29/01/2024
A cura di Cristiana Traetta
Con sentenza n. 11322 del 29/12/2023 il Consiglio di Stato ha rigettato l’appello avverso la decisione del TAR Piemonte n. 664/2023 con cui veniva respinta la richiesta di annullare la revoca dell’aggiudicazione a favore della società reclamante, risultata alla fine esser priva dei certificati ambientali per la prova di una gestione a ridotto impatto ambientale.
Il Comune di Torino bandisce una gara per l’affidamento del servizio di ristorazione delle mense di asili nido, scuole d’infanzia statali e comunali. Tra i requisiti di idoneità allo svolgimento dell’attività vi è quello del necessario e congiunto possesso dei certificati ISO 14001 e EMAS, in un’ottica di tutela dei c.d. interessi sensibili che soggiacciono dietro simili prestazioni. Se in un primo momento l’aggiudicazione era avvenuta a favore dell’appellante, a seguito dell’attività di verifica dei requisiti da parte del Dirigente, questa le viene revocata: in particolare viene constatato il difetto del possesso delle due certificazioni.
Il Collegio conferma la decisione del Giudice di primo grado per quanto riguarda l’infondatezza circa l’asserita violazione della lex specialis di Gara, dell’art. 87 d. lgs. 50/2016 e del principio del favor partecipationis e si sofferma in particolare sul principio del risultato, richiamato dalla difesa della ricorrente per sostenere la formalità del requisito in questione e dunque la sua inidoneità nel determinare l’inefficacia dell’aggiudicazione.
L’appellante infatti lamenta che la sentenza gravata violerebbe il principio di tassatività delle cause di esclusione e dell’art. 97 Cost di cui l’art. 1 del D. Lgs. costituisce espressione, come chiarito in altre occasioni dalla stessa giurisprudenza del Consiglio di Stato e ritenuto applicabile anche alle procedure avviate sotto la vigenza del precedente codice. Viene sostenuto che se in un primo momento l’assistita era risultata l’offerente migliore, tanto da aggiudicarsi il bando “appare in tutta la sua chiarezza il mero formalismo della vicenda da coniugare in termini di falsa applicazione del principio del risultato”. La difesa ricostruisce il principio del risultato come strumento che ha come scopo anche quello di scardinare l’approccio formalistico dell’attività dell’amministrazione, vincolato da tante regole che hanno poco a che vedere con la finalità di erogare un servizio nei confronti della collettività. Il giudice ritiene improprie tali argomentazioni in primo luogo sulla base del ruolo ormai pacificamente riconosciuto, anche da parte della Giurisprudenza comunitaria, ai contratti di appalto pubblici, i quali costituiscono uno strumento a plurimo impiego” funzionale all’attuazione di politiche pubbliche ulteriori rispetto all’oggetto negoziale immediato: in altre parole, uno strumento plurifunzionale di politiche economiche e sociali, con conseguenti ricadute sulla causa del provvedimento di scelta del contraente. Come evidenziato prima facie dalla stessa lex specialis, non si ricercava solo di soddisfare l’esigenza del servizio di ristorazione scolastica bensì anche quello di efficientamento del sistema di gestione ambientale dei processi aziendali di produzione del servizio di ristorazione collettiva. Non può ritenersi un mero cavillo formalistico il difetto di tali certificati se la stazione appaltante li richiede espressamente nell’ambito della sua discrezionalità. Un’offerta può essere ritenuta la migliore in termini economici rispetto alle altre solo a parità di standard qualitativi. Il Consiglio di Stato replica che il problema della dimostrazione del requisito qualitativo è un problema non di forma bensì di sostanza, diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente.
Il richiamo alla nozione di risultato integra i parametri di legittimità dell’azione amministrativa con riguardo ad una categoria che implica verifiche sostanziali di effettività del raggiungimento degli obiettivi di merito o di metodo. Nel caso di specie il risultato sotteso alla commessa riguarda, per precisa scelta dell’amministrazione committente, non la prestazione del servizio di ristorazione scolastica in quanto tale, ma quella relativa ad un servizio caratterizzato dalla conformità a politiche ambientali per lo sviluppo sostenibile.
L’offerta non solo non può considerarsi la migliore, ma il giudice precisa che essa non poteva fin dall’inizio essere ammessa in gara.
Dal ragionamento del Collegio emerge che la previsione che richiedeva i certificati è posta a presidio della sostanziale corrispondenza tra quanto domandato dalla s.a. e quanto offerto. Il fatto che la pubblica amministrazione abbia interesse ad incentivare la partecipazione alle gare di soggetti particolarmente qualificati, che garantiscano elevati standard qualitativi al fine di svolgere al meglio le prestazioni sembra un dato da accogliere positivamente. Pertanto il principio del risultato non è volto ad assicurare unicamente la rapidità ed economicità delle procedure di evidenza pubblica consentendo di salvare un qualunque esito solo perché ormai già raggiunto. Inoltre esso, saldato con il principio della fiducia di cui all’art. 2 del rinnovato codice appalti, valorizza l’autonomia decisionale dei funzionari pubblici non solo affinché le procedure siano meno condizionate da sottigliezze formali e da continui blocchi, ma soprattutto per consentire di agire nel modo più rispondente agli interessi della collettività, massimizzandone il benessere. D’altronde il principio del risultato non può trasformarsi in pretesto per sindacare le valutazioni riservate dalla legge alla s.a. Residua uno spazio per domandarsi se il perseguimento di politiche ulteriori possa avvenire indistintamente attraverso il mercato della contrattazione pubblica a prescindere dall’oggetto dell’appalto, soprattutto alla luce degli obiettivi di efficientamento da raggiungere: questione da risolvere positivamente nel caso della prestazione del servizio di ristorazione visto gli interessi in gioco, ma forse non in ogni situazione.