03/10/2022
A cura di Andrea Nardone
La Cassazione penale, sezione III, in data 13 aprile 2022 si è pronunciata con la sentenza n. 15676, la quale ha inciso significativamente sulla portata delle sentenze gemelle nn. 17 e 18 del 9 novembre 2021 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato. In particolare, queste ultime pronunce avevano ravvisato un contrasto insanabile tra le proroghe in materia di concessioni demaniali marittime previste dalla normativa interna (da ultimo con legge n. 145/2018 fino al 31 dicembre 2033) e la normativa euro-unitaria, segnatamente l’art. 49 TFUE e l’art. 12 della dir. 2006/123/CE (c.d. direttiva Bolkestein), motivo che aveva spinto i giudici di Palazzo Spada a disporre che le proroghe previste dalla normativa nazionale venissero disapplicate dall’autorità giudiziaria e dalle pubbliche amministrazioni, differendo tuttavia gli effetti di tale disapplicazione al 31 dicembre 2023, e ciò per evitare l’impatto economico di una decadenza immediata e generalizzata delle concessioni in essere e per consentire alle amministrazioni di predisporre le procedure di gara richieste.
Con quelle sentenze, l’Adunanza Plenaria aveva poi precisato che dalla disapplicazione della legge nazionale anticomunitaria non possono derivare «conseguenze in punto di responsabilità penale, per la semplice ragione che il diritto dell’Unione non può mai produrre effetti penali diretti in malam partem». A ciò, infatti, ostano i principi costituzionali di riserva di legge statale e di irretroattività della legge penale, comuni alle tradizioni costituzionali dei paesi comunitari.
La suddetta affermazione deve tuttavia essere meglio precisata alla luce delle delucidazioni offerte in proposito dalla Corte di Cassazione nella recente sentenza n. 15676, presa in esame nella presente sede. Tale pronuncia muove, all’esito di un’intricata vicenda, dal ricorso del difensore del concessionario di un lido genovese, i Bagni Liggia. Più in particolare, l’area riguardante questi ultimi era stata sottoposta a sequestro preventivo in relazione alla ipotizzata contravvenzione di occupazione abusiva prevista dall’art. 1161 del codice della navigazione: difatti, a seguito di un controllo della Guardia Costiera nel 2018, la concessione di quel lido risultava scaduta il 31 dicembre 2009, laddove il concessionario, facendo affidamento sulla comunicazione di recepimento di due leggi di proroga lui indirizzata dal comune di Genova, ancora occupava l’area. Il sequestro, a seguito di un’odissea giudiziaria, veniva confermato dalla Corte di Cassazione, che si pronunciava con due sentenze (Cass. penale, Sez. III, 6 marzo 2019, n. 25993 e Cass. penale, Sez. IV, 7 febbraio 2020, n. 10218): sul punto, pertanto, si formava il c.d. giudicato cautelare, con efficacia preclusiva di ogni istanza di dissequestro. Nondimeno, a seguito di plurime istanze, il difensore del concessionario riusciva ad ottenere un provvedimento di dissequestro da parte del GIP, salvo poi essere tale provvedimento annullato con ordinanza del Tribunale del riesame a seguito dell’appello cautelare proposto dal PM. Il Tribunale del riesame, quindi, con l’ordinanza ripristinava il sequestro preventivo, valorizzando l’efficacia preclusiva endoprocessuale del giudicato cautelare formatosi a seguito delle pronunce della Cassazione.
Tuttavia, secondo il difensore del concessionario, il Tribunale del riesame, nella sua ordinanza, avrebbe trascurato di prendere in considerazione la sentenza n. 18/2021 del Consiglio di Stato, la quale sarebbe stata idonea, nella ricostruzione da lui prospettata, a rappresentare un «fatto sopravvenuto» tale da fare venire meno, ex art. 321 c.p.p., le condizioni di applicabilità del sequestro preventivo. Il difensore ricorreva pertanto per Cassazione avverso l’ordinanza di annullamento del dissequestro con un unico motivo di doglianza, che riguardava la violazione di legge in relazione agli artt. 1161 codice della navigazione, all’art. 49 TFUE e all’art. 12 dir. 123/2006/CE.
