22/07/2024
A cura di Lucilla Tempesta
L’ordinanza 5 marzo 2024 n. 625 del Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) Lombardia riguarda il ricorso presentato da un ricorrente tunisino in proprio e nella qualità di esercente la potestà genitoriale sul figlio minore, avverso il Ministero dell’Interno – U.T.G. – Prefettura di Milano. Il TAR Lombardia, sospendendo la decisione fino alla definizione della questione pregiudiziale, ha rimesso il caso alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
La Prefettura di Milano con provvedimento del 1 giugno 2023 decretava la revoca delle misure di accoglienza nei confronti dei due ricorrenti di origine tunisina. Entrambi erano richiedenti protezione internazionale e si trovavano nel Centro di accoglienza di Milano Coop. Soc. Medihospes onlus-Cas (ex CARA). La revoca delle misure di accoglienza è stata attuata solo dopo che, per la terza volta, il ricorrente si è opposto al trasferimento in un altro centro, in questo caso il CAS Saponaro-Fondazione Fratelli San Francesco, sempre a Milano.
Il ricorrente si è opposto al trasferimento citando le difficoltà del figlio e la necessità di rimanere vicino alla scuola da lui frequentata.
La motivazione a sostegno della revoca, invece, riguarda i comportamenti violenti tenuti dal ricorrente e contrari alle regole del centro. Inoltre, si sottolinea la necessità di liberare un alloggio destinato a quattro persone ed occupato solo da due. L’amministrazione motiva inoltre la decisione sulla base di esigenze organizzative e, dati i reiterati rifiuti, è applicabile la normativa dell’art. 23, comma 1 lett. a) del d. lgs n.142/2015. L’articolo citato prospetta i casi di revoca delle condizioni di accoglienza, ed in particolare la lett. a), rilevante per il caso in esame, riguarda l’ipotesi di «mancata presentazione presso la struttura individuata ovvero abbandono del centro di accoglienza da parte del richiedente, senza preventiva motivata comunicazione alla prefettura – ufficio territoriale del Governo competente;». Le altre fattispecie previste dal comma 1 riguardano i casi in cui i presupposti di fatto che giustificavano l’applicazione delle misure di accoglienza, vengono meno. L’ipotesi della «violazione grave e ripetuta, da parte del richiedente protezione internazionale, delle regole della struttura in cui è accolto, ivi compreso il danneggiamento doloso di beni mobili o immobili, ovvero in caso di comportamenti gravemente violenti, anche tenuti al di fuori della struttura di accoglienza…» di cui al comma 2, si identifica con la revoca di natura sanzionatoria giusitificata dal comportamento illecito del richiedente. In merito, il prefetto ha la facoltà di disporre il trasferimento in un’altra struttura ed adotta ulteriori misure temporanee quali l’esclusione dalle attività organizzate e da uno o più servizi o la sospensione/revoca di benefici economici accessori per un periodo non inferiore a trenta giorni e non superiore a sei mesi. Il comma 5 del presente articolo stabilisce che avverso il provvedimento del prefetto è ammesso ricorso al TAR competente.
I motivi di contestazione del provvedimento sono molteplici: a) la violazione dell’art. 7 e seguenti della l. 241 del 1990 sulle garanzie partecipative; b) il difetto di motivazione (art. 3, L. 241/90) e di istruttoria; b) la violazione degli art. 21 direttiva 2013/33/UE e art. 17 d.lgs 142/2015 non tenendo conto della situazione di vulnerabilità dei soggetti; d) la violazione dell’art. 23, comma 1 lett. a) poiché non applicabile al caso di specie; e) i principi interpretativi dell’art. 20 della direttiva 2013/33/UE, alla luce delle decisioni della Corte di Giustizia dell’Unione Europea nelle cause C-233/2018 e C-422/21, dovrebbero essere applicati al caso in esame, nonostante la specifica norma italiana (art. 23, comma 1 lett. e) sia stata abrogata. La normativa nazionale, art. 23 d. lgs 142/2015, è attuativa dell’art. 20 dir. 2013/33/UE. Nella direttiva europea sono sanciti i principi generali in base ai quali si disciplinano la riduzione o revoca delle misure di accoglienza. Il sistema previsto è graduale e la revoca delle misure rappresenta l’extrema ratio. In particolare, l’art. 20 stabilisce che tali misure possono essere adottate qualora il richiedente lasci il luogo di residenza senza informare le autorità, non si presenti alle autorità competenti, presenti domande reiterate, o abbia occultato risorse finanziarie. L’articolo prevede inoltre la possibilità, in capo agli Stati Membri, di poter irrogare sanzioni per gravi violazioni delle regole dei centri di accoglienza e comportamenti violenti. Le decisioni di riduzione o revoca devono essere individuali, obiettive, motivate e proporzionate, garantendo sempre l’accesso all’assistenza sanitaria e un tenore di vita dignitoso per i richiedenti.
