03/06/2024
A cura di Giulia Moscaroli
Con la sentenza del 27 maggio 2024, n. 4701, la Terza Sezione del Consiglio di Stato si è pronunciata sul ricorso proposto da Coopservice Soc. Coop. P.a. avverso la sentenza del TAR Campania-Napoli, n. 377/2024.
La vicenda prende le mosse dalla partecipazione dell’appellante alla gara relativa all’affidamento di un multiservizio tecnologico presso gli immobili di proprietà o in uso alle ASL della Regione Campania. Coopservice impugna l’aggiudicazione e gli atti della gara davanti al TAR Campania, lamentando l’illegittimità della gara per violazione della disciplina dei Criteri ambientali minimi (CAM). In particolare, si duole del fatto che i CAM richiamati nell’art. 14 del Disciplinare tecnico non fossero poi coerentemente declinati nella legge di gara e che fossero destinati solo 4 punti su 70 alla sostenibilità ambientale nell’ambito dei criteri di valutazione delle offerte. Il Giudice di prime cure ha, tuttavia, respinto il ricorso, affermando che il principio di eterointegrazione fa sì che i criteri genericamente richiamati entrino a far parte della legge di gara.
Avverso la pronuncia del TAR la ricorrente propone appello di fronte al Consiglio di Stato, lamentando, in particolare, l’insufficienza, ai fini del rispetto dell’art. 34 d.lgs. n. 50/2016, del mero richiamo ai decreti relativi ai CAM applicabili nel caso di specie.
Il Giudice adito, preliminarmente, interviene per chiarire quale sia la soglia minima normativa di esigibilità della previsione dei CAM all’interno della legge di gara. Sul punto, il Consiglio di Stato ritiene che la questione ponga un problema di bilanciamento tra l’esigenza di semplificazione della lex specialis e quella di effettiva operatività dei CAM nella fase di esecuzione del contratto.
La soluzione va individuata tenendo conto del dato testuale dell’art. 34 del d.lgs. n. 50/2016, il cui contenuto si pone, a livello sostanziale, in relazione di continuità con la nuova disciplina di cui all’art. 57, co. 2, d.lgs. n. 36/2023, che ribadisce il carattere obbligatorio dei CAM, anche in considerazione della recente modifica degli artt. 9 e 41 Cost.
Se il TAR ha considerato legittima la procedura di gara facendo ricorso al principio di eterointegrazione del bando di gara ad opera di norme imperative, il Consiglio di Stato ritiene di non condividere tale conclusione, che non risolve il problema dell’effettivo rispetto dell’art. 34 d.lgs. n. 50/2016.
Richiamando un proprio precedente (Cons. Stato n. 8773/2022), i Giudici di seconde cure precisano che costituisce principio pacifico che la ratio dell’obbligatorietà dei CAM sia da rinvenire nell’esigenza di garantire che la politica nazionale in materia di Green public procurement sia idonea a ridurre gli impatti ambientali, ma anche a promuovere modelli di produzione e di consumo più sostenibili, circolari, e a diffondere un’occupazione verde. Tali criteri, quindi, contribuiscono a connotare l’evoluzione degli appalti pubblici da meri strumenti di acquisizione di beni e servizi a strumenti di politica economica, fino a diventare un vero e proprio segmento dell’economia circolare.
Contrariamente a quanto ritenuto dal TAR, il ricorso all’eterointegrazione della legge di gara ad opera dei decreti che disciplinano gli specifici criteri ambientali non è sufficiente a far ritenere rispettato l’art. 34 d.lgs. n. 50/2016. In particolare, tale disposizione non può ritenersi rispettata con un generico rinvio della legge di gara alle disposizioni vigenti o, tramite una valorizzazione del principio del risultato, con l’allegazione del fatto che l’aggiudicataria avesse comunque presentato con l’offerta prodotti biologici o possedesse certificazioni idonee a minimizzare l’impatto ambientale nella fase esecutiva del contratto.
A giudizio del Consiglio di Stato, la tesi della eterointegrazione, che ha consentito al Giudice di prime cure di ritenere legittima la legge di gara, ha l’effetto di spostare nella fase esecutiva del contratto ogni questione relativa alla conformità della prestazione ai CAM, poiché la genericità del disciplinare e del capitolato sulla questione comportano la necessità di integrare ab extrinseco la disciplina. Tale circostanza si pone, in realtà, in contraddizione con il principio del risultato, il quale mira a sollecitare una definizione, in termini di certezza e stabilità del rapporto negoziale, dei reciproci diritti e obblighi.
Per quanto concerne il principio del risultato, il TAR ha utilizzato tale argomento per confermare la legittimità della legge di gara, ritenendo che l’esigenza da garantire sia il conseguimento dell’obiettivo dell’azione pubblica, rispetto alla quale sarebbero recessivi i formalismi cui non corrisponda una concreta esigenza del privato, che non potrebbe dirsi, nel caso di specie, inconsapevole delle modalità con le quali formulare la propria offerta in ragione della formulazione degli atti di gara.
Il Consiglio di Stato, tuttavia, non condivide tale conclusione. L’impostazione del TAR, infatti, trascura di considerare che il risultato avuto di mira dal Codice dei contratti pubblici, in questo caso, non è tanto l’effettivo e tempestivo svolgimento del servizio, quanto piuttosto uno svolgimento del servizio finalizzato all’attuazione delle politiche ambientali, rispetto alle quali sono funzionali i CAM. In questo senso, il principio del risultato deve appuntarsi sul soddisfacimento dell’interesse pubblico primario portato dalle norme che si assumono violate. Diversamente, si determinerebbe una divaricazione tra la politica ambientale predicata dall’art. 34 d.lgs. n. 50/2016, che regola l’esercizio del potere nel caso di specie, e quella effettivamente praticata mediante i concreti obblighi negoziali.
Nell’attuale quadro normativo, infatti, il contratto di appalto è uno strumento a plurimo impiego, funzionale all’attuazione di politiche ulteriori rispetto all’oggetto negoziale immediato. Si tratta, quindi, di uno strumento plurifunzionale di politiche economiche e sociali, per cui la scelta del miglior offerente deve prendere in considerazione anche la capacità dell’offerente di concorrere a tutelare concretamente gli ulteriori interessi pubblici assegnati alla cura dell’amministrazione. Di conseguenza, la nozione di risultato non ha riguardo unicamente alla rapidità e alla economicità, ma anche alla qualità della prestazione offerta.
Alla luce delle ragioni esplicitate, il Consiglio di Stato accoglie il ricorso e riforma la sentenza gravata, con conseguente annullamento degli atti impugnati. La sentenza risulta di estremo interesse, confermando l’orientamento della giurisprudenza teso a valorizzare l’effettivo perseguimento delle politiche ambientali. I Giudici di palazzo Spada, infatti, chiariscono che, seppure sia possibile un’eterogenesi dei fini nei bandi di gara, non può essere pregiudicata la predeterminazione specifica dei criteri di gara, ivi inclusi i criteri ambientali che gli operatori economici sono tenuti a rispettare nell’ambito della procedura di gara e, soprattutto, della successiva esecuzione del contratto.