LORENZO MANIACI
12 aprile 2017
In Italia, il decreto Legislativo n. 9/2008, ha reintrodotto la vendita collettiva dei diritti televisivi, sancendo che “l’organizzatore della competizione e gli organizzatori degli eventi sono contitolari dei diritti audiovisivi relativi agli eventi della competizione medesima” e che “l’esercizio dei diritti relativi ai singoli eventi spetta all’organizzatore della competizione medesima” (Artt. 3 e 4).
La Lega Calcio è quindi il soggetto preposto alla commercializzazione dei diritti audiovisivi relativi ai singoli eventi della competizione, sulla base di un mandato collettivo ex lege a commercializzare in via esclusiva, sul mercato nazionale e internazionale, i diritti audiovisivi di cui è contitolare unitamente ai soggetti che partecipano alla competizione medesima.
Sotto il profilo procedurale, la vendita collettiva è realizzata nell’ambito di un sistema di controllo che prevede un coinvolgimento ex ante da parte dell’ AGCM e dell’ Agcom.
L’organizzatore della competizione, infatti, è tenuto a “predeterminare linee guida per la commercializzazione dei diritti audiovisivi recanti regole in materia di offerta e di assegnazione dei diritti audiovisivi medesimi, criteri in materia di formazione dei relativi pacchetti e le ulteriori regole previste dal presente decreto in modo da garantire condizioni di assoluta equità, trasparenza e non discriminazione” (Art. 6, comma 1)
Le linee-guida sono pertanto sottoposte al parere dell’ Agcom e dell’ AGCM che le approvano per i profili di rispettiva competenza entro 60 giorni (Art. 6, comma 6).
Nell’ambito della valutazione delle linee guida, le Autorità hanno avuto modo di sviluppare una propria prassi applicativa, enucleando i seguenti principi:
1) la necessità di fare ricorso a procedure competitive che non lascino immotivati margini di discrezionalità all’organizzatore della competizione;
2) la definizione di una disciplina di autonoma commercializzazione da parte delle singole società sportive dei diritti rimasti invenduti e di taluni diritti secondari;
3) la necessità di individuare eventuali prezzi minimi di vendita secondo ragionevolezza, al fine di evitare che un livello di prezzi ingiustificatamente elevato potesse vanificare la finalità pro- concorrenziale della procedura di gara;
4) l’opportunità di predisporre un’offerta contenente più pacchetti anche all’interno di ciascuna piattaforma, così da promuovere la massima partecipazione possibile alle procedure.
Nel Regno Unito, l’Office of Communications(OFCOM) è l’autorità indipendente a cui risulta affidata la regolamentazione del settore delle comunicazioni.
Tale autorità, istituita nel 2002 attraverso l’Office of Communications Act, è stata tuttavia dotata di pieni poteri nel 2003.
L’Ofcom deve rendere conto del proprio operato al Parlamento, il cui controllo ne garantisce trasparenza e responsabilità
L’autorità britannica è tenuta a rendere pubblici, in un documento annuale, i suoi obiettivi e programmi di attività e ad intervenire nei soli casi in cui l’interesse pubblico non possa essere soddisfatto dall’autonoma operatività del mercato, per adottare le misure strettamente necessarie. E’ tenuta poi ad assicurare che i suoi interventi siano motivati, proporzionati e trasparenti sia nella fase decisoria che di applicazione.
L’Ofcom ha poi potere di indagine in caso di comportamenti scorretti o comportamenti anticoncorrenziali, collaborando anche con la Competition and Markets Authority, l’autorità che si occupa della tutela della concorrenza.
In particolare, ciò che per la trattazione rileva, è comprendere se l’Autorità britannica abbia come quelle italiane, un potere di valutazione preventiva circa le linee guida per la commercializzazione dei diritti audiovisivi sportivi.
In virtù dei poteri di tale autorità, in precedenza sinteticamente illustrati, si ritiene che ad essa non spetti quell’attività di valutazione preventiva in materia audiovisiva sportiva.
A sostegno di ciò, si può evidenziare come l’Ofcom sia stata più volte chiamata in causa da emittenti televisive anglosassoni rimaste escluse dall’assegnazione dei pacchetti televisivi.
Una di tali emittenti è Virgin Media, che ha richiesto l’intervento dell’Ofcom in conseguenza di un’assegnazione dei diritti televisivi sportivi, a suo dire anticoncorrenziale e svantaggiosa per i consumatori.
La denuncia di Virgin Media riguardava in particolare la vendita del pacchetto relativo alle gare in diretta della Premier League (per il triennio 2016-19) che è stato assegnato a Sky e BT Sport, per la cifra record di 6,9 miliardi di euro e che non ha consentito alle altre emittenti in gara di poter concorrere realmente per l’assegnazione dei pacchetti in questione.
Quello che occorre rilevare, è che sostanzialmente l’autorità britannica è chiamata ad intervenire solo successivamente all’assegnazione e vendita dei diritti di trasmissione degli eventi sportivi, a differenza delle autorità italiane che esprimono un parere preventivo e vincolante.
Il sistema italiano e britannico prevedono pertanto modalità di intervento temporalmente diverse, ed è realmente difficile comprendere quale sia la migliore. Una cosa è certa, prevenire è meglio che curare, tuttavia la prevenzione deve essere reale, deve garantire il raggiungimento dell’obiettivo per cui è attuata, ovvero evitare che il sistema sia malato prima ancora che venga a esistere.
Purtroppo, questo principio semplice a dirsi è spesso di difficile applicazione ed è proprio quello che avviene in Italia dove il controllo preventivo produce troppo spesso degli effetti ritardanti e finisce per far venire meno il motivo per cui è ideato.
Basti pensare a quanto sta succedendo in Italia per l’approvazione delle linee guida per il triennio 2018-2021.
L’Autorità garante, in merito alle stesse, ha dato un parere negativo (vincolante) soprattuto in virtù delle carenti indicazioni circa i soggetti che possono partecipare alla procedura di assegnazione, e la generica definizione dei pacchetti in vendita.
La Lega Calcio dovrà quindi revisionare le linee guida e pertanto la vendita è rimandata di almeno due mesi.