Il Tribunale ha respinto la domanda cautelare del ricorrente, sostenendo che la revoca del provvedimento rientrasse nell’ambito della discrezionalità del potere organizzativo dell’amministrazione per la gestione dei Centri di accoglienza.
Il Consiglio di Stato, con ordinanza, ha invece accolto l’appello cautelare, argomentando che la revoca potrebbe compromettere i diritti fondamentali ed i bisogni primari della persona umana, dunque sospendendo il rigetto della misura cautelare disposta dal TAR Lombardia.
Particolarmente rilevante è la lettura del comma 1 lett. a), che consente al prefetto di revocare le misure di accoglienza nel caso di mancata presentazione del richiedente presso la struttura designata o nel caso di abbandono del centro di accoglienza senza comunicazione preventiva alla Prefettura. Questa disposizione è applicabile al caso di specie per «identità di ratio e coerenza del sistema predisposto in favore di chi chiede la protezione internazionale, all’ipotesi in cui lo straniero, ammesso alle misure, rifiuti di essere trasferito presso un diverso Centro di accoglienza individuato dall’amministrazione per esigenze gestionali e organizzative». (Punto 9 dell’ordinanza del TAR Lombardia, n. 625)
L’amministrazione ha, quindi, il potere discrezionale di individuare il centro di accoglienza in base a criteri organizzativi, compreso il rispetto della capacità disponibile, sia per la prima assegnazione che durante la fruizione delle misure di accoglienza. La discrezionalità è giustificata, secondo il ragionamento del TAR, sulla base del testo dell’art. 23, comma 2-bis d. lgs n.142/2015 ove si ammette che il potere discrezionale dev’essere esercitato adottando le misure “in modo individuale, secondo il principio di proporzionalità e tenuto conto della situazione del richiedente”. Sia la normativa nazionale che comunitaria riconoscono all’amministrazione un potere di revoca o di riduzione dei benefici concessi rispettando le fattispecie elencate negli artt. 23 d. lgs 142/2015 e dir. 2013/33/UE.
ll Tribunale ha sospeso il giudizio, rimettendo alla Corte di giustizia dell’Unione Europea la seguente questione pregiudiziale: se la normativa nazionale italiana, che permette la revoca delle misure di accoglienza quando un richiedente protezione internazionale rifiuta il trasferimento presso un altro centro per motivi organizzativi, possa essere in conflitto con l’articolo 20 della direttiva 2013/33/UE e con i principi giurisprudenziali enunciati dalle sentenze della Corte di Giustizia dell’UE del 12 novembre 2019 (C-233/2018) e del 1° agosto 2022 (C-422/2021). L’orientamento della Corte nelle pronunce in questione stabilisce che la revoca delle misure di accoglienza, imposta come sanzione, non può privare il richiedente della dignità umana e dei bisogni essenziali di vita, come l’accesso al cibo, all’alloggio ed al vestiario. Inoltre, qualsiasi sanzione, a norma dell’art. 20, par. 5, dev’essere “obiettiva, imparziale, motivata e proporzionata alla particolare situazione”. Deriva dalla norma della direttiva l’irrogazione di una sanzione graduale e proporzionata rispetto al fatto contestato. In ultimo la Corte aveva sancito nelle pronunce sopra citate che il rapporto revoca-sanzione non può mettere il richiedente nella condizione di non poter provvedere ai suoi bisogni fondamentali.
Nel caso di specie il ricorrente ha rifiutato l’accoglienza in un’altra struttura che ha ritenuto indatatta per le ragioni già esposte. La direttiva UE 2013/33 non esclude la possibilità che gli Stati Membri possano contrastare gli abusi delle misure di accoglienza. Il rifiuto del trasferimento implica un “rischio di abuso del sistema” in quanto impedisce l’esercizio del potere organizzativo dell’amministrazione.
La Corte di giustizia UE ha già risolto il dubbio interpretativo circa le revoche-sanzione, ma non si è ancora pronunciata rispetto alle revoche non sanzionatorie, come in questo caso, dove la revoca è una misura amministrativa adottata per il venir meno dei presupposti (TAR Lombardia, ordinanza n. 625) che ammettevano il ricorrente ed il figlio alle misure di accoglienza. Dunque si richiede che la Corte si esprima sulla corretta interpretazione della normativa europea. L’08 Marzo 2024 la Causa C-184/24 è stata iscritta nel Registro della Corte di giustizia dell’Unione Europea.