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I COSTI DELL’OPERAZIONE: I DATI FINANZIARI DELL'(ATTESO) PROTOCOLLO ITALIA-ALBANIA A CONFRONTO CON IL MEDP UK-RUANDA

23 settembre 2024

A cura di Lucilla Tempesta

In un contesto europeo segnato da una crescente pressione migratoria i governi italiano e britannico stanno affrontando sfide comuni. L’incontro dello scorso 16 settembre 2024 fra il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ed il primo ministro Keir Starmer lascia pensare ad un tentativo di collaborazione al fine di fronteggiare il fenomeno dell’immigrazione irregolare. L’obiettivo, come affermato dal Presidente del Consiglio italiano, è quello di «… contrastare il traffico di esseri umani, prevenire i flussi migratori illegali ed accogliere solamente chi ha davvero diritto alla protezione internazionale». Mentre il Regno Unito ha ormai abbandonato il controverso piano UK-Ruanda, l’Italia, invece, è prossima all’apertura dei centri di Shengjin e Gjader in Albania.

È opportuno tenere a mente che i due accordi, pur basati sulla comune idea che l’esternalizzazione della gestione migratoria fosse la strada percorribile al fine di alleggerire i flussi verso i rispettivi paesi, si distinguono per una diversa gestione delle richieste di asilo. Nel progetto italiano si manterrà la giurisdizione italiana in un territorio extra-europeo, mentre, l’elemento chiave dell’accordo con il Ruanda consisteva nell’inviare i richiedenti asilo nel Regno Unito nella Repubblica del Ruanda, dove il governo ruandese avrebbe deciso sulle loro richieste.

            Il ritardo nell’implementazione del Protocollo Italia-Albania offre l’opportunità di soffermarsi sui costi previsti comparandoli con il precedente piano UK-Ruanda, ormai abbandonato dal nuovo governo laburista. Il bando ministeriale italiano prevede una spesa di 653 milioni di euro spalmati nel corso dei 5 anni, durata finora stabilita per il protocollo, al fine di accogliere circa 36mila persone migranti l’anno.

Gli ulteriori dati finanziari sui quali è opportuno porre l’attenzione oltre che riguardare i costi necessari per la costruzione e la gestione delle strutture, sono quelli relativi alla continua e necessaria rotazione del personale (giudici, avvocati, polizia) addetto alle diverse procedure.

In aggiunta ai costi dell’accoglienza degli stranieri in Italia, dunque, si sommeranno le già citate spese, tra cui quelle del noleggio dei mezzi per il trasferimento in Albania o verso l’Italia al termine dei 28 giorni di detenzione nei centri in territorio albanese. Il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha ribadito che i centri ed il meccanismo di esternalizzazione della gestione delle richieste di protezione internazionale hanno principalmente il compito di deterrenza rispetto alle partenze verso l’Italia e di alleggerimento degli altri centri Hotspots presenti sul territorio italiano. Si propone, dunque, un’analisi con la quale si cercherà di comprendere se il piano, così come strutturato in relazione agli obiettivi, sia in grado di raggiungere una soddisfacente cost-effectiveness.

Dalla relazione tecnica pubblicata sul sito del Senato della Repubblica italiana si evince un impegno finanziario considerevole per la realizzazione del protocollo Italia-Albania: già a partire dal 2024, sono stati stanziati 31,2 milioni di euro per la costruzione delle nuove strutture nei siti di Shengjin e Gjader. Si stimano inoltre costi di manutenzione che ammonteranno a 70mila euro per il sito di Shengjin e 700mila per la struttura a Gjader nel 2024 e 100mila euro annui (Shengjin) e 1 milione annuo (Gjader) per I successivi 4 anni. I costi di gestione, complessivi per i siti nelle due località ammonteranno, dunque, a 4.400.700 per il 2024 e 6.556.200 annui per I restanti 4 anni.

A questi numeri si devono inoltre sommare 100mila euro per il 2024 per le spese relative agli apparati telematici in entrambe le strutture.

Altro capitolo di spesa sono i costi per il trasporto marittimo, con un budget di 15 milioni di euro nel 2024 e 60 milioni di euro compresi tra il 2025 ed il 2028, per un totale di circa 95 milioni di euro per il noleggio delle navi.

Si stima, inoltre, che i costi relativi al personale ammonteranno a circa 252 milioni di euro, nei cinque anni, così da poter finanziare le trasferte in Albania dei funzionari ministeriali dell’interno, della giustizia e della salute. Dunque, secondo le stime mediamente 138mila euro al giorno sarebbero destinati a coprire i costi per il personale interforze, i funzionari prefettizi, il personale del DAP (Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria), il personale sanitario di frontiera (Usmaf), e quello dell’INMP (Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti) per viaggi, diarie, vitto e alloggio. La spesa sanitaria richiederà un investimento di 270.000 euro annui per il sito di Shengjin e 100.000 euro per Gjader, destinati all’acquisto di attrezzature e farmaci e al supporto sanitario dell’INMP.

Questo quadro evidenzia un costo capitale molto elevato, riducibile di molto se la gestione rimanesse nei confini del territorio italiano.

            È utile analizzare i costi previsti per la realizzazione dei centri in Albania da parte dell’Italia, mettendoli a confronto con i dati finanziari disponibili riguardanti l’esperienza del Regno Unito. La promessa del nuovo governo laburista è di investire in un approccio più efficace, volto a garantire una gestione più strategica e sostenibile dell’immigrazione irregolare.

