3/06/2024
A cura di Gian Marco Ferrarini
Negli ultimi trent’anni, in particolare dai lontani tempi della Golden share, l’Italia ha manifestato grande interesse verso la necessità di proteggere un segmento della propria economia, considerato storicamente come strategico nonché essenziale per la sua stessa sopravvivenza; stiamo parlando, nello specifico, del settore dei trasporti generalmente considerato. Non è un caso, infatti, che l’impianto tradizionale delle normative protettive, compresa quella del Golden power, abbia sempre contemplato tale settore nel proprio ambito di applicazione.
Sono diversi gli strumenti di difesa di cui l’Italia dispone per fronteggiare i potenziali rischi, oggi più che mai numerosi, derivanti dalle attenzioni rivolte dagli operatori economici stranieri nei confronti delle infrastrutture sui cui poggiano i nostri trasporti, con particolare riguardo agli scali portuali. Per rendere l’idea, è sufficiente riflettere su un dato: quasi il 90% in volume del commercio internazionale passa via mare. L’importanza dei porti, in termini economici, strategici e politici è divenuta, dunque, tema di dibattito pubblico.
Le cause di questo scenario sono da rinvenirsi, anzitutto, in una serie di eventi: si pensi, ad esempio, alla crisi della logistica causata dalla pandemia e dalla guerra in Ucraina. Tali accadimenti hanno rappresentato nuove opportunità per alcuni competitor internazionali, in primis la Cina, la quale ha con il tempo assunto un ruolo da protagonista indiscusso nell’ambito di alcune operazioni societarie aventi ad oggetto l’acquisizione di terminali europei. In realtà, il suo interesse verso gli scali portuali, e in particolare, per il controllo della logistica, risale già al 2014, anno in cui la società cinese COSCO ha acquisito il 51% della spagnola Noatum Port Holdings, gestore del più grande terminal container nel porto di Valencia. A questa operazione, hanno poi fatto seguito, nel 2016, l’acquisto del 35% del terminal Etr Euromax della città di Rotterdam e quello ancor più discusso del 51% della Port Authority del Pireo, la società che gestisce il porto della città di Atene che era stato, tra l’altro, da poco privatizzato per far fronte alla grave crisi economica che aveva travolto il Paese. Attraverso queste poche ma incisive operazioni, infatti, la Cina è riuscita ad assumere il controllo, non solo di uno degli scali più importanti del Mediterraneo (il Pireo) ma anche del Mare del Nord.
Alla luce di quanto detto, nonostante sia pacifico che tali operazioni societarie siano in grado di apportare notevoli benefici ai porti in termini di efficienza, non può, tuttavia, non tenersi conto anche della prospettiva strategica; infatti, non si tratta qui di fenomeni isolati: la penetrazione cinese degli scali europei è un fenomeno reale che solleva numerose preoccupazioni, con particolare riguardo alle sue implicazioni politiche.
A questo punto una domanda sorge spontanea: possono i nostri porti considerarsi al riparo da ingerenze straniere? E, soprattutto, il Golden power è l’unico strumento normativo di difesa di cui l’Italia può disporre per salvaguardare i propri interessi marittimi e commerciali o ce ne sono altri?
I porti possono considerarsi senza ombra di dubbio rientranti nel perimetro applicativo dei poteri speciali del Governo, essendo questi ricompresi tra gli attivi strategici che, ai sensi dell’articolo 2 del D.L. 21/2012, comprendono, tra le altre cose, le infrastrutture e non le imprese di trasporto in senso stretto (il vettore marittimo). Tuttavia, l’eventuale utilizzo del Golden power assume un ruolo del tutto marginale, e la ragione di una simile constatazione si rinviene nel triplice livello di tutela di cui beneficiano i porti italiani.
