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Un’ analisi parziale dell’intervento nella crisi di Cassa Depositi e Prestiti, Caisse des Depots et Consigniations e Kreditanstalt für Wiederaufbau

di Bruno Paolo Amicarelli

16/11/15

Nel testo che segue si cercherà di dare una esposizione riassuntiva e senza alcuna pretesa di completezza degli interventi compiuti dalle tre casse consorelle negli anni della crisi, provando a metterne in luce analogie e differenze.

In Francia ed in Italia l’intervento si è basato principalmente sull’istituzione dei fondi d’investimento.
Il Fonds stratégique d’investissement e il Fondo Strategico Italiano sono infatti due fondi strategici istituiti rispettivamente da Caisse des Depots et Consigniations (CDC) e Cassa Depositi e Prestiti (CDP) in ragione della crisi economica, ma con uno sguardo rivolto anche alla fase che seguirà alla congiuntura economica negativa.
I due fondi di investimento hanno entrambi i caratteri di società di capitali:
le partecipazioni del fondo italiano sono detenute dalla CDP e dalla Banca d’Italia, mentre nel caso francese azionisti sono la CDC e lo Stato.

La natura di fondo strategico comporta che tali fondi siano utilizzati dagli stati per acquisire partecipazioni in imprese di rilevante interesse nazionale creando una holding che sostenga lo sviluppo del sistema produttivo.
Tale prima caratteristica fa sì che tali fondi non possano essere considerati fondi sovrani, ossia quel tipo di fondi diffusi nei paesi dotati di tante e tali risorse (materie prime, fonti energetiche, ingenti dosi di capitale) da scegliere di investirle in attività estere affinchè il bilancio statale possa beneficiare dei proventi di tali investimenti.
I fondi sovrani sono principalmente diffusi in paesi del medioriente, in Cina, in Russia e altri paesi che nel quadro economico attuale si trovano appunto ad avere un surplus di risorse da investire.

In Francia ed in Italia invece i fondi agiscono quasi solamente a livello nazionale, proprio per combattere la scarsità di risorse ed il credit crunch che le aziende rischiavano di subire dopo la crisi, apparentemente con mezzi che rievocano il vecchio sistema delle partecipazioni statali.
Eppure notevoli sono le differenze.
Pur essendo i fondi delle holding di partecipazioni, come pure lo era la vecchia IRI, tali fondi non mirano tanto a creare una gestione centralizzata di alcuni settori economici quanto piuttosto a sostenere le imprese operanti nei settori strategici investendo nel loro capitale.

I due concetti dell’ “investisseur avisé poursuivant des finalités d’intérêt général” e dell’ ”investitore-non gestore con visione paziente di medio-lungo periodo”, descrivono i criteri di investimento dei due istituti, indicando che entrambi i fondi investono sempre tenendo in considerazione la performance finanziaria prevista per l’azienda, senza creare nuove fonti di debito pubblico, con l’attenzione alle dimensioni sociali, alle prospettive di crescita, ai risvolti ambientali della produzione ed acquistando tendenzialmente quote di minoranza del capitale delle società.

L’art 4 dello statuto del fondo italiano sottolinea infatti come l’investimento, oltre ad essere compiuto a condizioni di mercato, non punta ad acquisire il controllo della società, salvo che si tratti di un settore a monopolio naturale oppure di settori a rete in cui il controllo (transitorio) della società è solo un mezzo per realizzare una effettiva concorrenza sul mercato.
Inoltre gli investimenti del fondo italiano sono sempre compiuti nel capitale di società di “rilevante interesse nazionale”, cioè le società italiane che, ai sensi del d.m. 2 luglio 2014 (che ha abrogato il precedente d.m. del 2011) , operino nei settori della difesa, della sicurezza, delle infrastrutture, dei trasporti, delle comunicazioni, dell’energia, delle assicurazioni e dell’intermediazione finanziaria, della ricerca e dell’innovazione ad alto contenuto tecnologico, dei pubblici servizi, turistico-alberghiero, dell’agroalimentare e della distribuzione, della gestione dei beni culturali e artistici.
Se le società operanti in questi settori sono società estere possono comunque beneficiare degli investimenti del FSI se hanno in italia una loro controllata o una stabile organizzazione con un fatturato non inferiore a 50 milioni e un numero di dipendenti non inferiore a 250.
In settori differenti l’investimento del FSI è possibile qualora le società siano italiane e vengano comunque considerate di rilevante interesse nazionale per via di un fatturato non inferiore a 300 milioni di euro e un numero di dipendenti non inferiore a 250 oppure abbiano un indotto di rilevanti dimensioni.
Le società sopra indicate debbono comunque sempre mostrare concrete prospettive di sviluppo.

Il Rapport d’information du senat n°588 del 2011 invece sottolinea come il rispetto di criteri di investimento simili per il fondo francese permette di evitare che tali investimenti possano essere qualificati come aiuti di stato ed essere quindi sottoposti all’apposita procedura dell’art 107 TFUE.
Inoltre nel fondo francese è stato costituito un organo di controllo sugli investimenti compiuti dal fondo , il “comité d’orientation stratégique”, il quale ha garantito l’intervento nei settori effettivamente più bisognosi grazie alla sua composizione mista, determinata dalle nomine del ministro dell’economia che, in concerto con la CDC, designa da 8 a 20 membri scelti fra rappresentanti delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative di lavoratori,datori di lavoro e lavoratori autonomi, ma anche fra quelle personalità che abbiano comprovate competenze nel campo degli investimenti in attività industriali.

