di Ilaria Madeo
18/01/16
Il Partenariato Pubblico-Privato (PPP) è un fenomeno talmente articolato e complesso che ancora non trova una precisa definizione né a livello italiano, né a livello comunitario. Ad ogni modo, esso in generale include un fascio di istituti caratterizzati dalla cooperazione tra settore pubblico e settore privato in cui il pubblico assume il ruolo di committente al quale spetta la definizione degli obiettivi della collaborazione e la supervisione, mentre il settore privato interviene per finanziare la costruzione dell’opera pubblica ed eventualmente gestire la fornitura dei servizi ad essa connessi.
Ebbene, l’esigenza di ricorrere a forme di PPP nasce da un lato per soddisfare le esigenze dei consumatori, i quali hanno aspettative sempre maggiori sulla qualità e, soprattutto, sui tempi di fornitura dei servizi pubblici, siano essi “sociali” o “infrastrutturali” e ciò induce ad investire; mentre, dall’altro lato i Governi, dovendo ridurre il deficit pubblico, devono conseguentemente operare tagli di spesa.
Allo stato attuale, Il PPP sembra offrire le soluzioni ottimali a tali esigenze, tant’è che negli ultimi anni esso ha assunto notevole importanza anche in alcuni ordinamenti, tra l’altro fra i più avanzati, basti ad esempio citare il Regno Unito.
Da un punto di vista interno, per quanto riguarda l’Italia, si può affermare che il PPP è stato utilizzato in maniera piuttosto residuale e come alternativa ai finanziamenti tradizionali, difatti è stato spesso contingentato dalle misure di riduzione del debito e dai tagli alla spesa, non consentendo lo sviluppo di un mercato di operatori economici capaci di assumersi rischi. Si è ricorso maggiormente a operazioni di PPP per la realizzazione di opere di piccolo e medio importo (fino a 10 milioni di euro), come parcheggi, impianti sportivi, scuole, cimiteri e progetti di sviluppo urbano mentre i settori interessati dalla realizzazione di grandi progetti (importo maggiore di 50 milioni di euro) di PPP sono state prevalentemente strade e autostrade, metropolitane e ospedali.
Al fine di dare un migliore imprinting delle differenze di tale fenomeno rispetto al resto dell’Europa, basta osservare i dati relativi agli anni compresi tra il 1990 e il 2009. Ebbene, in Italia soltanto il 2% dei progetti di opere pubbliche è stato realizzato in PPP, mentre in Francia la percentuale sale al 6%, in Spagna al 10% e nel Regno Unito la percentuale si alza notevolmente, infatti arriva ben al 67%. Quest’ultimo paese, infatti, sebbene non sia stato il primo a sperimentare programmi di PPP, è senza dubbio il paese europeo in cui il partenariato ha avuto maggior sviluppo, diventando, pertanto, il maggior modello di riferimento per il resto d’Europa. Non va, comunque, sottaciuto che questo risultato è stato raggiunto grazie all’intervento da parte del governo britannico che, a partire dal 1992, ha avviato le cd Private Finance Initiative (PFI), ovvero un programma istituzionale favorevole al coinvolgimento dei privati nella realizzazione di investimenti pubblici attraverso l’erogazione di concessioni di costruzione e gestione in presenza di condizioni di convenienza economica per il settore privato e di ottimizzazione dei costi per il settore pubblico. Obiettivo primario del PFI è stato proprio quello di portare maggiore disciplina negli appalti di infrastrutture pubbliche.
Dopo questo breve excursus, ci si può chiedere il perché in Italia le forme di PPP non abbiano avuto un simile sviluppo. La motivazione risiede nelle molteplici differenze tra i due paesi. Ebbene, tra le tante differenze che si potrebbero annoverare, risulta di notevole importanza fare una breve riflessione sul fatto che mentre in Italia alcune procedure PPP sono talmente particolari tanto da poter essere considerate procedure individuali, differentemente in Inghilterra i contratti sono quasi completamente tipizzati, tant’è che proprio la presenza di contratti standard ha permesso un simile sviluppo del PPP. Ad ulteriore riprova di tale differenza, v’è il fatto che nel sistema inglese i contratti sono redatti dalle Amministrazioni stesse, difatti le Banche e le Amministrazioni hanno un accordo diretto che permette di ridurre l’allocazione dei rischi per il contraente pubblico; in Italia, invece, le imprese devono farsi carico di ottenere il credito necessario presso le banche, le quali richiedono quasi sempre, a garanzia del finanziamento, sia il diritto di superficie che i diritti sull’opera eseguita. Ma v’è di più, in Italia permangono ancora tutta una serie di problemi tra cui la scarsa competizione presente nel settore della finanza privata nonché l’incompletezza dei contratti che implica un’allocazione dei rischi vaga e incerta. Il privato, inoltre, ha spesso la possibilità di rinegoziare ed il PEF viene rivisto a svantaggio del pubblico che purtroppo non ha esperienza in materia di PPP.
Alla luce di quanto su detto, risultano chiari i motivi che hanno causato una lungaggine dei tempi (sia dalla pubblicazione del bando di gara all’aggiudicazione della concessione, sia da quest’ultima al finanziamento) e un elevato tasso di mortalità dei progetti stessi (ad esempio nel campo della sanità meno del 10 per cento dei progetti ha raggiunto il financial close.)
Vero è che alcune di queste criticità hanno, nell’ultimo periodo, finalmente suscitato un vasto interesse istituzionale ciò nonostante, affinché possa ravvisarsi un significativo miglioramento, la strada è ancora lunga.
Conclusivamente può affermarsi che oramai è ampiamente condiviso come il PPP possa davvero contribuire a migliorare la qualità di realizzazione delle strutture pubbliche nonché della gestione dei servizi, basti pensare che proprio il rilancio del Partenariato costituisce una sfida della strategia Europa 2014-2020, il cui obiettivo è uscire dalla crisi che da troppi anni ormai imperversa l’eurozona. Del resto anche da Lisbona sono pervenuti una serie di interventi volti a raggiungere tale obiettivo. Da ultimo, sempre nella prospettiva di rilancio del PPP volta a far fronte alla crisi, deve ricordarsi la direttiva concessioni (2014/23/UE) che regola quello che potremmo definire “l’istituto principe” del partenariato. Difatti, il recepimento di tale direttiva rappresenta di certo un’occasione per superare alcune criticità, ma è bene precisare che esso rappresenta, comunque, solo uno dei possibili strumenti attraverso cui operare il rilancio del PPP.
Da quanto sin qui detto, risulta evidente che sono necessari dei quadri finanziari e degli studi di fattibilità più adeguati; urge inoltre una maggiore chiarificazione ed un riordino complessivo del quadro normativo. Solo così sarà possibile superare il gap infrastrutturale fra l’Italia e gli altri Paesi.