di Marta Maurino
26/10/15
Quello dei rifiuti speciali è uno dei settori in cui attività originariamente sottostanti all’unitaria responsabilità dell’autorità pubblica, in base al principio di regolazione, sono state parzialmente suddivise e affidate a soggetti differenti il cui raccordo avviene mediante contratti.
Siccome i definiti e, tendenzialmente, interscambiabili interessi dei soggetti che operano in tale settore fanno sì che essi siano in prevalenza imprenditori e clienti dei loro servizi, le risorse di tipo tecnico – finanziario, unite a quelle di carattere impiantistico e quindi tecnologico, rappresentano la chiave di volta nell’attività di gestione e smaltimento dei rifiuti speciali. Prima di analizzare le procedure di autorizzazione che l’ordinamento nazionale prevede per l’avvio delle attività in tale settore, appare opportuno muovere qualche riflessione sulle dinamiche di coordinamento tra gli stakeholder e territori in cui gli stessi scelgono di operare.
Mentre per i rifiuti solidi urbani (RSU) il criterio di coordinamento deve necessariamente fondarsi sul “consenso”, per l’area dei rifiuti speciali, il criterio di coordinamento tra i vari soggetti operanti, verte sullo “scambio”. Nonostante la variabile del “consenso” influenzi in modo non eccessivamente rilevante le attività svolte in tale settore, eventuali conflitti potrebbero nascere da un dato non sottovalutabile relativo al rapporto costi/benefici delle operazioni svolte: l’eventuale distribuzione di tutti i benefici derivanti dalle attività di settore tra i soli stakeholder, accompagnato dal riversarsi dei costi, direttamente e per intero, sulle collettività. Tra questi, a creare maggiori frizioni sono i costi ambientali che spingono le collettività territoriali a opporsi alla realizzazione delle infrastrutture necessarie allo svolgimento di determinate attività di gestione e smaltimento dei rifiuti speciali nelle proprie aree, a fronte delle eventuali controindicazioni sull’ambiente locale che ne deriverebbero. In sostanza le dinamiche di contrapposizione nascono dalle difficoltà di bilanciamento tra i costi che la realizzazione dell’infrastruttura comporta per le comunità locali e i benefici che deriverebbero dalla realizzazione dell’infrastruttura stessa e sarebbero destinati a una comunità più ampia, come quella provinciale, regionale oppure, addirittura, nazionale.
A fronte di tale situazione, i contenziosi con autorità pubbliche e con le comunità locali tipici dell’ultimo ventennio, hanno spinto le imprese del settore verso quella che è può essere considerata una vera e propria “rivoluzione strategica”, tradottasi in livelli di innovazione imprenditoriale tali da permettere, in alcuni casi, l’anticipazione delle regolamentazioni ambientali, con conseguente aggiunta dei costi degli impatti ambientali all’interno delle strategie di sviluppo predisposte.
Posto che i fatti dimostrano che lo sforzo effettuato dalle imprese in tal senso era sì necessario, ma non è risultato sufficiente a sedare i conflitti, dovremmo chiederci se con una più equa distribuzione dei benefici derivanti dallo svolgimento di tali attività, possa individuarsi una strada praticabile
per la soluzione dei conflitti. La disquisizione sull’effettiva natura dei benefici che dovrebbero
essere “equamente redistribuiti” non è affrontabile in questa sede, poiché si rischierebbe di passare dall’analisi di questioni amministrative, all’analisi di scelte politiche legate alla gestione
dei singoli territori. E’ bene però tenere presente che la questione dei conflitti territoriali, influisce fortemente sugli insediamenti e sullo sviluppo industriale in tale settore.