Al di là dei criteri di investimento , se simili sono gli obbiettivi perseguiti nel breve periodo (entrami i fondi infatti mirano a preservare la stabilità delle imprese, attirare investimenti esteri, migliorare la qualità dei servizi pubblici), differente sembra la prospettiva di lungo periodo.
Ad un vago auspicio dell’istituto francese di rafforzare l’equity e la competitività delle imprese nazionali fa da contraltare la dichiarata volontà italiana di creare delle aziende leader, dei “campioni nazionali”, che non solo siano in grado di affrontare la competizione internazionale ma che dovrebbero poi sostituirsi all’attuale e confusionario insieme di piccole imprese, la cui struttura è spesso a stampo familiare, fatto che comporta problemi successori nella compagine azionaria che generano a loro volta ulteriori situazioni di stallo.

Il diverso approccio dell’istituto tedesco alla crisi si fonda invece su di una duplice strategia: ad una strategia di breve periodo quale il “KfW Special Programme”, volta a stabilizzare il tessuto industriale ed a ricondurlo alle condizioni precedenti la crisi, si è affiancata una strategia di lungo periodo che opera invece attraverso finanziamenti a lungo termine nei confronti di settori strategici tra cui il settore delle energie rinnovabili e più in generale il campo della sostenibilità ambientale dell’economia tedesca.

Il KfW Special Programme nasce nel 2008 come parte di un programma del governo federale per stimolare l’economia, con particolare attenzione al rafforzamento delle PMI, definite nel report annuale del 2010 della KfW “spina dorsale dell’economia tedesca”.

Il piano non ha comportato una capillare acquisizione di partecipazioni societarie, come avvenuto nel caso dei due FSI, ed agli investimenti nel capitale delle società, pur parzialmente compiuti da KfW Mittelstandsbank, l’ente ha preferito l’intervento attraverso la concessione di prestiti agevolati, con un continuo adattamento del prestito ai bisogni delle compagnie, ad esempio prolungando i termini del prestito o intervenendo sui tassi d’interesse.
La maggior parte dei finanziamenti erogati in ragione del piano è stata appunto rivolta alle PMI in modo da prevenire il credit crunch e guidare la ripresa dell’economia tedesca. Come immediato effetto sull’occupazione l’autorità riconosce al piano la messa in sicurezza di un milione e duecentomila posti di lavoro.
Nascendo con il preciso e limitato scopo di reagire alla crisi e stimolare la domanda interna il piano ha avuto una durata limitata: dopo aver sostenuto fino al 2010 i settori pù colpiti dalla crisi, come ad esempio i settori metallurgico e automobilistico, a favore dei quali è stato devoluto quasi un quarto dei finanziamenti , il programma ha avuto fine in ragione del suo successo, essendo tornato il sistema industriale tedesco alla vecchia stabilità.

In questo breve quadro del “KfW Special Programme” interessante è la vicenda del finanziamento erogato a favore della Nordex, un’ azienda operante nel settore dell’energia eolica che grazie ai 75 milioni ricevuti in ragione del piano non solo ha mantenuto la sede in Germania ma ha addirittura ampliato i suoi piani di produzione negli stabilimenti tedeschi.
La vicenda è interessante perchè introduce la strategia di lungo periodo adottata dalla KfW per quanto riguarda la sostenibilità ambientale del sistema economico. Già nel report del 2010 si indicava il settore delle energie rinnovabili come un settore nel quale i soggetti privati sono più disposti ad investire, ciò comportando che il sostegno della KfW alle imprese operanti nel campo può non solo creare un contrappeso alla inevitabile reticenza all’investimento in altri settori ma può anche contribuire sensibilmente alla crescita dell’occupazione.

Il report del 2014 trae le conseguenze di questa iniziale analisi ed espone le numerose misure poste in essere dalla KfW per creare le basi di uno sviluppo sostenibile non solo in Germania ma anche all’estero attraverso la KfW IPEX Bank.
La KfW per sviluppo sostenibile intende una maniera di operare che salvaguardi la qualità della vita delle future generazioni, e persegue tale obiettivo attraverso il sostegno di progetti pioneristici che comportino la riduzione delle emissioni di co2, la conservazione dell’ecosistema e della biodiversità, l’uso efficiente delle fonti energetiche e delle risorse a disposizione e soprattutto lo sviluppo delle fonti di energia rinnovabile (il governo tedesco punta ad un aumento del 35% delle stesse entro il 2020).

Nel seno di questo programma, per stimolare il finanziamento del settore da parte di soggetti privati, la KfW dal luglio 2014 ha iniziato ad emettere i cosiddetti “Green Bonds”, cioè dei bonds considerati “verdi” perchè il loro profitto è esplicitamente utilizzato per scopi a stampo ecologico.
Tale operazione, che ha il dichiarato obiettivo a lungo termine di creare un’ infrastruttura che stimoli la contribuzione del mercato dei capitali alla protezione del clima, ha avuto un considerevole successo: sui motivi di tale successo il report della KfW è piuttosto ondivago, prima adducendo il più realistico interesse del mercato alla liquidità e alla qualità del credito in questione, poi invece dichiarando più speranzosamente un imprevedibile interesse degli investitori privati alla sostenibilità ecologica. Ma qui, in fondo, ciò che interessa è il risultato.

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