FRANCESCO MARTIRE
13/04/2018
Il nuovo Codice dei Contratti Pubblici (D. lgs. 50/2016 modificato con il D. lgs. 56/2017) ha recepito le indicazioni Eurostat sulla metodologia da applicare per distinguere i contratti d’appalto da quelli di Partenariato Pubblico Privato, tra cui rientrano a pieno titolo le concessioni. In particolare, la normativa stabilisce che il contratto stipulato tra una stazione appaltante ed un operatore privato possa qualificarsi come una concessione di servizi nel momento in cui preveda la traslazione del c.d. rischio operativo in capo a quest’ultimo. Il rischio operativo è connesso all’attribuzione all’aggiudicatario del diritto di gestione del servizio oggetto del contratto poiché esprime l’esposizione della sfera patrimoniale di quest’ultimo alle fluttuazioni della domanda e dell’offerta del mercato in cui il servizio viene erogato. A ciò deve aggiungersi la traslazione del c.d. rischio di costruzione, associato ad una serie di fattori quali il ritardo nei tempi di consegna, il non rispetto degli standard progettuali, gli inconvenienti di tipo tecnico ed il mancato completamento dell’opera. Se ricorrono questi presupposti, il contratto pubblico, rientrando nella categoria delle concessioni, può essere qualificato come off balance-sheete cioè fuori bilancio, poiché il costo dell’investimento strumentale alla realizzazione dell’opera non può essere iscritto nel bilancio della stazione appaltante quale componente di spesa.
In questo contesto, è in corso un intenso dibattito sulla natura giuridica dei Contratti di rendimento energetico (EPC) stipulati dalla PA con le Società di servizi energetici (ESCO) per la realizzazione di interventi di riqualificazione energetica del parco immobiliare pubblico. Tale schema contrattuale regola un particolare tipo di operazione economica che si caratterizza per l’affidamento dell’attuazione di una misura di efficientamento energetico su edifici di proprietà e/o occupati dalla PA ad un soggetto specializzato nella fornitura di servizi energetici, il quale si fa carico dei costi dell’investimento e basa la propria remunerazione sulla quantità di risparmio energetico effettivamente conseguito a seguito dell’intervento migliorativo.
L’EPC si può dunque qualificare, nel caso di specie, come un contratto pubblico che deve essere conforme alla disciplina contenuta nel Codice degli Appalti. Problemi sorgono, tuttavia, nel momento in cui partendo dal presupposto che tali contratti rientrino nella generale categoria degli appalti misti a prevalenza di servizi, come confermato anche di recente da ENEA (RT/2017/39/ENEA), ci si chieda se essi debbano essere qualificati come appalti in senso stretto o come concessioni di servizi. Infatti, la classificazione in un senso o nell’altro comporta rilevanti conseguenze pratiche poiché da essa dipende la scelta del tipo di gara da seguire per l’aggiudicazione del contratto e la possibilità di non contabilizzare le spese degli interventi di riqualificazione, in caso di applicazione del regime concessorio. Evidentemente la questione deve essere risolta alla luce di quella disciplina, cui si è precedentemente accennato, che individua nella modalità di allocazione tra le parti dei rischi operativo e di costruzione il parametro di riferimento per la determinazione della natura giuridica del contratto pubblico. Per questo motivo, la soluzione del problema della natura dell’EPC non è univoca, ma dipende dalla specifica architettura giuridica del contratto che, è opportuno precisare, non è oggetto di una disciplina specifica ed autonoma e deve di conseguenza essere qualificato come contratto atipico. Dunque, se il rapporto contrattuale non è configurato in modo tale da trasferire il rischio dell’operazione di efficientamento sulla ESCO il contratto sarà qualificabile come appalto di servizi, con conseguente necessità di applicazione del relativo regime giuridico e di inclusione nel bilancio della stazione appaltante delle relative spese; al contrario, nel caso in cui le caratteristiche delle prestazioni dedotte nel contratto producano questa traslazione, all’EPC sarà applicabile il regime concessorio.
Le considerazioni suesposte chiariscono che l’applicazione della disciplina codicistica alla figura dell’EPC impedisce di inquadrare a priori questo schema contrattuale nella categoria degli appalti o delle concessioni di servizi. Ciò sembra coerente innanzitutto con la natura atipica del contratto, che non può essere interamente ricondotto a nessuna delle tipologie espressamente normate dal Codice civile, e con la volontà del legislatore di non disciplinare le sue caratteristiche in modo specifico e vincolante, al fine di garantirne la massima adattabilità alle singole operazioni di efficientamento energetico.
Ciononostante, si segnala che nell’ottobre 2017 sono state pubblicate da ENEA le nuove Linee guida per la stipula dei contratti di rendimento energetico per gli edifici della PA che assumono che l’EPC debba essere qualificato come appalto di servizi. Tale approccio è di certo finalizzato a garantire una maggiore certezza dei rapporti giuridici intercorrenti tra PA ed operatori privati ed a tutelare il potere di controllo della stazione appaltante nella fase di esecuzione del rapporto contrattuale, che risulta meno intenso in caso di trasferimento al soggetto aggiudicatario del diritto di gestione del servizio oggetto del contratto, come avviene in caso di applicazione del regime concessorio. Inoltre, le Linee guida affermano che “la scelta della procedura di aggiudicazione è strettamente normata dal nuovo codice dei contratti pubblici e che occorre analizzare caso per caso i singoli EPC per verificare in essi la corrispondenza dei loro contenuti ai requisiti richiesti per confezionare una gara come appalto di servizi o come concessione di servizi”. Tuttavia, il punto è che esse assumono una posizione ben precisa in relazione al problema della natura giuridica dell’EPC che, pur essendo esclusivamente strumentale alle esigenze di regolazione di tale fenomeno contrattuale, potrebbe condizionare in modo rilevante l’attività sia degli operatori privati che delle stazioni appaltanti, specialmente per le conseguenze economiche e giuridiche che derivano dalla scelta in favore della disciplina dell’appalto o della concessione di servizi.