Il quadro fin qui descritto è certamente complesso e va ulteriormente arricchito con l’analisi delle previsioni di legge contenenti una serie di oneri che l’imprenditore che vuole avviare un’attività di gestione e smaltimento di rifiuti speciali deve adempiere. L’avvio dell’attività è, in primis, subordinato, all’individuazione di un luogo adatto all’insediamento dell’impresa. Dovrà trattarsi, preferibilmente, un terreno a destinazione industriale, oppure il singolo piano regolatore dovrà espressamente consentire l’utilizzo di quella determinata area per la gestione di rifiuti al fine di garantire la tutela del territorio. A questo tipo di ricerca si deve accompagnare l’espletamento di una serie di incombenze di carattere economico, legate non solo al regime autorizzatorio, ma anche alla costituzione di garanzie finanziarie, necessarie sia per le procedure ordinarie che
per quelle semplificate e che rendono necessario il reperimento di ingenti capitali per l’effettivo
avvio dell’attività. Il regime di autorizzazione per l’apertura degli impianti è disciplinato dagli articoli 208 e 214 del Titolo I- Parte Quarte del TUA (D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152), aventi rispettivamente ad oggetto “l’Autorizzazione unica per i nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti”, di competenza regionale e le “Procedure semplificate”, di competenza provinciale. Tale disciplina va ad integrarsi con le recenti disposizioni del DPR 13 marzo 2013, n. 59 recante la nuova “Disciplina dell’Autorizzazione unica ambientale e semplificazione di adempimenti amministrativi in materia ambientale gravanti sulle piccole e medie imprese e sugli impianti non soggetti ad autorizzazione integrata ambientale”.
Le problematiche ambientali non possono più essere ignorate. A fronte di alcuni incidenti ambientali dalle conseguenze drammatiche e alle pressioni degli operatori del settore e delle comunità territoriali, ci si è definitivamente convinti della necessità di un approccio proattivo alle tematiche ambientali e della utilità di sviluppare sistemi informativi in grado di garantire una gestione dei costi ambientali. L’impegno delle imprese che vogliono operare in modo trasparente in tale settore, nell’ottica di assicurare lo sviluppo di sistemi di reporting e di misurazione connessi alle problematiche ambientali, però, non è da solo sufficiente, ma deve essere accompagnato da uno sforzo concreto da parte delle istituzioni.
Da un lato, infatti, si sceglie di includere i privati nel sistema di gestione e smaltimento dei rifiuti speciali attraverso la mappatura analitica delle competenze e la loro attribuzione a diversi soggetti, individuando responsabilità differenziate lungo la filiera e tentando di massimizzare i singoli contributi. Dall’altro, però, gli imprenditori, disponibili a operare in tale settore, non solo
si ritrovano a dover affrontare le resistenze territoriali alla realizzazione delle infrastrutture, ma – tenuti alla copertura integrale dei costi, intesi come costi industriali, di gestione e di capitale – si vedono eccessivamente caricati di oneri di natura non solo economica, finendo per passare da soggetti che dovrebbero rispettare le norme che disciplinano l’accesso al sistema, a soggetti che le “subiscono”.
Se il primo passo per risolvere un problema è porselo, allora potrebbe essere utile tenere
presente che i costi ambientali possono essere ridotti e controllati solo se viene sviluppato un adeguato sistema informativo, in grado di monitorare e rappresentare i costi e i benefici ambientali stessi.
Posto che il fine ultimo dell’apertura al mercato di un determinato settore è quello di incrementare i livelli di efficienza del sistema, con il reperimento di nuovi capitali, nell’ottica di una crescita “intelligente, sostenibile ed esclusiva” (così come richiamata dalla strategia “Europa 2020” dell’Unione Europea), non dovrebbe essere presa in considerazione l’ipotesi di rendere più snella – sia dal punto di vista burocratico che dal punto di vista economico – finanziario – la fase di accesso al sistema di gestione e smaltimento dei rifiuti speciali, prevedendo un eventuale rafforzamento del successivo sistema di controlli?
Innovazione e semplificazione burocratica potrebbero essere il punto di svolta nella ricerca di soluzioni praticabili.
Fonti
Completing Europe’s Economic and Monetary Union
http://ec.europa.eu/europe2020/index_it.htm
Testo Unico Ambientale – D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 Titolo I- Parte Quarta
DPR 13 marzo 2013, n. 59