Anzitutto, in virtù di interessi collettivi, nel nostro Paese, la gestione dell’intero sistema-porto è attribuita a enti pubblici non economici che, in quanto tali, sfuggono a logiche di mercato e, pertanto, non possono considerarsi contendibili da società straniere. Tali soggetti sono altresì sottoposti ai poteri di indirizzo e vigilanza del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. In sostanza, rispetto alle autorità di sistema portuale, i rischi di ingerenze straniere sono ridotti al minimo. Tutt’al più, la questione può porsi nei confronti di quei soggetti, imprese commerciali, dai quali dipendono una serie di attività, come quelle di movimentazione, rimorchio, trasbordo, stoccaggio, e altri servizi essenziali. Si tratta, cioè, degli operatori di logistica ma, anche, ad esempio, dei terminalisti; a tali società, l’autorità di sistema portuale, che dispone di un semplice potere di programmazione, affida tramite provvedimento concessorio le singole aree e i lavori. In questo particolare contesto non si esclude che l’esercizio del Golden power possa fungere da adeguato strumento di tutela, anzi, la prassi sembra confermarne l’efficacia: si pensi, a titolo di esempio, alla notifica di importanti operazioni nella logistica portuale, come l’avvenuta acquisizione di una quota di maggioranza della Piattaforma Trieste S.r.l. da parte della tedesca Hhla International Gmnh. Tuttavia, in una situazione del tipo appena delineata, l’esercizio dei poteri speciali dovrebbe considerarsi una extrema ratio, poiché se è vero che la disciplina giuridica prevede in questo caso il rilascio di una concessione per l’esercizio di tali attività, gli interessi pubblici, allora, possono e devono tranquillamente considerarsi al riparo da eventuali ostilità, dal momento che spetta alla pubblica autorità il rilascio del titolo concessorio, senza che si ponga quindi la necessità di ulteriori interventi governativi. Ecco spiegato il motivo per il quale, ad oggi, non vi sono mai stati utilizzi rilevanti del Golden power in questo settore.
Forse, al più, potrebbero ritenersi giustificate le preoccupazioni di coloro i quali ipotizzano l’eventualità di una trasformazione delle autorità di sistema portuale in società di capitali, nella forma delle società per azioni. Ad ogni modo, anche ammettendo una simile circostanza, il legislatore, a tutela degli interessi pubblici, come già avviene nel settore degli aeroporti, dovrebbe disporre in tal caso l’ascrivibilità di tali soggetti alla categoria delle società di capitali di diritto speciale, ove vi sono requisiti stringenti in termini di partecipazioni, assetti di potere e governance. La disciplina speciale, pertanto, garantendo un rilevante controllo delle attività poste in essere dagli operatori coinvolti nelle attività di gestione, finirebbe per rendere residuale l’utilizzo del Golden power quando questo non risulti del tutto inutile. Inoltre, per comprendere meglio come si atteggino le diverse normative nell’ipotesi di un loro concorso, si ritiene opportuno riportare di seguito, a titolo esemplificativo, un caso inerente alla gestione aeroportuale. Il caso riguarda, nello specifico, l’acquisto da parte di F2i Aeroporti 2 S.r.l. del 79,80% della azioni di Geasar S.p.A., gestore dell’aeroporto di Olbia-Costa Smeralda. Nonostante l’attivazione dei poteri speciali potesse in tale circostanza essere considerata una strada percorribile, il Governo, ha, però, tenuto conto anche del fatto che l’operazione notificata rientrava a pieno titolo nel perimetro applicativo di una convenzione conclusa tempo prima tra ENAC e Geasar S.p.a. Pertanto, ha trovato applicazione l’articolo 4 del D.P.R. 85/2014, secondo cui deve escludersi l’esercizio dei poteri speciali ogni qual volta “sussista una specifica regolamentazione di settore tale da garantire la tutela degli interessi essenziali dello Stato.”
In conclusione, ciò che giustifica oggi l’assenza nel settore dei trasporti di provvedimenti di esercizio dei poteri speciali, è la presenza di plurime normative, tutte ugualmente idonee a tutelare gli interessi pubblici. Nel caso specifico di cui si è discorso, ossia, quello dei porti, vi è, per l’appunto, un triplice livello. Il primo, consiste nella particolare natura di enti pubblici non economici dei soggetti cui è affidata la gestione dei porti, il che, li rende non contendibili né scalabili. Anche ammettendo una loro trasformazione in S.p.a., la tutela degli interessi pubblici rimarrebbe comunque assicurata, come nel caso degli aeroporti, dalla possibilità che questi assumano la particolare forma giuridica di società di diritto speciale. Il secondo livello riguarda, invece, i terminalisti. In questo caso la tutela degli interessi pubblici è assicurata dalla disciplina concessoria che condiziona il rilascio del titolo a taluni accorgimenti. Il terzo livello, infine, è rappresentato dal Golden power, che verrebbe quindi attivato solo quando gli altri strumenti non fossero in grado di garantire una adeguata tutela agli assets ritenuti strategici. Il che configura lo stesso Golden power, almeno in quest’ambito, come uno strumento eccezionale di ultima istanza. Ad oggi, pertanto, i porti italiani possono ancora considerarsi ben protetti.