultima per la nozione di controllo, da un lato, rinvia alle fattispecie previste dall’art. 2359 del codice civile e, dall’altro, dispone che, in aggiunta, “il controllo può sussistere anche quando, in applicazione di norme di legge o statutarie o di patti parasociali, per le decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all’attività sociale è richiesto il consenso unanime di tutte le parti che condividono il controllo”.
Sul punto sono state assunte posizioni discordanti. In un atto di orientamento del febbraio 2018 la Struttura di monitoraggio e controllo delle partecipazioni pubbliche presso il MEF ha affermato che il controllo di cui all’art. 2359 c.c. può essere esercitato da più amministrazioni congiuntamente “anche a prescindere dall’esistenza di un vincolo legale, contrattuale, statutario o parasociale tra le stesse”. Nel successivo Rapporto sugli esiti della revisione straordinaria delle partecipazioni pubbliche di maggio 2019 ha confermato tale presa di posizione, rilevando, peraltro, “la tendenza da parte delle società a eccepire, anche in sede giurisdizionale, la loro non appartenenza al novero delle “società a controllo pubblico” al solo scopo di eludere i vincoli imposti dal TUSP a tali società, a torto o a ragione, considerati causa di inefficienza gestionale”.
A questo indirizzo ha iniziato di recente a contrapporsi la giurisprudenza delle Sezioni riunite in sede giurisdizionale della Corte dei Conti, la quale ha espressamente considerato quale non risolutivo il richiamo alla suddetta nota di orientamento. Secondo la Corte, infatti, il controllo pubblico non può essere provato in base a delle presunzioni; al contrario, deve essere oggetto di “precipua attività istruttoria volta a verificare se, nel caso concreto, sussistano le condizioni richieste dall’art. 2 lett. b) del TUSP”. Pertanto, secondo questa impostazione il controllo pubblico “deve risultare esclusivamente da norme di legge, statutarie o da patti parasociali [omissis]” (sentenza della Corte dei Conti, Sez. Riunite in sede giurisdizionale, 22 maggio 2019, n. 16).
In successive pronunce sullo stesso caso la Corte ha ulteriormente argomentato che: “né la ratio né la lettera dell’art. 2, lett. b) ed m) sono sufficienti a sostenere che il TUSP abbia introdotto una nozione di controllo funzionale totalmente disarticolata al concetto di controllo civilistico, consentendo di configurarlo in presenza di una mera, frammentaria, partecipazione pubblica maggioritaria”. Le tre ipotesi di controllo previste dall’art. 2359 c.c. “presuppongono strumenti di controllo giuridici istituzionali […], che consentano ad un partecipante o ad un gruppo di essi di imporre alla rimanente compagine un comportamento conforme”. Sempre ad avviso della Corte, è evidente che, in presenza di più soggetti, nessuno dei quali singolarmente considerato può definire la strategia e assumere decisioni aziendali, “il controllo può sussistere solo se gli stessi, o un gruppo di essi, riescono a far prevalere la loro volontà giuridica sugli altri, attraverso forme di coordinamento istituzionalizzato, anche debole (seconda parte dell’art. 2, comma 1, lett. b) TUSP)”. Concludendo che “siffatto coordinamento deve cioè sussistere, necessariamente, ex iure (cioè in modo giuridicamente vincolante per i soci coinvolti); diversamente l’esistenza di un comportamento conforme tra più soci rileva solo come una mera regolarità statistica e non come controllo”, la Corte dei Conti sostiene una tesi opposta a quella della struttura di monitoraggio e controllo (sentenza della Corte dei Conti, Sez. Riunite in sede giurisdizionale, 4 luglio 2019, n. 17 e Corte dei Conti, Sez. Riunite in sede giurisdizionale, 29 luglio 2019, n. 25).
Nondimeno, in diversa sede la stessa Corte dei Conti ha assunto una posizione intermedia alle due principali sinora esposte. Le Sezioni riunite in sede di controllo, pronunciandosi per un orientamento generale richiesto dalla Sezione regionale per l’Umbria, hanno esaminato la questione di massima “se le società a maggioranza pubblica, partecipate da più enti ciascuno dei quali intestatario di quote inferiori al 50 per cento, siano da considerare o meno come società controllate da soci pubblici”. Da un lato, i giudici contabili hanno affermato, in linea con l’orientamento della struttura di monitoraggio e controllo, che “sia sufficiente, ai fini dell’applicazione della fattispecie delle società a controllo pubblico [omissis] che una o più amministrazioni pubbliche dispongano, in assemblea ordinaria, dei voti previsti dall’art. 2359 c.c.”. Dall’altro lato, però, la Corte segnala altresì, e ad ogni modo, l’obbligo degli enti pubblici soci di “attuare, e formalizzare, misure e strumenti coordinati di controllo” (delibera della Corte dei Conti, Sez. Riunite in sede di controllo, 21 giugno 2019, n.11).
Da ultimo, a ulteriore conferma delle sempre maggiori difficoltà che si stanno creando nell’applicazione di tutte le norme che sono previste per le società a controllo pubblico, nell’ambito delle proprie attività di vigilanza sull’applicazione della normativa in materia di prevenzione della corruzione e di obblighi di trasparenza imposti a tali società anche l’ANAC ha ritenuto di dover chiarire la sua posizione in merito. Nella delibera del 25 settembre 2019, n. 859 l’Autorità ha, infatti, affermato di considerare “la partecipazione pubblica maggioritaria al capitale sociale quale indice presuntivo della situazione di controllo pubblico”. Con una soluzione interessante l’ANAC aggiunge che spetterà alla società, interessata a rappresentare la non configurabilità del controllo pubblico, dimostrare il contrario. Si prospetta così la possibilità che nel corso del procedimento di vigilanza si apra “una fase istruttoria per la verifica della situazione di controllo in cui la società è tenuta a provare l’assenza di forme di coordinamento tra le pubbliche amministrazioni desumibili da norme di legge, statutarie o da patti parasociali […]”. È di tutta evidenza come una tale soluzione, seppur necessitata dalle lacune delle disposizioni del TUSP, aumenti le probabilità del rischio di un’applicazione incerta e diseguale delle disposizioni destinate alle società a controllo pubblico. Non a caso nella suddetta delibera la stessa Autorità comunque “auspica un intervento urgente del legislatore allo scopo di chiarire i presupposti dell’esistenza del controllo pubblico in presenza di una pluralità di amministrazioni pubbliche […]”.
In estrema sintesi ad oggi emergono, dunque, due principali orientamenti sulle modalità di esercizio del controllo pubblico congiunto. Secondo il primo il controllo congiunto non richiede particolari formalità, ma è sufficiente che risulti da comportamenti concludenti. In base al secondo, invece, il controllo deve necessariamente risultare da uno specifico vincolo legale, statutario, parasociale o contrattuale o da un coordinamento comunque formalizzato tra le amministrazioni socie se non si vuole sovrapporre, o meglio confondere, i diversi concetti di mera “partecipazione pubblica prevalente” ed effettivo “controllo pubblico”. Come osserva conclusivamente l’Osservatorio sulla finanza locale e contabilità degli enti locali appare del tutto evidente, pertanto, “l’urgenza di rimuovere l’incertezza qualificatoria sul punto e con essa il rischio di vedere, a seconda dei casi, ampliata o ridotta (in base alla prospettiva adottata dall’interprete e ai presupposti da cui si muove) la platea del comparto società a controllo pubblico, in netto contrasto con gli intendimenti del legislatore del Testo Unico (mosso dalla dichiarata preoccupazione di assicurare la chiarezza delle regole e la semplificazione normativa)”.