Lab-IP

LABORATORIO PER L’INNOVAZIONE PUBBLICA 1/2022

INDICE

  • La dimensione informale del golden power: il caso KKR-TIM di Matteo Farnese.  
  • L’emergenza golden power nel Decreto Milleproroghe 2022: un eterno ritorno? di Tommaso Di Prospero.
  • Verso un nuovo stadio San Siro con volumetrie più contenute nel rispetto del pgt, quale il futuro del vecchio Meazza tra rilievi giuridici ed economico-sociali? di Antonio Triglia.
  • La Francia sotto la lente d’ingrandimento del greco. trasparenza, cooperazione e controllo: le tre parole chiave del report dell’assemblea di palazzo Agora’ di Eugenio Parisi.
  • La giurisdizione del G.A. sul risarcimento danni derivanti dall’annullamento di un provvedimento favorevole di Francesca Saveria Pellegrino

1. La dimensione informale del golden power: il caso KKR-TIM 

A cura di Matteo Farnese

La normativa sul Golden Power in Italia è di elaborazione relativamente recente: introdotta con il d.l. 21/2012, è stata più volte emendata e affinata, da ultimo nel 2021, anche sulla spinta del reg. UE 2019/452. È utile, quindi, ragionare sull’efficacia della stessa normativa, alla luce dell’esperienza che sta maturando e delle soluzioni approntate da altri ordinamenti, al fine di comprendere se essa possa ritenersi ormai consolidata o se, invece, sia possibile individuare eventuali ulteriori aree di miglioramento. In questa prospettiva, il recente caso riguardante KKR (uno dei principali fondi di investimento statunitensi) e TIM (il principale operatore infrastrutturale italiano) offre utili spunti di riflessione. TIM, infatti, detiene asset strategici, rientra appieno nella disciplina Golden Power ed è stata già oggetto di specifici procedimenti, alcuni dei quali conclusi con l’imposizione di prescrizioni da parte del Governo, e potrebbe presto ritrovarsi in un nuovo procedimento.

In particolare, TIM, con il comunicato stampa del 21 novembre, ha informato di aver preso atto della manifestazione di interesse “non vincolante ed indicativa”, proposta da KKR il 19 novembre, al fine di effettuare un’offerta pubblica di acquisto (OPA) volontaria sul 100% delle azioni ordinarie e di risparmio della società, con l’obiettivo di raggiungere almeno il 51% del capitale. Hai informato inoltre, che KKR ha posto alcune condizioni al formale lancio dell’OPA, tra cui “il gradimento dei soggetti istituzionali rilevanti”.

A valle della manifestazione di interesse, il Governo italiano, con il comunicato del Ministero dell’economia e delle finanze n. 217 del 21 novembre, ha reso noto di aver costituito “un gruppo di lavoro composto dagli esponenti di Governo titolari delle competenze istituzionali principalmente coinvolte per seguire l’evoluzione del progetto”.

Il 14 dicembre, KKR, attraverso un proprio comunicato stampa, sollecitato dalla Consob, ha precisato quali condizioni per l’effettivo lancio dell’OPA, oltre all’espletamento di una preventiva due diligence, anche “l’approvazione del Governo italiano”. 

Nonostante l’operazione sia ancora nella fase iniziale, risulta estremamente interessante il fatto che l’investitore abbia interesse nel sollecitare un’interlocuzione preventiva con il Governo e che questo abbia deciso di costituire un “gruppo di lavoro istituzionale”, precedentemente alla presentazione dell’offerta. La normativa vigente, infatti, non prevede simili eventualità. Le iniziative assunte, quindi, si pongono al di fuori del quadro normativo vigente e riflettono piuttosto un’esigenza per entrambi gli attori: da un parte, KKR mostra la necessità di comprendere le intenzioni del Governo prima di affrontare un’onerosa procedura, con risvolti anche reputazionali; dall’altra parte, il Governo avverte la necessità di comprendere meglio la dinamica in atto e prepararsi per tempo a gestire una complessa operazione, con effetti, anche per parte sua, reputazionali, non potendo mostrarsi ostile agli investimenti esteri, specialmente quando promossi da investitori americani. Questa esigenza non è prevista nella normativa interna. Così si agisce in modo estemporaneo, al di fuori di essa. 

