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COME APPLICARE IL CRITERIO DEL LIMITE MINIMO DI PARTECIPAZIONE PRIVATA NELLE SOCIETÀ MISTE, QUANDO IL SOCIO PRIVATO È UNA SOCIETÀ PARTECIPATA? IL CONSIGLIO DI STATO RIMETTE LA QUESTIONE ALLA CORTE DI GIUSTIZIA

25 maggio 2020

CAROLINA QUAGLIATA

Il Consiglio di Stato (sezione V), con l’ordinanza n. 2929 dell’11 maggio 2020, ha rimesso alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ai sensi dell’art. 267 del TFUE, due questioni pregiudiziali, che incidono sulla possibilità delle società a partecipazione pubblica di partecipare a gare per diventare soci operativi privati in società miste.

Preliminarmente, si deve ricordare che le società miste (a partecipazione pubblica e privata) sono disciplinate dall’art. 17 del d.lgs. n. 175 del 2016 (Testo Unico in materia di società a partecipazione pubblica, o TUSP), che stabilisce al comma 1 che la quota di partecipazione del soggetto privato in una società mista non può essere inferiore al 30%.

La ratio di questo limite va ricondotta alla tutela della concorrenza sul mercato (rientrante espressamente tra gli obiettivi che si prefigge lo stesso TUSP, all’art. 1, e tra i pilastri dell’ordinamento comunitario), che altrimenti rischierebbe di essere alterata. Come evidenziato dal Consiglio di Stato, «al riguardo occorre distinguere lo scopo di lucro della società mista pubblico-privata da quello dall’amministrazione pubblica, che è indiscutibilmente pubblico, con la conseguenza che l’attività della società mista e i servizi che essa offre sono sottoposti a condizioni di accessibilità che un soggetto di natura esclusivamente privata riterrebbe non vantaggiose». Una partecipazione pubblica che eccedesse il 70%, di conseguenza, scoraggerebbe l’ingresso di altri soci in quel settore, e soprattutto limiterebbe eccessivamente il rischio economico del socio privato connesso alla partecipazione nella società.

Inoltre, prescrizione saliente per le società miste è che il socio privato sia selezionato mediante procedura a evidenza pubblica c.d. a doppio oggetto, con sottoscrizione o acquisto di quote societarie da parte del privato e contestuale affidamento del contratto di appalto o di concessione (ai sensi dell’art. 5, comma 9, del d.lgs. n. 50 del 2016, attuativo delle direttive n. 24/2014/UE e n. 23/2014/UE); di modo che l’attività sia sì affidata senza gara alla società mista, ma sia in concreto affidata con gara al socio privato scelto con una procedura ad evidenza pubblica. Ai sensi del comma 2, peraltro, il socio privato deve possedere i requisiti di qualificazione (generali e speciali, di carattere tecnico ed economico-finanziario) previsti da norme legali o regolamentari in relazione alla prestazione per cui la società è stata costituita, che devono essere specificati nel bando di gara.

 Secondo la stessa ratio, il TUSP impone che la durata della partecipazione privata alla società non superi quella dell’appalto o concessione (proprio perché la stessa è costituita con l’obiettivo di eseguire quei contratti pubblici).

Il caso in esame riguarda una gara a doppio oggetto bandita da Roma Capitale, «per la scelta del socio privato e per l’affidamento del servizio scolastico integrato di competenza di Roma Capitale a società per azioni mista pubblico-privata». Ritenendo la società mista pubblico-privata come migliore modello operativo per la gestione del servizio, Roma Capitale ha fissato al 51% la propria partecipazione, lasciando il restante 49% al socio privato, e ha stabilito che su quest’ultimo ricadrà l’intero rischio operativo.

Il costituendo raggruppamento tra Roma Multiservizi s.p.a. e Rekeep s.p.a, che ha partecipato alla gara, è stato tuttavia escluso sulla base del fatto che Roma Multiservizi s.p.a. è partecipata al 51% da AMA s.p.a., il cui capitale è interamente detenuto dalla stessa Roma Capitale, ente pubblico. Dopo essersi visti respinti i ricorsi al TAR Lazio, le due società hanno proposto appello al Consiglio di Stato chiedendo di pronunciarsi sulla legittimità della decisione dell’amministrazione aggiudicatrice che, ai fini del rispetto del limite del 51% della sua partecipazione alla costituenda società, ha ritenuto di dover tener conto della propria partecipazione al 100% in AMA s.p.a., a sua volta facente parte al 51% di Roma Multiservizi s.p.a..

