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L’AUTONOMIA DEL DANNO DA PERDITA DI CHANCE NELLE ULTIME PRONUNCE DEL CONSIGLIO DI STATO

6 novembre 2024

a cura di Carlo Maria Fenucciu

Con la sentenza 13 settembre 2024 n. 7559 il Consiglio di Stato torna in tema di risarcimento per danni derivanti da illegittima attività della PA, in particolare sottolineando l’autonomia del danno da perdita di chance rispetto alle altre voci di danno.
La vicenda prende le mosse da un procedimento autorizzatorio per la realizzazione di due impianti di produzione di energia solare. I complessi fatti di causa possono essere riassunti come segue. La società istante si rivolgeva alla Regione Molise per l’ottenimento delle necessarie autorizzazioni uniche. I provvedimenti richiesti venivano effettivamente concessi, ma negli anni successivi seguiva una lunga di serie di provvedimenti inibitori da parte del Ministero dell’Ambiente, nonché istituzione di vari vincoli archeologici nell’area interessata dal progetto. Tutti i provvedimenti venivano annullati in sede giurisdizionale o in autotutela, ma la società, nelle more di questi giudizi impugnatori, non iniziava i lavori assentiti con i provvedimenti autorizzatori, attesa l’incertezza dell’esito dei processi. Al termine della vicenda, durata oltre dieci anni, la società concludeva per la sopravvenuta insostenibilità dell’investimento a causa del decorso del tempo e la decadenza dei titoli autorizzatori.
Il processo si articola su due domande. La prima domanda veniva presentata dall’impresa quando ancora riteneva di poter effettuare l’investimento. Pertanto, veniva richiesto il risarcimento del danno per lo slittamento nel tempo della realizzazione dell’investimento a causa del complessivo comportamento ostruzionistico tenuto dal Ministero dell’Ambiente. Il danno derivava dalla circostanza che il ritardo nell’ultimazione dei lavori avrebbe determinato l’ingresso nel mercato secondo le tariffe del quinto conto energia, anziché del secondo. Ciò comportava condizioni più gravose per la società, che calcolava il risarcimento richiesto secondo il differenziale risultante dalle differenti tariffe dei due conti energia.
Più tardi, la società si accorgeva di non poter più effettuare l’investimento per via della scadenza dei titoli autorizzatori e per l’essere l’operazione divenuta medio tempore eccessivamente onerosa. Pertanto, introduceva con memoria domanda risarcitoria volta ad ottenere tutti i proventi che sarebbero risultati dal periodo di attività corrispondente alla durata media degli impianti autorizzati.
Il giudice di prime cure rigettava entrambe le domande: la società richiede per appello la riforma della sentenza.
Il Consiglio di Stato esamina per prima la richiesta di risarcimento fondata sulla sopravvenuta impossibilità. Il collegio su tale domanda conferma essenzialmente la soluzione del T.A.R., ritenendo non sussistente il nesso di causalità materiale tra la condotta dell’amministrazione e l’evento di danno. A tal fine, innanzitutto ricapitola gli elementi costitutivi della responsabilità da illecita attività amministrativa della PA, facendo riferimento ai principi di diritto espressi ad Ad. Plen. 23 aprile 2021 n. 7. In particolare, riconducendola alla responsabilità aquiliana ex 2043 cc, è richiesta la prova, incombente su chi si afferma danneggiato, del nesso di causalità materiale tra la condotta della PA e l’evento di danno, ai sensi degli artt. 40 e 41 cp. L’articolo 41, co. 2 sancisce che le cause sopravvenute rispetto al comportamento incriminato che siano state da sole idonee a provocare l’evento escludono il rapporto di causalità, sebbene le cause preesistenti consistano in atti illeciti. Proprio su tale base normativa il collegio ritiene che l’omissione della richiesta di proroga dei titoli autorizzatori abbia interrotto il nesso di causalità tra il comportamento illecito del Ministero dell’Ambiente e il danno lamentato consistente nell’impossibilità di addivenire all’investimento. Ciò, peraltro, in considerazione dell’insufficienza della prova sull’eccessiva onerosità sopravvenuta dell’operazione.
