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GLI INCARICHI AMMINISTRATIVI PRESSO ENTI DI DIRITTO PRIVATO IN CONTROLLO PUBBLICO: LIMITI AL DIVIETO DI CONFERIBILITA’

23 settembre 2024

A cura di Martina Bordi

La Corte costituzionale, con sentenza n. 98/2024, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 1, comma 2, lettera f, e 7, comma 2, lettera d, del decreto legislativo n. 39/2013 recante “Disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le Pubbliche Amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, a norma dell’articolo 1, comma 49 e 50, della legge n. 190/2012.”, per contrasto con gli artt. 3, 4, 5, 51, 76, 97, 114 e 118 della Costituzione.

Le disposizioni sono state censurate dai giudici costituzionali nella parte in cui non consentivano di conferire l’incarico di amministratore di ente di diritto privato, che sia sottoposto a controllo pubblico da parte di una provincia, di un comune con popolazione superiore a quindicimila abitanti (…), a coloro che, nell’anno precedente, abbiano ricoperto la carica di presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato controllati da amministrazioni locali (comuni, province o forme associative in ambito regionale).

La questione, sollevata incidentalmente dal Tar Lazio, riguardava una delibera dell’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) con la quale era stata dichiarata l’inconferibilità dell’incarico di manager pubblico della Gestione ambientali spa, impresa pubblica partecipata al 51% da Amiu (Azienda multiservizi e d’igiene urbana Genova spa) e al 49% dall’Autorità Portuale di Genova per aver ricoperto, precedentemente, la carica di amministratore delegato della ARAL in house srl, partecipata al 60% dal Comune di Arenzano.

La legge delega 190/2012, c.d. legge Severino, ha demandato al Governo il compito di modificare la disciplina all’epoca vigente in materia di attribuzione di incarichi dirigenziali e di responsabilità amministrativa di vertice nelle pubbliche amministrazioni, al fine di prevenire e contrastare la corruzione e la nascita di eventuali conflitti di interessi.

L’obiettivo della legge delega era quindi quello di assicurare l’esercizio imparziale delle pubbliche funzioni, limitando l’individuazione degli incarichi ostativi a quelli di natura politica, escludendo gli incarichi di natura amministrativo-gestionale.

L’art. 1 comma 50 della legge delega prevede, per il legislatore delegato, di disciplinare i casi di inconferibilità di incarichi dirigenziali ai soggetti estranei alle amministrazioni “che, per un periodo di tempo, non inferiore ad un anno, antecedente al conferimento abbiano fatto parte di organi di indirizzo politico o abbiano ricoperto cariche pubbliche elettive”, con la finalità di tutelare l’imparzialità dell’azione amministrativa e promuovere una lettura meritocratica nella selezione dei vertici amministrativi.

Il legislatore delegante, nel definire i componenti di organi di indirizzo politico, ha ampliato il novero delle figure rientranti nella nozione di funzionario pubblico, ricomprendendo tutti coloro a cui sono affidate “funzioni pubbliche” di rilievo amministrativo, a prescindere dalla natura, pubblica o privata, dell’ente presso il quale l’incarico è ricoperto.

Difatti, all’art. 1, comma 2, ha inserito tra i componenti di organi di indirizzo politico “le persone che partecipano a organi di indirizzo di enti pubblici o di enti di diritto privato in controllo pubblico, nazionali, regionali e locali”.

Il successivo articolo 7 del decreto, nel disciplinare le ipotesi di inconferibilità di incarichi a componenti di organo politico di livello regionale o locale, stabilisce che coloro che nei due anni precedenti siano stati componenti della giunta (…), nonché a coloro che siano stati presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico da parte di province, comuni e loro forme associative della stessa regione,  non possono essere conferiti: gli incarichi di amministratore di ente di diritto privato in controllo pubblico da parte di una provincia, di un comune con popolazione superiore a 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione.

