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FALSITA’, OMISSIONI, RETICENZE E «MEZZE VERITA’» NELLE DICHIARAZIONI DI GARA: IN ATTESA DELL’ADUNANZA PLENARIA

26 aprile 2020

LORENA MADEO

La V Sezione del Consiglio di Stato, con ordinanza n. 2332 del 9 aprile 2020 ha rimesso all’Adunanza Plenaria la questione relativa «consistenza, alla perimetrazione e agli effetti degli obblighi dichiarativi» gravanti sugli operatori economici che intendono concorrere in una procedura di affidamento dei contratti pubblici, con particolare riguardo ai presupposti per l’imputazione della falsità dichiarativa, ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. c) ed f-bis), del d.lgs. n. 50/2016. Questione sulla quale, alla luce della recente elaborazione giurisprudenziale, è dato registrare un contrasto non ancora sopito. 

Nel caso di specie, l’Autorità portuale di Taranto bandiva una procedura aperta per l’affidamento di lavori cui partecipavano tre imprese. Dopo la pubblicazione dell’aggiudicazione, la seconda classificata veniva estromessa dalla gara, con conseguente rimodulazione della graduatoria. A seguito dei controlli sull’aggiudicataria, la stazione appaltante contestava la falsità della dichiarazione resa dal consorzio ausiliario, in quanto una consorziata di quest’ultima al momento della partecipazione alla gara non era più in possesso dell’attestazione SOA in corso di validità. La s.a. contestava che il consorzio ausiliario pur avendo avuto notizia di tale mancanza aveva comunque dichiarato di possedere i requisiti di partecipazione computando la suddetta impresa consorziata. L’Autorità portuale, conseguentemente, annullava l’aggiudicazione, rimodulando nuovamente la graduatoria a favore della seconda classifica (originariamente terza). Con sentenza n. 846 del 22 maggio 2019, il TAR Lecce respingeva il ricorso della (precedente aggiudicataria) e con sentenza n. 453 del 21 marzo 2019 respingeva il ricorso proposto dalla (precedente) terza classificata. Entrambe le imprese proponevano appello. 

