20/02/2023
A cura di Beatrice Tabacco
Il dibattito pubblico rappresenta lo strumento individuato dal legislatore per anticipare i possibili conflitti che accompagnano la realizzazione di grandi opere. Questo processo di informazione, partecipazione e confronto pubblico su opere di interesse nazionale si svolge nella fase iniziale della progettazione, nel momento in cui le alternative sono ancora aperte e la decisione – se e come realizzare una determinata opera -, deve essere ancora presa.
Il dibattito pubblico garantisce ai cittadini il diritto ad un’informazione corretta, completa e accessibile, e il diritto di prendere parte alle decisioni su progetti che li riguardano.
Lo strumento del dibattito pubblico è stato per la prima volta regolato in Italia nel 2016, con la riforma degli Appalti. I decreti attuativi sono stati però realizzati solo nel 2018, mentre la Commissione Nazionale Dibattito Pubblico è stata costituita nel 2020. L’emergenza sanitaria da Covid–19 ha rallentato i primi tentativi di dibattito pubblico e nel 2020, con il Decreto Legge n. 76, l’utilizzo di questo strumento è diventato facoltativo. La successiva evoluzione giunge con il PNRR del Governo Draghi, che nelle specifiche per l’attuazione del Piano si occupa del Dibattito Pubblico: ne viene incentivata l’applicazione e, nonostante i tempi di svolgimento siano stati ridotti, vengono abbassate le soglie dimensionali ed economiche per le quali è obbligatorio applicare il dibattito pubblico. Quest’ultimo passaggio avviene nel maggio 2021; al giorno d’oggi sono segnalati sul sito della Commissione Nazionale 17 Dibattiti Pubblici, dei quali nove sono già stati conclusi e otto sono ancora in corso.
Nell’elaborazione del modello del dibattito pubblico italiano è stato preso come esempio quello francese, più datato – nasce già nel 1995 –, e con una più ampia applicazione. Il nostro modello, a differenza dell’istituto francese, che prevede una Commissione Speciale incaricata di coordinare un singolo dibattito relativo ad uno specifico progetto, affida il coordinamento ad un solo soggetto. Dal momento che il coordinatore nostrano viene scelto attraverso una gara pubblica, il modello italiano si inserisce in una dinamica di mercato che potrebbe portare ad una riduzione delle risorse utilizzabili. Proprio una minore disponibilità di risorse, dovuta ai meccanismi di mercato, potrebbe pregiudicare la sua indipendenza e autonomia.
Nonostante anche i tempi e il budget a disposizione siano diversi, il fine rimane lo stesso: informare in maniera trasparente la cittadinanza sull’opportunità dell’opera, discuterne le implicazioni, raccogliere preoccupazioni e critiche, migliorare il progetto e arricchirlo grazie al contributo degli abitanti. Il nuovo Codice dei Contratti Pubblici si inserisce all’interno di questa cornice a seguito di un anno di sperimentazioni. Secondo questo schema, il Dibattito Pubblico si aprirebbe con la pubblicazione, da parte della stazione appaltante sul proprio sito internet, del progetto. A questo punto, i soggetti che ritengono possa derivare loro un pregiudizio dall’intervento hanno 60 giorni per presentare le loro osservazioni, trascorso il quale, il coordinatore del Dibattito Pubblico si accinge a vagliare le osservazioni raccolte, redigendo una loro “sintetica descrizione” e indicando quelle “meritevoli” di considerazione. Pubblicata la relazione, il Dibattito Pubblico si ritiene concluso. La Commissione Nazionale Dibattito Pubblico, la rendicontazione degli esiti da parte del coordinatore e l’obbligo di risposta da parte di chi propone l’opera non sono a questo punto più necessari. La partecipazione viene limitata solo ai soggetti formalmente organizzati che ricaverebbero un danno dalla realizzazione dell’opera. Il processo diventa dunque esclusivamente digitale, scevro da qualsiasi forma di confronto e scambio.