Il Consiglio di Stato ha rimesso alla Corte di Giustizia la questione circa l’interpretazione da dare al criterio della partecipazione privata minima. In particolare si è richiesta la corretta interpretazione dei considerando 14  e 32, nonché degli artt. 12 e 18 della direttiva n. 24/2014/UE sugli appalti pubblici, e dell’art. 30 della direttiva n. 23/2014/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, anche con riferimento all’art. 107 TFUE sul divieto di aiuti di Stato.

Il dubbio di conformità al diritto dell’Unione sollevato dal Consiglio di Stato riguarda il limite minimo alla partecipazione privata, e in particolare il criterio di valutazione della partecipazione: ci si è chiesti se «ai fini della individuazione del limite minimo del 30% della partecipazione del socio privato ad una costituenda società mista pubblico-privata (limite ritenuto adeguato dal legislatore nazionale in attuazione dei principi eurounitari fissati in materia dalla giurisprudenza comunitaria) debba tenersi conto esclusivamente della composizione formale/cartolare del predetto socio, [oppure] se l’amministrazione che indice la gara possa -o anzi debba- tener conto della sua partecipazione indiretta nel socio privato concorrente».

In altre parole, ci si è chiesti se debba prevalere un criterio “formale”, che tenga conto semplicemente della natura giuridica del socio, «indipendentemente dalla composizione della sua compagine sociale e dalla natura del suo capitale»; o un criterio “sostanziale”, che tenga conto del fatto che il socio privato sia a sua volta partecipato da un soggetto pubblico.

A sostegno della prima soluzione sarebbe la tutela del principio di libertà di iniziativa economica privata (di cui all’art. 41 della Costituzione), nonché dei principi di non discriminazione e di parità di trattamento tra i concorrenti.

In senso contrario, tuttavia, si evidenzia l’esigenza di impedire elusioni dell’obbligo di cui all’art. 17 comma 1 TUSP, che potrebbe essere altrimenti aggirato da soci formalmente privati, ma sostanzialmente partecipati da soci pubblici. Inoltre, e soprattutto, si potrebbe realizzare una situazione di inefficienza del mercato, e una violazione del principio di concorrenza, in quanto si «consentirebbe a un socio privato di godere ingiustamente dei vantaggi della partecipazione pubblica, dando vita a una sostanziale rendita di posizione capace di impedire l’accesso proficuo di altri soggetti allo specifico segmento del mercato concernente la stessa attività economica».

Nel caso di specie, la società Roma Multiservizi è una società per azioni e dunque un soggetto privato; tuttavia essa è partecipata al 51% da AMA s.p.a., a sua volta interamente detenuta da Roma Capitale. Con la conseguenza che «nella costituenda società mista pubblico-privata la partecipazione pubblica sarebbe solo formalmente pari al 51%, ma di fatto ascenderebbe al 73,5%, e correlativamente la partecipazione del socio privato, formalmente del 49%, si attesterebbe al 26,5%, inferiore al limite di legge del 30%».

E deve rilevare in proposito l’importanza del ruolo del socio privato nella società mista, che rende fondamentale la disposizione di cui all’art. 17, comma 1 TUSP, ed essenziale di conseguenza il rinvio alla Corte di Giustizia per chiarirne la portata. Il Consiglio di Stato nota infatti che il coinvolgimento del socio privato per il perseguimento di fini di interessi generali si giustifica proprio per la carenza in seno alla amministrazione pubblica delle competenze necessarie di cui ha la disponibilità il socio privato; per questo deve trattarsi di un socio operativo e non di un mero socio di capitale, e la sua partecipazione deve essere adeguata, idonea cioè a rendere possibile l’attuazione dell’oggetto sociale. 

Di conseguenza, (è questo il secondo e conseguente quesito pregiudiziale) dovrebbe ritenersi coerente con i principi di legalità sostanziale, imparzialità e buon andamento (di cui all’art. 97 della Costituzione), e con quelli eurounitari di efficienza, efficacia, adeguatezza e proporzionalità, in relazione al principio di concorrenza, parità di trattamento e non discriminazione, la decisione di una pubblica amministrazione (in questo caso Roma Capitale) di escludere motivatamente dalla gara il socio privato concorrente, dopo aver valutato in concreto la sua composizione, ove la sua effettiva partecipazione alla costituenda società mista pubblico-privata, per effetto della accertata partecipazione pubblica diretta o indiretta (in questo caso, della stessa amministrazione), sia di fatto inferiore al 30%.

Si attende il parere della Corte di Giustizia.

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