Prima di affrontare la quaestio iuris demandata all’Adunanza Plenaria è necessario un breve excursusnormativo al fine di inquadrare la disciplina dei requisiti di partecipazione alle gare. Anzitutto, si premette che i requisiti di partecipazione alle gare di distinguono in requisiti di ordine generale, enucleati all’art. 80, e requisiti di ordine speciale relativi alla idoneità professionale, capacità economica/finanziaria e capacità tecniche professionali (art. 83) del concorrente. Si ricorda poi che, in materia di contratti pubblici, vige il principio di tassatività delle cause di esclusione (art. 83, comma 8) che mira a garantire il favor partecipationis. In altre parole, l’operatore economico che intenda concorrere in una procedura di affidamento dei contratti pubblici, può essere estromesso dalla stessa sulla base di una serie di motivi tassativi che riguardano la mancanza di uno o più requisiti di partecipazione di ordine generale o speciale. Per ciò che rileva in questa sede, i requisiti di partecipazione di ordine generale afferiscono all’affidabilità dell’operatore economico e costituiscono un presupposto imprescindibile affinché l’operatore possa stipulare contratti con le pubbliche amministrazioni. La mancanza (o il venir meno) di uno di questi requisiti, determina per l’operatore l’impossibilità di contrattare con le Pubbliche amministrazioni, sia attraverso l’esclusione dalla partecipazione alle procedure di gara (art. 80, comma 6) sia attraverso l’impossibilità di essere affidatario di subappalti (art. 80, comma 14). Se nella maggior parte dei casi si tratta di requisiti oggettivamente verificabili (si pensi, ad esempio, alle sentenze di condanna passate in giudicato relativi ad elenco tassativo di reati, ad i controlli antimafia oppure alle irregolarità fiscali o contributive), deve rilevarsi che esistono alcune zone grigie in cui la discrezionalità della stazione appaltante è ancora elevata. È proprio il caso dei gravi illeciti professionali, che rientrando nel genusdei requisiti di ordine generale e che, se rilevati dalla stazione appaltante, comportano l’esclusione del concorrente. Contemplati all’art. 80, comma 5 lett. c) del d.lgs. 50/2016, si tratta di illeciti tali da rendere dubbia l’integrità o la professionalità del concorrente. Tale causa di esclusione, sin dalla sua introduzione nel codice, ha animato un acceso dibattito in dottrina e, soprattutto, in giurisprudenza. La ragione fondamentale risiede nella circostanza che la norma di riferimento, nonché le relative linee guida ANAC n. 6, contengono una elencazione esemplificativa ma non esaustiva di tali illeciti, generando enormi incertezze interpretative in ordine alla portata di tale causa di esclusione, nonché, conseguentemente, in ordine ai relativi obblighi dichiarativi connessi gravanti in capo all’operatore economico. In virtù di quanto sopra rilevato, nella sentenza in esame, la V sezione del Consiglio di Stato nell’invocare l’intervento dell’Adunanza Plenaria compendia il dibattito giurisprudenziale che si è sviluppato sull’argomento. Il Giudice amministrativo rileva, infatti, che il tema attiene proprio all’obbligo che grava sui concorrenti di fornire alla s.a. ogni informazione, al fine di metterla in condizione di acquisire, e quindi di valutare tutte le circostanza e gli elementi idonei ai fini dell’ammissione al confronto competitivo. Il Consiglio di Stato, ricorda che gli obblighi dichiarativi sono posti a presidio di rilevanti e opposti interessi: da un lato quello di estromettere senz’altro dalla gara i soggetti non affidabili sotto il profilo della integrità morale, della correttezza professionale, della credibilità imprenditoriale e della lealtà operativa; dall’altro, quello di non indebolire la garanzia della massima partecipazione e di non compromettere la necessaria certezza sulle regole di condotta imposte agli operatori economici, presidiate dalla severa sanzione espulsiva. Il Collegio nella sentenza in commento ricorda che l’equilibrio tra questi due interessi va garantito da una acquisizione del principio di tipicità dei motivi di esclusione (espressamente scolpito all’art. 83, comma 8 del Codice) non limitato al profilo (di ordine formale) della mera preclusione alla introduzione di fattispecie escludenti non normativamente prefigurate (c.d. numerus clausus), ma esteso al profilo (di ordine sostanziale) della sufficiente tipizzazione, in termini di tassatività, determinatezza e ragionevole prevedibilità delle regole operative e dei doveri informativi. È un problema che si pone, in modo particolare, per le omissioni dichiarative (ovvero per le dichiarazioni reticenti),per le quali occorre distinguere il mero (e non rilevante) nihil dicere (che, al più, legittima la stazione appaltante a dimostrare, con mezzi adeguati, «che l’operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali», diversi dalla carenza dichiarativa, idonei «a rendere dubbia la sua integrità o affidabilità») dal non dicere quod debetur (che, postulando la violazione di un dovere giuridico di parlare «giustifica di per sé – in quanto illecito professionale in sé considerato – l’operatività, in chiave sanzionatoria, della misura espulsiva»). In questo quadro, anche se non univoco (in senso parzialmente contrario, e.g. Cons. Stato, III, 23 agosto 2018, n. 5040; V, 3 aprile 2018, n. 2063; III, 12 luglio 2018, n. 4266), si è interpretato l’ultimo inciso l’art. 80, comma 5, lett. c), attribuendogli il significato di una norma di chiusura, che impone agli operatori economici di portare a conoscenza della stazione appaltante tutte le informazioni relative alle proprie vicende professionali, anche non costituenti cause tipizzate di esclusione (Cons. Stato, V, 11 giugno 2018, n. 3592; 25 luglio 2018, n. 4532; 19 novembre 2018, n. 6530; III, 29 novembre 2018, n. 6787). In senso parzialmente diverso, i giudici amministrativi hanno osservato che questo generalizzato obbligo dichiarativo, senza la individuazione di un generale limite di operatività, “potrebbe rilevarsi eccessivamente oneroso per gli operatori economici, imponendo loro di ripercorrere a beneficio della stazione appaltante vicende professionali ampiamente datate o, comunque, del tutto insignificanti nel contesto della vita professionale di una impresa” (Cons. Stato, V, 22 luglio 2019, n. 5171; Id., V, 3 settembre 2018, n. 5142). 

