13 gennaio 2020
Lucrezia Vitullo
Il rito super accelerato è entrato in vigore con il decreto legislativo del 18 aprile 2016 n. 50 recante il “Codice dei contratti pubblici”.
Introdotto con l’obiettivo di realizzare risultati certi in termini di economia processuale e stabilità dell’aggiudicazione, ha sin dal principio rappresentato la fonte di animati dibattiti, divenendo in ultimo l’oggetto di una controversa abrogazione. In particolare, con il d.L.n.32 del 2019 (c.d. sblocca cantieri), il legislatore ha soppresso il rito in esame. Le ragioni di tale intervento caducatorio possono ricondursi alla dimensione teorica ed empirica.
In primo luogo, alla luce dell’esperienza applicativa, è emerso che il rito super accelerato non aveva realizzato gli obiettivi inizialmente sperati. Invero, piuttosto che realizzare la citata ratio di deflazione del contenzioso, il rito in commento aveva al contrario generato un fenomeno di “corsa al contenzioso”, con conseguente proliferazione delle controversie.
In secondo luogo, l’istituto era divenuto oggetto di questioni di incompatibilità comunitaria e di illegittimità costituzionale, cui la Corte Di Giustizia e il Consiglio di Stato avevano fornito soluzione negativa, dichiarando all’unisono l’armoniosa collocazione dell’art.120 comma 2bis e 6 bis c.p.a nell’ordinamento giuridico, come si specificherà nel prosieguo.
A fronte di tali premesse, la decisione legislativa adottata attraverso il decreto n.32 del 2019 mostra la sua natura controversa, specie con riferimento alla previsione per cui l’abrogazione non si applica retroattivamente ai processi precedenti all’entrata in vigore del decreto. Per tali processi le questioni suddette restano in auge, salvo che la Consulta, di fronte alla quale pende attualmente giudizio di legittimità costituzionale, non propenda per la soluzione affermativa. In quel caso all’illegittimità costituzionale non può che conseguire la retroattiva perdita di effetti della disciplina in esame.
A tal proposito giova ricordare che, in base a valutazioni prognostiche, la Consulta non abbia ragioni tanto solide da giustificare l’assunzione di posizioni opposte rispetto a quelle autorevolmente sostenute dalla suprema Corte europea, posizioni peraltro rafforzate in quanto condivise dal nostro supremo consesso amministrativo.
Prima di addentrarci nelle questioni affrontate bisogna partire dalla disciplina contenuta all’artt. art. 120, co. 2-bis ss. c.p.a..
Come suggerisce la sua stessa denominazione, il rito super accelerato si caratterizzava emblematicamente in quanto sanciva un termine perentorio di trenta giorni, entro i quali esperire l’impugnazione del provvedimento di (altrui) ammissione o di (propria) esclusione dalla procedura di evidenza pubblica.
L’omessa impugnazione comportava la decadenza dalla facoltà di far valere, anche mediante ricorso incidentale, l’illegittimità derivata dei successivi atti delle procedure di affidamento, ivi compreso il provvedimento finale di aggiudicazione. Il legislatore aveva in tal modo realizzato il risultato di anticipare la tutela ad una fase antecedente all’aggiudicazione, al fine di evitare regressioni del procedimento causate da iniziative di natura contenziosa riguardanti vizi accertabili nella fase preliminare. Veniva così alla luce una nuova posizione giuridica soggettiva meritevole di tutela, diversa dall’interesse all’aggiudicazione del contratto pubblico e coincidente con la definitiva delimitazione della platea dei concorrenti.
L’incisività della disposizione in esame ha indotto la giurisprudenza a considerare con tono critico e dubitativo i suoi rapporti con alcuni principi sanciti dalla Costituzione e dalle fonti europee.
Parte della giurisprudenza amministrativa evidenziava sin dal principio i tratti di problematica armonizzazione del nuovo rito con il solido quadro normativo e giurisprudenziale nel quale esso veniva a calarsi, mentre in svariate pronunce il Consiglio di Stato, al contrario, ne valorizzava i meriti.
