20/02/2023
A cura di Matteo Farnese
Il Reg. 2019/452 rappresenta una novità nel panorama europeo, istituendo una cornice normativa per il controllo degli investimenti esteri diretti all’interno dell’Unione. La nuova normativa si inserisce nelle discipline regolatorie del mercato unico, all’interno delle quali, un ruolo di primo piano è occupato dal Regolamento (CE) n. 139/2004 del Consiglio (Regolamento Merger). Appare, quindi, importante analizzare il rapporto tra il Reg. 2019/452 e la normativa antitrust al fine di comprendere il grado di coordinamento tra le discipline, anche alla luce delle prime applicazioni pratiche. A tal fine, appare utile concentrare l’attenzione su due fattori principali: lo scopo delle due normative e la possibile sovrapposizione applicativa.
Con riguardo al primo punto, lo scopo delle due normative è diverso. Il controllo degli investimenti esteri diretti offre tutela contro rischi alla sicurezza e all’ordine pubblico dello Stato mentre il controllo delle concentrazioni è volto a garantire una concorrenza leale e i principi di un’economia di libero mercato all’interno dell’Unione.
Con riguardo al secondo punto, è concepibile una sovrapposizione del campo di applicazione delle due discipline. È, infatti, possibile che una concentrazione di dimensione comunitaria possa riguardare almeno una società attiva nei settori di rilevanza strategica nazionale. In tal caso, si attiverebbero entrambi i controlli ai sensi delle rispettive normative. La circostanza di una possibile sovrapposizione delle discipline pone la questione fondamentale del coordinamento tra le stesse.
Tale aspetto sembra essere regolato dal considerando 36 del Reg. 2019/452, che impone una coerente applicazione tra le discipline, e dall’art. 21, par. 4 del Regolamento Merger, che prevede alcune eccezioni alla competenza esclusiva della Commissione nel controllo delle concentrazioni. In sintesi, l’articolo in esame prevede due tipologie di provvedimenti eccezionali adottabili dagli Stati membri: quelli per cui vi deve essere una preventiva comunicazione alla Commissione europea al fine di accertarne la legittimità e quelli per cui tale comunicazione non è prevista. In quest’ultima categoria rientrano i provvedimenti adottati a tutela della sicurezza pubblica. È, quindi, possibile che ogni provvedimento adottato ai sensi della normativa golden power, il cui scopo è quello di tutelare la sicurezza pubblica dello Stato, rappresenti un’eccezione alla competenza della Commissione? Al fine di chiarire tale aspetto, si può far riferimento alla decisione del 21 febbraio 2022 della Commissione europea riguardante il caso M.10494 – VIG/AEGON CEE, resa pubblica in data 6 febbraio 2023.
Il caso riguardava l’acquisizione da parte di VIG, gruppo assicurativo austriaco attivo nel centro e nell’est Europa, dell’intero capitale sociale di AEGON CEE, società che comprende i business polacchi, romeni, ungheresi e turchi del gruppo assicurativo AEGON. Nei confronti dell’operazione in esame, il 6 aprile 2021 il Ministro dell’interno ungherese ha adottato un provvedimento di veto ai sensi della normativa Golden power nazionale, negando l’acquisizione del business ungherese per motivi di sicurezza pubblica. Il 20 luglio 2021 la Commissione europea ha iniziato un’indagine nei confronti di tale decisione inviando la prima richiesta di informazioni all’Ungheria.
L’autorità ungherese ha risposto attraverso le seguenti motivazioni: (i) il provvedimento è stato adottato a tutela della sicurezza pubblica e non doveva essere comunicato preventivamente alla Commissione europea ai sensi dell’art. 21 del Regolamento Merger; (ii) la sicurezza pubblica rappresenta una riconosciuta eccezione alla libertà di stabilimento; (iii) è pratica comune per gli Stati membri controllare i settori strategici come quello assicurativo e altri Stati membri hanno regole simili; (iv) il veto si basa su informazioni classificate che non possono essere trasmesse alla Commissione; (v) le questioni sollevate sono state oggetto di giudizio di fronte a tribunale nazionale che ha deciso in favore del governo ungherese.
