30/10/2023
A cura di Andrea Nardone
Con sentenza 14 giugno 2023, n. 5829, il Consiglio di Stato, sez. VII, si è pronunciato a proposito del riparto di giurisdizione in materia di concessioni demaniali marittime.
La vicenda traeva le mosse dall’impugnazione, ad opera di una società concessionaria di un’area del demanio marittimo, degli atti tramite i quali il Comune di Ugento, nel leccese, aveva intimato il pagamento del canone demaniale, nonché della connessa imposta regionale aggiuntiva, per l’anno 2021. La società, difatti, contestava la debenza delle relative somme, così come quantificate dal Comune, affermando invece che, nella fattispecie, sarebbero stati ricorrenti i presupposti per l’applicazione di un canone di mero riconoscimento.
Impregiudicata ogni considerazione sul merito della vicenda, l’attenzione del T.A.R. Puglia prima, e del Consiglio di Stato poi, si è focalizzata – per ora – unicamente sui profili attinenti alla giurisdizione. Giova premettere che il criterio discretivo per individuare, nel caso che ci occupa, quale sia il giudice munito di giurisdizione deve essere rinvenuto nella disposizione di cui all’art. 133, comma 1, lett. b) del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (c.d. Codice del processo amministrativo), a mente del quale sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo «le controversie aventi ad oggetto atti e provvedimenti relativi a rapporti di concessione di beni pubblici, ad eccezione delle controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi e quelle attribuite ai tribunali delle acque pubbliche e al Tribunale superiore delle acque pubbliche». In linea di massima, dunque, rimangono estranee alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi un contenuto patrimoniale; ciò, peraltro, non è sufficiente ad escludere che simili controversie, in alcuni casi, possano comunque ricadere nella giurisdizione generale di legittimità del medesimo giudice amministrativo.
Nel corso del giudizio, in primo grado il T.A.R. Puglia si era dichiarato sfornito di giurisdizione, ritenendo che la controversia dovesse essere devoluta al giudice ordinario, riguardando il quantum del canone da corrispondere, e non già la spendita di qualche potere autoritativo o discrezionale da parte dell’Amministrazione.
Al contrario il Consiglio di Stato, con la sentenza in commento, ha accolto l’appello proposto dalla società concessionaria, affermando la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo, e per l’effetto rinviando il giudizio al T.A.R. Puglia per la sua prosecuzione. I giudici di Palazzo Spada, infatti, hanno ricostruito come «dagli atti di causa emerge con chiarezza che l’oggetto del contendere non è costituito dalla mera determinazione del quantum degli oneri concessori dovuti, quanto piuttosto dalla necessità di definire la natura giuridica del rapporto concessorio, da cui poi discende, quale conseguenza, l’imputazione degli oneri e la loro misura, secondo le vigenti disposizioni normative».
In altre parole, da una corretta individuazione della causa petendi risulta che, ad essere controversa, è innanzitutto l’interpretazione della tipologia di concessione. Quello che la società, con il suo atto di impugnazione, ha contestato all’Amministrazione è un cattivo esercizio– e non già una radicale carenza – del suo potere di determinarsi in ordine alla «meritevolezza» della concessione demaniale. Ove tale qualità fosse riscontrata, essa costituirebbe il presupposto per l’applicazione, alla concessione de qua, di un canone di riconoscimento ben più esiguo di quello preteso dal Comune. Infatti, l’art. 39, comma 2 del Regio Decreto 30 marzo 1942, n. 327 (c.d. Codice della navigazione) afferma che «Nelle concessioni a enti pubblici o privati, per fini di beneficenza o per altri fini di pubblico interesse, sono fissati canoni di mero riconoscimento del carattere demaniale dei beni».
In definitiva, la censura attorea attiene al modo in cui la Pubblica Amministrazione avrebbe adoperato le proprie valutazioni tecnico-discrezionali: vi sarebbe, dunque, a tutti gli effetti quella spendita di un pubblico potere che, sola, giustifica l’enucleazione della fattispecie tra le ipotesi di materie affidate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Come difatti ha chiarito la Corte Costituzionale nella sua sentenza 6 luglio 2004, n. 204, le materie assoggettabili alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sono contrassegnate «della circostanza che la pubblica amministrazione agisce come autorità nei confronti della quale è accordata tutela al cittadino davanti al giudice amministrativo». L’eventualità che, in un secondo momento, da siffatta operazione di qualificazione della concessione possano discendere, more geometrico, conseguenze in tema di determinazione del canone assurge, pertanto, a mero effetto collaterale, e non costituisce, se non mediatamente, l’oggetto del contendere. Le eventuali conseguenze sulla quantificazione del canone, dunque, rappresentano un aspetto subordinato e condizionato dalla corretta qualificazione del rapporto concessorio, in quanto tali inidonee – a differenza di quanto affermato dal T.A.R. Puglia – a fondare la giurisdizione del giudice ordinario.