Rigettata la prima domanda in quanto infondata, il collegio passa ad esaminare la seconda. Il giudice di prime cure motivava il rigetto in tal senso: il risarcimento di un danno differenziale presuppone logicamente la concreta ed effettiva realizzazione del progetto a condizioni deteriori. In termini di danno imputabile alla P.A. non si può ragionare, atteso che comunque l’intervento non è stato compiuto per motivazioni imputabili, come poc’anzi spiegato, allo stesso ricorrente. Il collegio riesaminante, invece, inquadra la vicenda nel danno da perdita di chance. Segnatamente, atteso che è appurato il comportamento ostruzionistico del Ministero, concretizzantesi in atti la cui illegittimità è stata accertata in sede giurisdizionale o di autotutela caducatoria, consegue l’imputabilità in capo a detto ente dello slittamento della possibilità di ingresso nel mercato e dunque della perdita della chance di fruire dei maggiori incentivi del secondo conto energia.
Le conclusioni del collegio devono essere contestualizzate nell’ambito della sistematizzazione della figura della perdita di chance. La chance, come concetto eminentemente probabilistico, è stata presa in considerazione sotto due diversi punti di vista. Da un lato, sul campo del nesso causale tra una condotta ed un evento di danno (chance “eziologica”), dall’altro come autonoma situazione giuridica soggettiva passibile di tutela aquiliana (chance “ontologica”).
Nel primo senso, la chance indica la percentuale di probabilità che la condotta esaminata abbia causato l’evento di danno lamentato, permettendo così il frazionamento del nesso causale negli ordinamenti, come quello anglosassone, che lo consentono. In Italia tale approccio non può essere seguito, in quanto il nesso di causalità materiale, secondo l’interpretazione più accreditata e l’unanime giurisprudenza, non è frazionabile: provata la causalità, secondo il criterio del più probabile che non, l’evento sarà interamente attribuito all’autore della condotta.
Rimane però configurabile la chance in senso ontologico, tutelabile per via aquiliana secondo il processo di estensione della tutela extracontrattuale nel senso dell’atipicità. La chance viene reificata come posta attiva del patrimonio, la cui lesione può avvenire in modo autonomo ed indipendente. Il contenuto della chance come situazione giuridica soggettiva consiste nella possibilità (non diritto) di ottenere un determinato risultato.
Di conseguenza, per accertare la perdita della chance in senso ontologico non vi è alcuna attenuazione dell’indagine circa il nesso di causalità, che seguirà l’impostazione classica del “più probabile che non”. Solamente, l’evento di danno consiste nella perdita della possibilità di conseguire un determinato risultato e il risarcimento sarà parametrato alla moltiplicazione del valore del risultato sperato per la percentuale di possibilità.
Nel caso oggetto della sentenza in oggetto, tale accertamento risulta agevole, in quanto il contenuto della chance consiste nell’esercizio di un interesse legittimo pretensivo dipendente da un’attività della Pubblica Amministrazione vincolata (che si sostanzia nel mero controllo dei requisiti previsti per l’accesso alle agevolazioni previste dal conto energia). È più controversa, invece, la risarcibilità di tale figura, laddove il contenuto della chance consista nella pretesa a un bene della vita mediato dall’attività discrezionale della P.A. In tal caso, alcuni escludevano in radice la risarcibilità della chance, a ciò ostando il divieto per il G.A. di giudicare su poteri amministrativi non ancora esercitati, ai sensi dell’articolo 34, co. 2 del c.pa.
Cionondimeno, la giurisprudenza amministrativa ormai riconosce la tutelabilità della chance anche nella contrattualistica pubblica, purché il ricorrente provi la ricorrenza di una “probabilità seria e concreta” di conseguire il bene della vita sperato: la chance poco probabile, dunque, non è degna di tutela. In ogni caso, la probabilità di conseguire il risultato sperato rileva ai fini risarcitori, determinando il quantum del danno. Queste conclusioni sono state recentemente ribadite dal Consiglio di Stato con la sentenza 20 settembre 2024, n. 7703, che, rifacendosi alla già citata Plenaria 7/2021, ribadisce che in tema di procedure concorsuali è tutelata la perdita di chance solo laddove il ricorrente sia effettivamente in posizione utile per conseguire l’aggiudicazione. Di più, il collegio sottolinea un elemento di cruciale importanza: la risarcibilità deve fare i conti con l’elemento dell’ingiustizia del danno. Per cui, se la perdita della chance deriva da un provvedimento legittimo (tipicamente in sede di autotutela), l’elemento costitutivo sarà assente, potendo al massimo, in tal caso, discorrersi di lesione dell’affidamento.
In conclusione, la sentenza commentata costituisce un tassello nell’evoluzione giurisprudenziale del danno da perdita di chance, sancendone, in particolare la tutelabilità aquiliana e l’autonomia tra le voci di danno.

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