di FRANCESCO MARTIRE
12/01/2018
La Commissione europea ha definito gli appalti pre-commerciali come istituto “atto a promuovere l’innovazione per garantire servizi pubblici sostenibili e di elevata qualità in Europa”. Si tratta essenzialmente di uno strumento contrattuale di approvvigionamento di beni e di servizi non ancora esistenti sul mercato, caratterizzati da una componente fortemente innovativa. L’oggetto del contratto consiste nella fornitura di un servizio di ricerca e sviluppo, escludendosi il lavoro o la fornitura di beni, potendosi solamente prevedere la realizzazione di prototipi o servizi in serie ma solo a fini sperimentali. Non è ammissibile, al contrario, un utilizzo della procedura in questione per svolgere attività di sviluppo commerciale, producendo e fornendo prodotti per testarne la redditività o recuperare i costi che derivano dall’attività di ricerca.
Univoca è la finalità di questi peculiari contratti pubblici: individuare soluzioni, tecnologiche ma non solo, innovative e più efficienti rispetto a quelle reperibili sul mercato. Duplici sono le conseguenze che da essa derivano: la non applicabilità della disciplina degli appalti, sia europea che nazionale, in forza dell’art. 14 Dir. 2014/24/UE e dell’art. 158 d.lgs. 50/2016 (ferma restando l’applicabilità dei principi generali cui sono assoggettabili tutte le procedure ad evidenza pubblica); la natura intrinsecamente aleatoria dello scopo contrattuale, non essendo richiesta la certezza sull’effettiva riuscita dell’attività di ricerca.
La determinazione degli appalti qualificabili come pre-commerciali è affidata dalle disposizioni citate ad un procedimento logico per esclusione, stabilendosi che la normativa appalti “si applica solamente ai contratti per servizi di ricerca e sviluppo identificati con i codici CPV da 73000000- 2 a 73120000-9, 73300000-5, 73420000-2 o 73430000-5, purché siano soddisfatte entrambe le condizioni seguenti: a) i risultati appartengono esclusivamente all’amministrazione aggiudicatrice perché li usi nell’esercizio della sua attività, e b) la prestazione del servizio è interamente retribuita dall’amministrazione aggiudicatrice”. Di conseguenza, tutte le tipologie contrattuali escluse dall’ambito di applicazione della norma ma aventi comunque ad oggetto la fornitura di servizi di ricerca e sviluppo sono riconducibili alla categoria degli appalti pre-commerciali.
La Commissione europea, a partire dal 2007, ha incoraggiato ad utilizzare lo strumento in esame per contribuire ad accrescere l’efficienza energetica nel settore pubblico. Tuttavia, il legislatore nazionale nell’art.19, comma 1 del d.l. 179/2012 convertito con la legge 221/2012, dove sono indicati specificamente gli ambiti nei quali è possibile il ricorso a questo tipo di appalti, non fa alcun riferimento alle attività di ricerca di soluzioni innovative per un utilizzo più efficiente delle risorse energetiche.
Alla luce di questo quadro normativo, il 9 marzo 2016 è stato pubblicato un comunicato del Presidente dell’ANAC, competente anche in relazione agli appalti non riconducibili alla disciplina del d.lgs. 50/2016, in cui si afferma che un ulteriore ambito in cui l’appalto pre-commerciale può rappresentare un utile, efficace e legittimo strumento è proprio quello, tra gli altri, dell’efficientamento energetico. La precisazione è sicuramente rilevante dato che proprio in un ambito come quello dell’efficienza energetica risulta fondamentale la ricerca di soluzioni sperimentali ed innovative che permettano il raggiungimento di standard ed obiettivi sempre più elevati.
Tuttavia, il 31 maggio 2017 il TAR Umbria-Perugia, Sez I, con l’ordinanza n. 428, si è pronunciato sulla portata giuridica dei comunicati resi dal Presidente dell’Autorità Anticorruzione. In particolare il Tribunale Amministrativo ha affermato che questi atti hanno natura di meri pareri, i quali non assumono alcuna efficacia vincolante per le stazioni appaltanti, in quanto rappresentano delle semplici valutazioni e/o considerazioni di tipo ermeneutico circa le disposizioni in materia di contratti pubblici. Infatti, secondo il Collegio, “non può ammettersi nel vigente quadro costituzionale un generale vincolante potere interpretativo con effetto erga omnes affidato ad organo monocratico di Autorità Amministrativa Indipendente, i cui comunicati ermeneutici, per quanto autorevoli, possono senz’altro essere disattesi”.
Più nello specifico il TAR, nell’ordinanza in questione, mette in evidenza la differenza che sussiste tra i vari strumenti ermeneutici che l’ANAC ha a disposizione ai sensi del nuovo Codice dei contratti pubblici. In particolare, mentre il potere di emanare linee guida, ai sensi dell’art.213 comma 2 d.lgs. 50/2016, si risolve nello svolgimento di un vero e proprio procedimento amministrativo, i pareri del Presidente dell’ANAC consistono in pareri atipici che escludono qualunque diritto di partecipazione e sono espressione della determinazione di un organo monocratico. Di conseguenza, essi non possono avere alcun effetto vincolante.
Per riassumere, nel contesto attuale, sulla base del solo intervento interpretativo dell’ANAC e volendo aderire alle argomentazioni del TAR, si potrebbe mettere in dubbio l’applicabilità della tipologia contrattuale in esame anche al settore dell’efficienza energetica e probabilmente, da questo punto di vista, sarebbe necessario un intervento chiarificatore del legislatore.
L’utilizzo di uno strumento di questo tipo è infatti necessario, come già sottolineato, in un settore come quello dell’efficienza energetica, nel quale è necessario adeguarsi continuamente a standard tecnologici e scientifici sempre più elevati.
A ciò si deve aggiungere, in generale, il modesto utilizzo dell’appalto pre-commerciale da parte della PA, dovuto principalmente alla mancanza di informazione sulle reali potenzialità dell’istituto.
Al contrario, le caratteristiche di questa tipologia contrattuale, ed in particolare la possibilità di condividere i rischi ed i benefici con le imprese aggiudicatarie e l’obbligo di cofinanziamento che grava sulle medesime, la rendono particolarmente idonea a rendere più efficace ed innovativa l’attività di ricerca e sviluppo nel settore pubblico, potendo peraltro costituire un valido meccanismo per integrare e coordinare, in un unico procedimento, gli strumenti generalmente utilizzati dalle amministrazioni per sostenere le attività di ricerca.
Si fa riferimento in particolare alle sovvenzioni, alle agevolazioni fiscali, all’accesso al finanziamento e alle iniziative tecnologiche congiunte, che sono sicuramente efficaci ma rappresentano anche un onere economico che grava in gran parte sul soggetto pubblico.