La Cassazione rigettava il ricorso, ritenendolo inammissibile. Secondo i giudici di legittimità, la sentenza n. 18 del 2021 dell’Adunanza Plenaria non potrebbe rappresentare quel «fatto sopravvenuto» tale da travolgere il giudicato cautelare, semplicemente perché non tange la concessione in esame e non modifica la posizione del ricorrente. La concessione de qua era infatti scaduta il 31 dicembre 2009, non avendo beneficiato della proroga disposta dal decreto-legge n. 194 del 30 dicembre 2009 (convertito dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25). Era solo sulle concessioni beneficiate da questa legge che si erano poi «innestate» le successive proroghe: dapprima quella fino al 31 dicembre 2020, disposta dal decreto-legge 18 ottobre 2012 n. 179, convertito dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, e poi quella fino al 31 dicembre 2033, disposta dai commi 682 e 683 dell’art. 1 della legge 30 dicembre 2018, n. 145.
La moratoria del 2009, a suo tempo, era stata l’esito di un «compromesso». Il legislatore, per chiudere la procedura di infrazione n. 2008/4908, aveva infatti abrogato il c.d. diritto di insistenza (e cioè l’automatica preferenza attribuita al concessionario uscente in sede di affidamento, prevista dall’art. 37, co. 2 cod. nav.), concedendo a compensazione dei concessionari una proroga fino al 2015 delle concessioni in essere. Tale disciplina aveva un carattere eminentemente «transitorio». La ratio della proroga era duplice: da un lato, il legislatore si prendeva il tempo di conformarsi agli obblighi comunitari attraverso una revisione della legislazione in materia, da realizzarsi sulla base di una intesa da raggiungere in sede di Conferenza Stato-Regioni; dall’altro, con essa si consentiva ai titolari di stabilimenti balneari l’ammortamento degli investimenti effettuati. Proprio in ragione del suo «carattere transitorio», però, la proroga andava a beneficiare soltanto le concessioni «nuove», e cioè quelle sorte dopo la legge 16 marzo 2001, n. 88. Tale non era la concessione dei Bagni Liggia, che risaliva al 1998, ed era pertanto una concessione «vecchia»; né valeva invocare, come aveva fatto il concessionario, che egli aveva ottenuto un rinnovo per sei anni nel 2003, non potendosi equiparare un rinnovo ad una concessione ex novo.
Il ragionamento dei giudici, quindi, ricostruisce l’avvicendarsi delle proroghe al pari di un processo di stratificazione: il che è perfettamente coerente da un punto di vista formale, ma rischia di trascurare la situazione di incertezza imperante in materia quando da tale ricostruzione fa derivare la possibile affermazione della responsabilità penale dei concessionari. Il concessionario, infatti, dal 2009 in poi, avrebbe occupato l’area «arbitrariamente», e cioè senza un valido titolo concessorio. La Cassazione ha ritenuto dunque che ci fossero elementi sufficienti per ritenere sussistente il fumus del reato di cui all’art. 1161 cod. nav. e per confermare il sequestro preventivo.
Quanto all’elemento soggettivo del reato, la Corte di Cassazione ha ricordato, richiamando il proprio orientamento costante sul punto, come lo standard del dovere di informazione in capo a chi svolge professionalmente una determinata attività sia particolarmente elevato, essendo sufficiente, per rispondere dell’illecito di occupazione abusiva, la semplice culpa levis. Tali soggetti devono pertanto premurarsi di compiere ogni accertamento per conoscere la legislazione vigente in materia, non potendo altrimenti appellarsi ad un mero «atteggiamento acquiescente» della pubblica amministrazione nei loro confronti (come il fatto che il comune non avesse intrapreso azioni di recupero del bene concesso). Solo ove l’errore nell’interpretazione della legislazione sia derivato da un fatto positivo riconducibile agli organi amministrativi, che abbia ingenerato negli operatori un erroneo convincimento di liceità del loro comportamento, si potrebbe ritenere fondata quella buona fede che, nelle contravvenzioni, vale come scusante, portando all’esclusione dell’elemento soggettivo. Non essendo questo il caso della comunicazione di recepimento delle proroghe inviata dal comune, i giudici nella fattispecie hanno ritenuto sussistente, quantomeno in termini di fumus, l’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 1161 cod. nav.
Nel frattempo, il comune di Genova, in attesa che siano avviate le procedure di gara per la nuova concessione del lido dei Bagni Liggia, per l’estate trascorsa ha promosso un affidamento temporaneo del bene. Tra i requisiti di partecipazione era stato indicato che il beneficiario fosse una associazione senza scopo di lucro: il comune ha infine affidato il lido al circolo ricreativo legato all’ospedale pediatrico Gaslini. L’iniziativa appare lodevole, dal momento che valorizza la dimensione collettivistica del bene demaniale, in attuazione del principio di sussidiarietà orizzontale di cui all’art. 118, co. 4 Cost., consentendo così il soddisfacimento degli interessi generali della collettività.