La soluzione adottata dal Governo italiano presenta particolari profili di opportunità, ma al tempo stesso anche problematici.

Con riguardo alle opportunità, se ne possono annoverare sicuramente due. In primo luogo, permettere un vaglio preliminare dell’operazione e rafforzare la collaborazione tra i soggetti istituzionali e l’investitore straniero. In secondo luogo, il Governo, attraverso questo strumento, potrebbe orientare le scelte volontarie dell’investitore in modo da non determinare l’imposizione di specifiche prescrizioni o l’utilizzo di raccomandazioni, assumendo un atteggiamento formalmente market friendly ma, in sostanza, interventista.

Con riguardo agli aspetti critici, se ne possono annoverare almeno tre. In primo luogo, la mancanza di fondamento normativo del gruppo di lavoro e la non vincolatività degli atti o dei pareri espressi dallo stesso. In secondo luogo, la configurazione in capo all’investitore straniero di una situazione giuridica priva delle tutele, sia procedimentali, sia nei confronti dell’atto conclusivo, che, in caso di opposizione all’investimento da parte del gruppo di lavoro, potrebbe addirittura portare alla rinuncia del progetto. In terzo luogo, la noncuranza rispetto alla procedura delineata nel reg. UE 2019/452, che prevede la partecipazione della Commissione europea e degli Stati Membri, a cui spetta il potere di formulare osservazioni in merito all’operazione soggetta alla disciplina del Golden Power. Agendo in via informale, al di fuori della procedura, i soggetti istituzionali europei potenzialmente interessati potrebbero essere esclusi dal processo decisionale.

Questi aspetti problematici potrebbero essere risolti o mitigati guardando alle soluzioni approntate da altri ordinamenti come, ad esempio, quello francese. La soluzione atipica elaborata dall’esecutivo, infatti, sembra avvicinarsi alla procedura della normativa francese sul Golden Power, prevista nel Code monétaire et financier. L’art. R. 151-4, infatti, prevede per l’investitore la possibilità di richiedere preliminarmente al Governo un’opinione per capire quali parti dell’attività oggetto dell’investimento rientrino nella sfera di applicazione della normativa sul controllo degli investimenti esteri. In tal caso, il Governo è obbligato a rispondere all’istanza dell’investitore nel termine di due mesi. Confrontato con il caso di specie, la disciplina francese offre degli spunti che aprono ad una riflessione più ampia. KKR, infatti, ha fin da subito voluto intraprendere contatti con il Governo italiano, non per limitarsi a richieste generali sulla normativa, ma per conoscere preliminarmente l’orientamento dell’esecutivo nei confronti dell’operazione. 

L’utilizzo dell’istituto francese consentirebbe solo un contatto limitato tra le parti, che ben si innesta nella logica del sistema autorizzativo d’oltralpe, ma che nel sistema italiano potrebbe trovare uno sviluppo ulteriore, consentendo all’investitore estero di capire l’indirizzo del Governo, soprattutto nelle operazioni più onerose e complesse.

In conclusione, la vicenda in corso KKR-TIM mostra come la necessità di far fronte ad alcune esigenze conoscitive e istruttorie possa indurre sia gli investitori che il Governo a ricercare forme preliminari di interlocuzione e di confronto. In assenza di specifiche previsioni, queste possono avvenire secondo modalità informali ed estemporanee, legate alla rilevanza del caso e rimesse alle scelte del momento. Modalità, queste, che se, da un lato, presentano l’opportunità di rimediare ai limiti del quadro normativo, dall’altro, recano anche grandi insidie soprattutto in termini di trasparenza, di tutela delle posizioni giuridiche degli interessati e di conformità rispetto alla disciplina europea. Per farvi fronte, utili spunti si ricavano dalla normativa introdotta e sperimentata in Francia, dove opera l’istituto della “prenotifica”. L’introduzione anche in Italia di tale istituto potrebbe costituire un ulteriore passo in avanti nella costruzione di una disciplina sul Golden Power maggiormente efficace e al contempo più rispettosa delle istanze di partecipazione e di tutela e, in ultima analisi, dello Stato di diritto.