La risposta generale e vaga dell’Ungheria ha portato la Commissione europea a trasmettere, in data 29 ottobre 2021, un’ulteriore richiesta di informazioni al fine di specificare meglio le ragioni che hanno portato all’adozione del provvedimento di veto e che potessero giustificare una tale restrizione alla libertà di stabilimento. A fronte di tale richiesta, l’autorità ungherese non ha prodotto nuova documentazione rilevante a specificare i rischi dell’operazione o a escludere che l’utilizzo di provvedimenti meno incisivi avrebbe potuto essere sufficiente ad evitare i rischi prospettati. In data 21 febbraio 2022, con la decisione in esame, la Commissione ha accertato la violazione dell’art. 21, par. 4, Regolamento Merger da parte dell’Ungheria, ordinando di ritirare il veto all’acquisizione in modo che la Commissione potesse esercitare la competenza esclusiva in materia antitrust.
All’interno della decisione, la Commissione europea analizza il rapporto tra l’art. 21 del Regolamento Merger e la disciplina Golden power ungherese, rispondendo agli argomenti addotti dall’autorità nazionale. In particolare, la Commissione europea ha svolto la propria analisi attraverso tre argomenti principali.
In primo luogo, il fatto che il provvedimento di veto sia adottato a tutela della sicurezza pubblica non impedisce alla Commissione di indagare in quanto si offrirebbe allo Stato membro una facile via per aggirare il Regolamento Merger.
In secondo luogo, la Commissione ha analizzato la necessità di preventiva comunicazione del provvedimento di veto in quanto non adottato a tutela della sicurezza pubblica, bensì di un altro interesse. L’analisi della Commissione si è quindi concentrata sull’insussistenza di pericoli alla sicurezza pubblica derivanti dall’operazione, esaminando, oltre alla carente motivazione addotta dall’autorità ungherese, anche la presenza decennale di VIG in Ungheria e il fatto che nessun altro Stato membro interessato dall’operazione avesse sollevato questioni simili in relazione all’investimento. Appariva, quindi, improbabile che l’investimento potesse recare pericoli alla sicurezza pubblica e, in conseguenza di ciò, l’Ungheria avrebbe dovuto comunicare preventivamente il provvedimento di veto al fine di valutarne la legittimità. Attraverso questa valutazione, la Commissione si è sostituita allo Stato membro nell’analisi dei rischi svolta dall’autorità nazionale in quanto non sono stati addotti motivi convincenti a supportare le ragioni del veto.
In terzo luogo, la motivazione addotta dall’Ungheria, che essenzialmente si basava sulla presenza di informazioni classificate non condivisibili con la Commissione, rappresenta una violazione del dovere di leale cooperazione tra Stati membri e Commissione. Nonostante l’art. 346, par. 1, lett. a) del TFUE contenga una deroga che permette agli Stati membri di non fornire informazioni la cui divulgazione sia dallo stesso considerata contraria agli interessi essenziali della propria sicurezza, in svariate pronunce la CGUE ha rilevato che non vi è alcuna presunzione che le ragioni addotte dalle autorità nazionali siano valide, per cui grava sullo Stato membro l’onere della prova dei rischi presenti in caso di divulgazione delle informazioni.
In conclusione, la stessa Commissione europea, nella decisione in esame, sembra affermare che la coerente applicazione delle due discipline di cui al considerando 36 del Reg. 2019/452 debba essere intesa come la possibilità che il provvedimento di esercizio dei poteri speciali sia soggetto al vaglio della Commissione europea. Il controllo della Commissione europea può sostanziarsi in una valutazione dell’idoneità e proporzionalità del provvedimento nel contrastare il rischio che lo stesso intende affrontare, prendendo in considerazione sia gli elementi di contesto dell’operazione sia gli elementi di prova inviati dagli Stati membri riguardo le proprie valutazioni. Un’ultima considerazione può essere svolta con riguardo al dialogo tra le autorità competenti delle due discipline. Paradossalmente, il fatto che l’operazione fosse una concentrazione tra imprese europee può aver facilitato il tentativo di elusione della normativa antitrust da parte dell’Ungheria. Infatti, in caso di concentrazione portata avanti da un investitore estero, si attiverebbe il meccanismo di cooperazione europea, permettendo un maggior coordinamento tra le autorità competenti. L’assenza di dialogo tra queste autorità in caso di operazioni intra-UE, quindi, sembra essere un aspetto rilevante, soprattutto alla luce delle ultime modifiche legislative adottate da molti Stati membri, finalizzate ad estendere la disciplina del controllo degli investimenti esteri diretti anche a operazioni puramente europee. È, quindi, auspicabile la previsione di un contatto tra le autorità competenti al fine di assicurare la coerenza negli esiti dei due procedimenti di verifica e, in ultima analisi, la definizione stabile della situazione giuridica delle imprese coinvolte nell’operazione.