03/06/2024
A cura di Andrea Nardone
Con le ordinanze gemelle numeri 1813, 1814 e 1815 del 15 maggio 2024, il Consiglio di Stato, in sede di appello cautelare, ha affermato un importante principio: nel bilanciamento tra l’interesse privato dei concessionari alla prosecuzione dell’attività su un’area del demanio marittimo e l’interesse del Comune all’immissione nel possesso della medesima area, il primo risulta preminente ove l’amministrazione non sia in grado di utilizzare il bene per l’esercizio della corrente stagione balneare.
Le ordinanze traggono le mosse dagli appelli cautelari avverso tre ordinanze del T.A.R. Campania – Salerno (nn. 111, 112 e 113 del 10 aprile 2024), che, in termini sostanzialmente coincidenti, avevano rigettato le istanze per la prosecuzione dell’attività provenienti dagli operatori colpiti da alcuni provvedimenti sanzionatori relativi alle difformità edilizie e urbanistiche dei rispettivi stabilimenti.
Riformando le ordinanze rese in primo grado, i giudici di Palazzo Spada hanno invece ritenuto che, nell’attesa degli approfondimenti da operare in sede di merito, devono ritenersi sussistenti tanto il fumus boni juris quanto il periculum in mora a sostegno delle istanze dei concessionari. Difatti, a livello di fumus, rileva la peculiare complessità delle questioni, in uno alla considerazione che un’eventuale decadenza dalla concessione demaniale non discenderebbe di per sé dalla sola irrogazione delle sanzioni irrogate, trattandosi di conseguenza, se del caso, non automatica.
Dal punto di vista del periculum in mora, il Consiglio di Stato ha tenuto in considerazione la circostanza secondo cui, allo stato, non risultano bandite gare per l’assegnazione delle concessioni, di guisa che “mentre la decadenza preclude alla società appellante ogni ulteriore esercizio dell’attività imprenditoriale da essa svolta, l’immissione nel possesso dell’area da parte del Comune (peraltro non completata, visto il tenore del decreto presidenziale di accoglimento dell’istanza di tutela monocratica) non sembra poter preludere a un utilizzo dell’area stessa per l’esercizio della corrente stagione balneare: nel bilanciamento degli interessi contrapposti, perciò, appare preminente quello del privato, tenuto conto che in questo modo sono altresì soddisfatti gli interessi pubblici alla manutenzione dell’area e alla percezione dei canoni demaniali senza soluzione di continuità”.
L’assunto alla base delle pronunce del Consiglio di Stato, dunque, è che consentendo la prosecuzione dell’attività non si offre tutela unicamente agli interessi patrimoniali dei concessionari, ma al contrario si persegue nel modo migliore proprio l’interesse pubblico. Del resto, ove il periculum prospettato dai concessionarisi fosse sostanziato unicamente in un pregiudizio patrimoniale, l’orientamento restrittivo della giurisprudenza amministrativa avrebbe sicuramente determinato il rigetto dell’istanza cautelare. Al contrario, nelle pronunce del Consiglio di Stato riecheggia quella concezione dei concessionari come organi indiretti della pubblica amministrazione che, tramite la loro attività, esercitano una pubblica funzione, erogando un servizio alla collettività. La peculiarità dei casi sottostanti alle pronunce rese, tuttavia, dovrebbe indurre ad un atteggiamento particolarmente prudente rispetto alla possibilità di interpretazioni estensive. I giudici di Palazzo Spada, infatti, non hanno affermato con vocazione generale un “diritto” alla prosecuzione dell’attività in mancanza di gare per i concessionari decaduti o, semplicemente, i cui titoli siano scaduti. Il presupposto alla base delle ordinanze, invece, sembra essere, piuttosto, proprio quello della mancata decadenza dal titolo, che risulta, allo stato, solamente ipotizzata. Interpretazioni speculative corrono pertanto il rischio di risultare fuorvianti, tanto più ove si consideri che il tema è estremamente delicato: non si deve difatti trascurare che l’art. 1161 cod. nav. prevede il reato di abusiva occupazione di spazio demaniale. La natura penale delle conseguenze per i concessionari, in uno con l’approccio restrittivo della Corte di Cassazione, tutt’altro che incline a scusare agli operatori del settore l’ignoranza della legislazione vigente (cfr. Cass. Pen., Sez. III, sentenza 13 aprile 2022, n. 15676), suggeriscono dunque di attendere l’esito dei giudizi di merito prima di trarre conclusioni generali.