2. L’emergenza golden power nel Decreto Milleproroghe 2022: un eterno ritorno?

A cura di Tommaso di Prospero 

Il 23 dicembre 2021 il Consiglio dei Ministri ha approvato il Decreto legge 30 dicembre 2021, n. 228 (rinominato dalla stampa “Milleproroghe 2022”), recante «Disposizioni urgenti in materia di termini legislativi». Come da rubrica, il Decreto si occupa di prolungare numerosi termini in prossimo decorso, principalmente «relativi a misure urgenti per contrastare l’emergenza epidemiologica da COVID-19», visto il perdurare della situazione pandemica. In tale inquadramento, non fa eccezione la disciplina golden power, oggetto di numerose modifiche già a partire dal Decreto legge 8 aprile 2020, n. 23, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 giugno 2020, n. 40 (il Decreto “Liquidità”) e della decretazione di proroga dei termini amministrativi successiva. 

Ricordiamo che il Decreto Liquidità rappresentava la prima risposta autoritativa di forte impatto sulla tenuta del sistema Paese contro gli effetti avversi della crisi pandemica, con la funzione primaria della garantire la liquidità delle imprese in difficoltà. Lo stesso Decreto aveva anche introdotto numerose novità in materia di esercizio dei poteri speciali, in attuazione della riforma dei poteri speciali apportata dal Decreto legge n. 105/2019, tra cui l’estensione dello scudo golden power ai settori individuati dall’art. 4 del Regolamento UE 452/2019 (poi definiti ulteriormente con i D.P.C.M. d’attuazione 179 e 180 del 2020), nonché l’ulteriore disposizione «transitoria» che richiedeva obbligo di notifica e consentiva l’esercizio dei poteri speciali per le società operanti nei settori d’interesse, anche se l’operazione provenisse da uno degli Stati membri. Tale meccanismo era applicabile anche alle operazioni che interessassero acquisizioni societarie con una soglia ribassata al 10%, a prescindere dall’acquisizione del controllo delle stesse. In questo caso, le misure erano motivate dalla fattuale emergenza pandemica ed economica, nonché fortemente suggerite sia dalla comunicazione della Commissione europea del 13 marzo 2020, in cui la Commissione, in vita della situazione critica, ribadiva che «gli Stati membri devono essere vigili e utilizzare tutti gli strumenti disponibili a livello unionale e nazionale per evitare che l’attuale crisi determini una perdita di risorse e tecnologie critiche»,  e nello stesso senso dalle linee guida della Commissione rilasciate il 26 marzo del 2020 in vista dell’applicazione del Regolamento UE 452/2019.

Ora, la disciplina emergenziale per l’esercizio dei poteri speciali, nonché le altre disposizioni transitorie introdotte dal Decreto Liquidità, sarebbero dovute perdurare sino al 31 dicembre 2020. Tuttavia, la decretazione d’emergenza ha continuato a protrarsi, con proroghe da sei mesi, prima grazie al Decreto legge n. 137 del 2020 (il Decreto “Ristori”), e poi al Decreto legge n. 56 del 2021 (il Decreto “Proroghe”), che rinnovavano pedissequamente l’estensione del golden power appena citata. Nelle misure di nostro interesse, merita rilevare come la rinnovazione dell’estensione dei poteri speciali anche alle scalate ostili provenienti da paesi dell’Unione del Decreto Ristori fosse qui invece motivata sia da una situazione ancora critica a livello sanitario (l’Italia subiva la c.d. “terza ondata”), sia dalla relazione del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (“Copasir”) «Sulla tutela degli asset strategici nazionali nei settori bancario e assicurativo» presentata alle camere il 5 novembre 2020.  La relazione, infatti, invitava l’Esecutivo a tutelare le società creditizie e assicurative italiane contro le potenziali mire di soggetti esteri, anche interni all’Unione. In merito, il Copasir rilevava la possibilità che il termine della decretazione d’emergenza fosse «prorogato, in stretta connessione sia con lo stato di emergenza sanitaria, sia con le conseguenze economiche e finanziarie indotte dalla pandemia in corso». Tuttavia, già il Decreto Proroghe della scorsa estate estendeva nuovamente la stessa disciplina di ulteriori sei mesi, sino al 31 dicembre 2021, e veniva convertito in legge senza particolari precisazioni in merito alla motivazione di tali provvedimenti, soprattutto in materia di estensione dei poteri speciali, come era avvenuto per i Decreti precedenti.