Stando alla relazione del National Audit Office, si distingue fra i pagamenti per l’ETIF (Economic Transformation and Integration Fund), con la finalità del supporto economico e lo sviluppo in Ruanda, ed i costi di gestione dell’asilo sommati ai costi operativi per il trasferimento di personale e migranti in Ruanda. Finora, secondo il rapporto il Regno Unito ha pagato 290 milioni di sterline (nel corso del 2022/2023/2024) al Ruanda oltre ad un pagamento anticipato di 20 milioni di sterline effettuato ad aprile 2022 per coprire gli iniziali costi operativi. Nonostante il pagamento di £290 milioni, nessun richiedente asilo è stato trasferito con l’unica eccezione di un caso sottoposto, però, ad un regime speciale: il programma separato volontario. Infatti, secondo un nuovo servizio volontario di rimpatrio, nell’ipotesi del respingimento, ai richiedenti asilo è offerta la possibilità di percepire un indennizzo di 3.000 sterline per tornare nel loro paese di origine o, qualora ciò non fosse possibile, per essere trasferiti in Ruanda, come nel caso in questione.

L’accordo Uk-Ruanda prevede ulteriori pagamenti fissi di £50 milioni, oltre a £20.000 per ogni persona trasferita e £150.874 per coprire i costi di integrazione, come cibo e alloggio. Inoltre, il Regno Unito avrebbe dovuto sostenere i costi di elaborazione delle domande di asilo e versare un extra di £120 milioni dopo aver portato a termine il trasferimento di 300 persone. La spesa complessiva prevista per la realizzazione del piano ammontava ad oltre £600 milioni per trasferire 300 persone in Ruanda: un costo di circa £2 milioni per ciascun richiedente asilo. Dunque, secondo la valutazione del Ministero dell’Interno il trasferimento dei migranti in Ruanda sarebbe costato, secondo una stima ottimistica, 63.000 sterline in più per persona rispetto a trattare le loro richieste nel Regno Unito.

Non si conoscono ancora le implicazioni economiche della cancellazione dello schema Ruanda, si sa però che, a luglio del 2024, erano stati già spesi 318 milioni di sterline.

Si sottolinea che i costi sopra riportati non devono considerarsi esaustivi e potrebbero essere più elevati poichè dalle spese indicate sono eslcuse alcune voci, come i costi per l’arresto e la detenzione delle persone in attesa di trasferimento. Il National Audit Office ha stimato, infatti, che se il piano fosse diventato operativo, il costo totale per trasferire 20.000 persone sarebbe salito a circa £4 miliardi, ovvero circa £200.000 per persona. Queste stime non includono i costi aggiuntivi derivanti dall’implementazione dell’Illegal Migration Act (IMA) approvato nel 2023, in particolare quelli relativi al sostegno alle persone che, nonostante il presunto “deterrent effect” delle politiche britanniche, non sono state scoraggiate nè trasferite in Ruanda o altri paesi terzi.

            Un elemento sul quale è necessario porre l’attenzione al fine di calcolare la cost-effectiveness è, come già menzionato, l’effetto deterrente degli accordi di esternalizzazione delle frontiere. Nel caso Uk-Ruanda non ci sono stati elementi tangibili che hanno evidenziato un rilevante effetto deterrente, come si evince da una lettera del Segretario Permanente dell’Home Office, la qual afferma che “l’efficacia deterrente della politica era altamente incerta e non quantificabile con sufficiente precisione. Di conseguenza, mancava un adeguato livello di garanzia rispetto alla convenienza economica della misura, poiché non vi erano prove sufficienti per dimostrare che avrebbe effettivamente ridotto gli arrivi irregolari.

            Altri paesi hanno sperimentato esperienze simili di “nuova” esternalizzazione delle frontiere a quelle degli accordi qui in commento. Nel 2001 l’Australia ha avviato un programma denominato “Pacific Solution” trasferendo i richiedenti asilo arrivati irregolarmente verso Nauru e Papua Nuova Guinea. Sebbene le partenze irregolari via mare siano diminuite drasticamente, si è osservato che il costo per richiedente asilo è stato estremamente elevato, con stime di circa 3,4 milioni di dollari australiani per persona, rispetto ai costi di accoglienza in Australia, quasi 770 volte inferiori. Oltre alle evidenti criticità finanziarie, la “offshoring policy” ha suscitato critiche per le condizioni degradanti e gli abusi nei centri.

Israele, fra il 2013 ed il 2018, ha concluso un accordo con il Ruanda che, per coerenza di obiettivi, presenta analogie con l’accordo fra il Regno Unito ed il Ruanda. Anche in questo caso sono emerse ulteriori criticità: molti richiedenti asilo inviati in Ruanda hanno continuato i loro viaggi verso l’Europa, evidenziando l’insufficienza di garanzie di permanenza nel paese terzo e l’inefficacia della misura.

È cruciale riflettere sulle criticità già riscontrate nelle altre esperienze di esternalizzazione ed evitare che nei centri in Albania si ripetano gli abusi già emersi nei CPR italiani, come, ad esempio, nel caso del centro di Via Corelli. La mancanza di trasparenza legata alla gestione privata e l’opacità delle condizioni interne hanno reso difficile monitorare la situazione e denunciare le violazioni. L’apertura dei centri nei siti di Schengjin e Gjader potrebbe rendere il monitoraggio ancora più difficile.

Solo con l’attuazione e l’analisi dei risultati concreti del protocollo Italia-Albania sarà possibile determinare il suo impatto reale e valutare se esso riuscirà a raggiungere un equilibrio tra costi e benefici, realizzando gli obbiettivi a cui è preposto.

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