Il dato normativo, pur scindendo le ipotesi di inconferibilità applicabili al livello di governo regionale e le ipotesi applicabili al livello di governo locale, prevede, in entrambi i casi, il divieto di conferimento di incarichi amministrativi di vertice o dirigenziali qualora il soggetto nominando abbia ricoperto analoghe posizioni di provenienza nel periodo precedente al conferimento.

Pertanto, ai sensi del d.lgs. 39/2013, attuativo della legge delega menzionata, un professionista che abbia già prestato la propria attività in un’Amministrazione Comunale non può essere nominato all’interno dello stesso ente prima che siano trascorsi due anni, dovendo rispettare il c.d. periodo di raffreddamento, con l’intento di impedire conferimenti che conseguano immediatamente la fine di un mandato politico e promuovere una politica di nomina fondata su requisiti professionali.

L’art. 17 del d.lgs. n. 39 del 2013 specifica le conseguenze giuridiche derivanti dalla violazione della disciplina sulle inconferibilità, sancendo che “gli atti di conferimento di incarichi adottati in violazione delle disposizioni del presente decreto e i relativi contratti sono nulli”.

In linea generale, la Corte, partendo dall’assunto generale che il legislatore delegato sia dotato di un margine di discrezionalità nello sviluppo delle norme, afferma che il Governo non può mai superare i limiti che ha posto il legislatore delegante. Le disposizioni contenute nel decreto legislativo dovrebbero ricondursi ad un naturale, coerente e complementare sviluppo delle norme contenute nella legge delega.

Nel caso specifico, in base alle disposizioni della legge delega, l’oggetto della disciplina avrebbe dovuto riferirsi esclusivamente agli incarichi di destinazione ovvero gli incarichi che avrebbero dovuto formare oggetto di protezione dalle interferenze di interessi esterni, potenzialmente in conflitto con l’esercizio della funzione pubblica.

Le potenziali situazioni di conflitto, indicate nella Legge Severino, vengono individuate solamente nella provenienza politica della persona nominata.

L’unica causa ostativa non politica al conferimento è relativa a coloro che abbiano svolto incarichi o ricoperto cariche in enti di diritto privato sottoposti a controllo o finanziati da parte dell’amministrazione che conferisce l’incarico stesso poiché rientranti tra gli incarichi di destinazione. Da ciò si deduce, a contrario, che la legge delega abbia voluto escludere dalle ipotesi di inconferibilità solo gli incarichi di natura amministrativo-gestionale.

Secondo la Corte costituzionale, nelle cariche di presidente e amministratore, sia negli enti pubblici che negli enti privati sottoposti a controllo pubblico, non vi è titolarità di funzioni di indirizzo politico in senso stretto ma bisogna distinguere tra funzioni di indirizzo politico-amministrativo per gli enti pubblici e funzioni di indirizzo politico-aziendale per gli enti privati in controllo pubblico; con la conseguenza di dover escludere quest’ultime dal novero dell’inconferibilità.

Ad avviso della Corte, i criteri direttivi individuati nella legge Severino sono stati il frutto di un bilanciamento tra l’accesso al lavoro dei professionisti, sacrificato parzialmente dalla previsione della inconferibilità degli incarichi per provenienza politica e l’imparzialità dell’azione amministrativa.

Il legislatore delegato, invece, ha ampliato eccessivamente questa garanzia, finendo per ricomprendervi ipotesi prive di qualsiasi collegamento con lo svolgimento di incarichi politici.

Il d.lgs. n. 39/2013, dunque, avrebbe dovuto fornire una interpretazione restrittiva delle cause di inconferibilità così da rientrare nei parametri indicati dalla legge di delega e dall’art. 76 della Costituzione.

Così facendo, ha sottolineato la Corte, si è attuata una commistione tra incarichi politici e incarichi di mera gestione amministrativo-aziendale, che devono, invece, essere tenuti distinti.

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