26 aprile 2020
ARIANNA OTTAVIANI
La sentenza del T.A.R. Puglia sez. II – Bari, n. 1156 del 21 Agosto 2019 ha ad oggetto l’applicazione dell’istituto dell’outsourcing nel settore della sanità pubblica e privata alla luce del recente regolamento del 21 gennaio 2019 n. 4 della Regione Puglia.
La pronuncia del T.A.R. Puglia rappresenta l’esito del ricorso proposto da un insieme di soggetti quali l’Associazione “Welfare a Levante”, Sater s.r.l., la Fondazione “Il vivere insieme” Onlus, Verde Età società cooperativa sociale, Villa Maria Martina s.r.l., Consorzio S. Antonio, Pa.E.Ca. s.r.l. per chiedere l’annullamento del regolamento 21 gennaio 2019 n. 4 della Regione Puglia limitatamente agli articoli
5.3 e 6.3 con i quali la Regione modificava i requisiti minimi organizzativi delle residenze sanitarie assistenziale (RSA) e dei centri diurni per soggetti non autosufficienti. In modo particolare, il regolamento <<vieta ai legali rappresentanti delle RSA private e dei centri diurni per non autosufficienti di esternalizzare la gestione della struttura a soggetti terzi, permettendo l’esternalizzazione solo del servizio mensa, del servizio lavanderia e del servizio di pulizia>>.
A fronte di questo divieto apparentemente assoluto, i soggetti ricorrenti giudicavano queste condizioni organizzative particolarmente pregiudizievoli e pertanto ne deducevano l’illegittimità. In modo particolare, i ricorrenti ritenevano che il divieto imposto alle strutture fosse lesivo del principio contenuto nell’articolo 41 della Costituzione a tutela della libertà di iniziativa economica privata, dal momento che realizzava un’immotivata imposizione di una determinata forma di gestione dell’azienda.
Il T.A.R. Puglia tuttavia, ritiene il ricorso infondato.
Di questo divieto di esternalizzazione bisogna analizzare l’ambito di applicazione oggettivo (articolo 5.3 del regolamento 21 gennaio 2019 n. 4 della Regione Puglia) e la sua portata soggettiva (articolo 6.3 del medesimo regolamento).
Relativamente al primo aspetto, dal regolamento si deduce che vi siano due tipologie di attività che possono essere oggetto di esternalizzazione: la prima, che ricomprende ad esempio i servizi di mensa, lavanderia e pulizia, non è subordinata a nessuna particolare formalità per poter essere esternalizzata; la seconda categoria ricomprende invece le core activities, nel caso in esame le attività di gestione delle RSA, che possono essere esternalizzate a soggetti terzi solo dietro rilascio di una specifica autorizzazione.
Come correttamente rilevato dalla difesa della Regione, in questa seconda tipologia di attività deveindividuarsi una sub categoria in cui far rientrare tutte le core activities con un elevato profilo di interesse, come quelle oggetto della sentenza in esame perché collegate al settore della sanità. Per poter esternalizzare tali servizi la mera richiesta di autorizzazione non è sufficiente, ma è anche necessario fare ricorso alle procedure di evidenza pubblica. Di conseguenza, il divieto imposto nel settore di RSA e centri diurni per soggetti non autosufficienti non vieta in modo assoluto la possibilità di ricorrere all’esternalizzazione ma piuttosto impone che a seconda dell’attività che deve essere esternalizzata venga seguita la procedura più corretta.
Per quanto concerne l’ambito soggettivo di applicazione, il divieto apparentemente ricade sulla categoria dei legali rappresentanti della RSA.
In generale per poter svolgere attività sanitarie e sociosanitarie è necessario che la Regione rilasci un’autorizzazione all’esercizio. Questa condizione non è però solo imposta ai legali rappresentanti delle RSA ma a chiunque eserciti attività di gestione sia direttamente sia tramite procedure di outsourcing. Le autorizzazioni sanitarie hanno infatti un carattere personale, e, vista l’importanza degli interessi pubblici coinvolti (presidiati dall’articolo 32 della Costituzione), sono rilasciate ob rem ac personam, alla presenza di determinati requisiti soggettivi e oggettivi. Èproprio questo il fine ultimo della disposizione regolamentare: garantire la presenza di requisiti di moralità e professionalità in capo a tutti coloro che svolgono le attività in questione.
Un ulteriore aspetto analizzato dalla sentenza riguarda l’incidenza del divieto su vari principi costituzionali.
Secondo i soggetti ricorrenti, il divieto di esternalizzazione imposto dal regolamento comporta una immotivata restrizione nella scelta del modello di gestione aziendale e dunque una violazione dell’articolo 41 della Costituzione. Il caso ha ad oggetto il bilanciamento tra due valori costituzionalmente garantiti quali il diritto alla salute, sancito nell’articolo 32, e la libertà di iniziativa economica privata, sancito nell’articolo 41.
Tuttavia, l’articolo 3 co. 1, lett. b) del regolamento prevede testualmente che
<<la Regione stabilisce i requisiti per l’autorizzazione all’esercizio e i requisiti per l’accreditamento istituzionale>>. Di conseguenza è la Regione stessa a determinare le condizioni di esercizio della libertà di iniziativa economicaprivata in ambito sanitario.
Alla luce di quanto detto, la disposizione contenuta nel regolamento 21 gennaio 2019 n. 4 della Regione Puglia sebbene a primo impatto possa sembrare esprimere un divieto assoluto di esternalizzazione delle attività delle RSA e dei centri diurni per soggetti non autosufficienti (con l’unica eccezione per i servizi mensa, lavanderia e pulizia), in realtà tramite una lettura analitica ne è chiara la sua portata relativa. Dunque, l’esternalizzazione rimane sempre una opzione ma sottoposta ad una procedura più specifica.
In conclusione, la sentenza in esame conferma la possibilità di poter ricorrere alla pratica dell’outsourcing anche in ambito sanitario, ma è opportuno operare una distinzione tra quelle attività che rappresentano le core activities e quelle che sono di mero supporto per poter seguire la procedura più corretta in linea con i principi che regolano l’attività della pubblica amministrazione (in modo particolare la trasparenza, l’efficienza e l’efficacia).