29/04/2024
A cura di Andrea Nardone
Con sentenza 19 marzo 2024, n. 2679, il Cons. Stato, Sez. VII, è tornato nuovamente a pronunciarsi sul tema delle concessioni balneari, offrendo degli interessanti chiarimenti in merito agli effetti prodotti dalla sopravvenienza della legge 5 agosto 2022, n. 118 (Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021) sui giudizi in corso.
La pronuncia trae le mosse dall’appello promosso da una società titolare di una concessione balneare per la riforma della sentenza 3 gennaio 2023, n. 17, del T.A.R. Liguria, a mezzo della quale era stato dichiarato improcedibile il suo ricorso avverso alcune deliberazioni del Comune di Lavagna. In particolare, in primo grado la società concessionaria aveva criticato, tra l’altro, la determinazione del comune di ritirare il provvedimento del 18 febbraio 2019, che a suo tempo, in applicazione dell’art. 1, commi 682 e 684 della l. 30 dicembre 2018, n. 145 (Legge di Bilancio 2019), aveva esteso la durata della concessione di cui era beneficiaria sino al 31 dicembre 2033.
Il T.A.R. Liguria, con la sentenza impugnata, aveva dichiarato il ricorso della società improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, dal momento che, nelle more del giudizio, la proroga invocata era risultata abrogata dall’art. 3 della legge n. 118/2022. In effetti tale ultima disposizione, recependo le indicazioni delle sentenze gemelle 9 novembre 2021, nn. 17 e 18 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, aveva razionalizzato la durata delle concessioni in essere, anticipandone la scadenza al 31 dicembre 2023: secondo il giudice di prime cure la legge n. 118/2022, quanto alla sua efficacia, aveva operato alla stregua di una legge-provvedimento, provvedendo direttamente e immediatamente per tutte le concessioni balneari in essere al momento della sua entrata in vigore.
Avverso la qualificazione della l. n. 118/2022 in termini di legge-provvedimento la società concessionaria proponeva appello, evidenziando la portata asseritamente ampia e generale delle relative disposizioni. Inoltre, la società appellante censurava la sentenza impugnata per non avere considerato che la sua posizione era del tutto peculiare, dal momento che la proroga invocata le era stata accordata a seguito di una valutazione specifica, e cioè in conseguenza delle mareggiate occorse nel mese di ottobre 2018. Tale circostanza avrebbe reso inapplicabili, nella prospettazione della società, i principi enunciati nelle sentenze gemelle del 2021 dall’Adunanza Plenaria. Da ultimo, l’appellante richiedeva il deferimento del ricorso all’Adunanza Plenaria, stante la necessità di una nuova pronuncia del Consiglio di Stato nella sua suprema composizione dopo l’annullamento della pronuncia n. 18 del 2021 ad opera della sentenza n. 32559 del 2023 delle Sezioni Unite della Corte di cassazione.
Il Consiglio di Stato, con la pronuncia in rassegna, ha rigettato l’appello, confermando la sentenza impugnata e integrandone la motivazione. In primo luogo, il Collegio ha rilevato la novità delle deduzioni sulla presunta posizione peculiare della società rispetto alle censure proposte in primo grado: peraltro, contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante, dalla documentazione in atti non sarebbe stato possibile inferire che l’estensione della concessione avesse altra scaturigine se non la previsione di cui all’art. 1, comma 683 della ormai abrogata legge n. 145/2018. L’effetto di quella proroga era stato automatico e immediato, realizzandosi in via generalizzata ex lege; tuttavia, come chiarito dall’Adunanza Plenaria con le sentenze nn. 17 e 18 del 2021, la moratoria in quella sede prevista, così come le successive, doveva essere disapplicata in quanto in contrasto con il diritto euro-unitario, e segnatamente con l’art. 49 TFUE e con l’art. 12 della direttiva 2006/123/CE.
Il Collegio, in secondo luogo, ribadita l’inapplicabilità di una proroga nazionale che sia in contrasto con il diritto dell’Unione Europea, per quel che più interessa ha confermato la qualificazione operata dal T.A.R. Liguria della l. n. 118/2022 in termini di legge-provvedimento, in quanto pure quest’ultima, al pari della l. n. 145/2018, sarebbe intervenuta su un numero delimitato di situazioni concrete, recependo e legificando le concessioni demaniali già rilasciate e prorogandone il termine. Dal momento che la legge n. 118/2022 è intervenuta sulle concessioni senza mediazione alcuna del potere amministrativo, non vengono dunque in rilievo i poteri di autotutela decisoria dell’amministrazione, con conseguente esclusione della sussistenza di qualsiasi affidamento dell’appellante.
Secondo il Collegio, inoltre, l’indizione di una nuova gara non potrebbe essere esclusa per la circostanza che il rapporto concessorio era originariamente sorto pur sempre all’esito di una procedura di evidenza pubblica; né tantomeno l’obbligo di procedere a nuove gare potrebbe essere differito in attesa della valutazione, demandata all’Autorità nazionale, in ordine alla sussistenza del requisito della scarsità della risorsa naturale, essendo comunque già possibile, sulla base degli elementi disponibili, ravvisare tale caratteristica con riferimento alle aree oggetto di concessione.
Da ultimo, i giudici di Palazzo Spada hanno riaffermato la perdurante validità dei principi espressi dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con le sentenze gemelle nn. 17 e 18 del 2021, dal momento che la pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di cassazione del 23 novembre 2023, n. 32559 avrebbe inciso sulla sola sentenza n. 18 del 2021 dell’Adunanza Plenaria e unicamente per profili attinenti alla dichiarazione di inammissibilità degli interventi di enti portatori di un interesse collettivo e degli enti territoriali. Per queste ragioni, il Consiglio di Stato ha confermato la sentenza di primo grado del T.A.R. Liguria, ravvisando il difetto di interesse della società alla prosecuzione del giudizio, non potendo ella più vantare alcun titolo sull’area oggetto dell’originaria concessione. Una sentenza sulla pretesa sostanziale vantata dall’appellante, in effetti, non potrebbe che risultare inutiliter data, in quanto in alcun modo potrebbe essere conferito alla società il bene della vita richiesto.