Il quadro di incertezza ha indotto il Tar Piemonte, con l’ordinanza n. 88 del 17 gennaio 2018, a sottoporre alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea una serie di quesiti interpretativi, inerenti alla compatibilità del diritto comunitario con la normativa relativa al rito super-accelerato, con particolare riguardo all’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e all’articolo 6 e 13 della Cedu. Le richiamate disposizioni vincolano gli Stati membri a garantire il diritto alla difesa ed il rispetto dei principi del giusto processo e dell’effettività della tutela giurisdizionale. In particolare, i giudici remittenti evidenziavano che l’onere di immediata impugnativa, presidiato dalla decadenza processuale, fosse sproporzionato. Invero, tale onere era volto a far valere un interesse, quale quello all’aggiudicazione, che in quella fase era solo ipotetico e non oggetto di una lesione concreta e attuale.
Contrariamente alle premesse, la Corte del Lussemburgo si è espressa favorevolmente alla normativa italiana in esame con l’ordinanza del 14 febbraio 2019, causa C-54/18, a condizione che i provvedimenti adottati nella fase iniziale della procedura di gara siano accompagnati dall’esposizione dei motivi, così da non inficiare la materiale facoltà di conoscere i vizi di illegittimità dell’atto. Se il concorrente versa nella possibilità di cogliere le patologie del provvedimento, l’inutile decorso del termine previsto per reagire in sede giurisdizionale determina la legittima preclusione di ogni altra contestazione. Nello specifico, secondo la Corte di Giustizia, la normativa italiana, lungi dal porsi in contrasto con la disciplina comunitaria in materia di concorrenza, era capace di garantire celerità e certezza al procedimento di aggiudicazione. Alla luce di tale lettura, il ricorso poteva essere fondato anche soltanto sulla sola potenzialità lesiva del provvedimento, senza che lo stesso avesse determinato una concreta offesa delle posizioni giuridiche soggettive dell’impugnante. In altre parole, era sufficiente a giustificare il ricorso al giudice anche il solo aumento del rischio di pregiudizio futuro (rischio determinato dal maggior numero di concorrenti ammessi alla gara, di cui si chiede l’esclusione).
La precisa posizione espressa dalla Corte Di Giustizia non ha sopito il dibattito. Il d.L. n. 32 del 2019 ha abrogato il rito super accelerato, ma solo limitatamente ai processi iniziati dopo l’entrata in vigore del medesimo decreto; per i processi pendenti il rito super accelerato continua ad essere oggetto di dubbi applicativi.
Infatti, nel luglio 2019, con sentenza n. 5234, il Consiglio di Stato è nuovamente intervenuto in materia.
In tale occasione, il supremo consesso di giustizia amministrativa ha dichiarato, richiamando la sentenza sopra citata della Corte di Giustizia, che la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 120 comma 2bis e 6 bis è manifestamente infondata in relazione agli articoli 24 e 113, Cost. Ha osservato sul punto che la scelta legislativa tradottasi nell’introduzione del c.d. ‘‘rito super-accelerato’’ non è ingiustificatamente lesiva del diritto a contestare in giudizio gli atti della pubblica amministrazione, ma costituisce un ragionevole bilanciamento tra contrapposte esigenze dell’impresa partecipante e dell’amministrazione.
In ultimo, nella ricostruzione di questo articolato panorama è opportuno ricordare che il Tar Puglia, con le ordinanze n. 903 del 20 giugno 2018 e n. 1097 del 20 luglio 2018 ha investito il Giudice delle leggi della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 120, comma 2-bis, per motivi sostanzialmente coincidenti con quelli che avevano già determinato l’intervento del giudice comunitario. L’attesa pronuncia della Corte Costituzionale potrebbe, come già evidenziato, complicare il quadro prospettato, un quadro che, a seguito del decreto sblocca cantieri, avrebbe dovuto tendere, secondo le intenzioni legislative, alla chiarificazione.