In base a tale orientamento, più sostanzialista, occorre distinguere tra:

  1. Omissione delle informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione, che comprende anche la reticenza, cioè l’incompletezza con conseguente facoltà della stazione appaltante di valutare la stessa ai fini dell’attendibilità e dell’integrità dell’operatore economico (cfr., Cons. Stato, V, 3 settembre 2018, n. 5142)
  2. La falsità delle dichiarazioni, ovvero la presentazione nella procedura di gara in corso di dichiarazioni non veritiere, rappresentative di una circostanza in fatto diversa dal vero, cui conseguirebbe per contro, l’automatica esclusione di gara.

Il Collegio, però, precisa che tale distinzione può essere approfondita e precisata distinguendo:

  1. La falsità di «informazioni» fornite (lettera c-bis), di «dichiarazioni» rese e di «documentazione»presentata (lettere f-bisf-ter e comma 12);
  2. Attitudine «fuorviante» delle informazioni (intesa quale suscettibilità di influenzare il processo decisionale in ordine all’esito della fase di ammissione);
  3. Mera «omissione» di informazioni dovute.

Ad avviso del Collegio, è dunque necessario, differenziare la posizione del concorrente che abbia fornito, anche per negligenza, informazioni false o fuorviante, rispetto alla posizione del concorrente che abbia omesso informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di lezione, stante sia la diversa natura degli obblighi, sia le diverse conseguenze. Sotto il primo profilo, «la falsità come predicato contrapposto alla verità, costituisce frutto del mero apprezzamento di un dato di realtà, cioè di una situazione fattuale per la quale possa alternativamente porsi l’alternativa logica vero/falso, accertabile automaticamente» senza alcun giudizio discrezionale, ed anche in sede giudiziale, in virtù della pienezza dell’accesso al fatt0 garantita dalle regole del processo amministrativo (art. 64 d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104).

Viceversa, la valutazione nel merito dell’omissione spetta unicamente alla stazione appaltante, ed in quanto frutto di un apprezzamento ampiamente discrezionale, non potrebbe essere rimessa all’organo giurisdizionale, ma andrebbe necessariamente effettuata dalla stazione appaltante. Inoltre, mentre le dichiarazioni false comportano sempre ed automaticamente l’esclusione (e la segnalazione all’ANAC, ex art. 80, comma 12), per quanto riguarda le dichiarazioni semplicemente omesse- ad avviso dell’ordinanza di rimessione del Consiglio di Stato- si pone l’alternativa tra la tesi dell’automatica esclusione, sostenuta dai sostenitori della tesi formalistica della natura finale dell’obbligo dichiarativo, e la tesi della rimessione al previo e necessario filtro valutativo della stazione appaltante, affermata dalla giurisprudenza che ha interpretato l’obbligo dichiarativo del concorrente quale obbligo strumentale, in chiave sostanzialistica. A fronte di tale contrasto giurisprudenziale, irrisolto, la sentenza in commento ha operato il rinvio della questione all’Adunanza Plenaria. La decisione sarà certamente l’occasione per i giudici di Palazzo Spada per una disamina di ampio respiro su una materia che, negli ultimi due anni, ha sollevato non poche questioni.

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