Prendiamo ora in esame il più recente Decreto Milleproroghe. Tra le disposizioni rilevanti in materia, infatti, troviamo l’art. 17 del testo del Decreto, rubricato «Proroga in materia di esercizio di poteri speciali nei settori di rilevanza strategica». Non sorprendentemente, tale articolo sostituisce il termine di decadenza al 31 dicembre 2021 rinnovato dal Decreto precedente, il Decreto Proroghe, ma lo estende di ulteriori 12 mesi (e non 6 come in precedenza), dunque sino al 31 dicembre 2022. La proroga riguarda, come prima, l’applicazione dell’obbligo di notifica delle operazioni nei settori rilevanti (estesi nel frattempo dai citati D.P.C.M. 179 e 180 del 2020) anche da parte dei soggetti appartenenti all’Unione europea, a prescindere dall’effettiva assunzione del controllo societario.

Con riserva in caso di improbabili modifiche sostanziali che arriveranno con la legge di conversione, sono vari i profili che riteniamo critici nel Decreto in analisi. Innanzitutto, colpisce che l’estensione del golden power sia questa volta di 12 mesi, rispetto ai 6 previsti dalla decretazione precedente. Ciò che rende quantomeno dubbia questa estensione temporale è innanzitutto la sua rinnovazione dinnanzi a una scarsa efficacia nel dispiegare i suoi effetti. Invero, prendendo i dati dalla più recente relazione del Presidente del Consiglio dei Ministri al Parlamento sull’esercizio dei poteri speciali nel 2020, ci riferiamo all’esiguo ricorso all’esercizio di tali poteri nei confronti delle operazioni provenienti da uno degli Stati membri, a fronte di un enorme incremento delle notificazioni sulle operazioni, che altro effetto non ha avuto se non quello di dilungare i tempi per gli attori economici che intendono investire in Italia. Questa estensione di un anno solare è poi difficilmente giustificabile se vengono analizzati i presupposti ex lege per l’esercizio dei poteri speciali. Occorre infatti rimarcare come non siano politiche di opportunità economica o di sviluppo industriale a determinare la necessarietà d’intervento statale, bensì la potenziale incisione delle operazioni scrutinabili sulla sicurezza e l’ordine pubblico del paese. Su questa base andrebbero dunque individuati poi i beni e rapporti di rilevanza strategica ulteriori, nonché l’estensione «geografica» del perimetro golden power. E se questa estensione può essere motivata per ora semplicemente dalla dicotomia dello stato d’emergenza permanente, sarebbe forse opportuno un chiarimento del Governo sulle valutazioni che hanno portato a questa proroga “rafforzata” (ad esempio, un riferimento esplicito al perdurare delle situazioni critiche indicate dalla relazione del Copasir del dicembre 2020). 

In una prospettiva comparatistica, possiamo comunque osservare come anche il sistema di screening degli investimenti esteri francese (“IEF”) avesse subìto un rafforzamento a partire dal periodo pandemico. In particolare analogia con il quadro italiano, dall’aprile 2020 la soglia per l’attivazione del controllo francese era già stata abbassata, all’acquisto di partecipazioni corrispondenti al 10% per le società quotate, e non 25% come precedentemente disposto. E, alla pari del caso italiano, anche in Francia le disposizioni transitorie di estensione dei poteri speciali sono state rinnovate con proroghe di sei mesi, sino all’ultimo rinnovo per un periodo di 12 mesi con decorrenza al 31 dicembre 2022. Tuttavia, giova notare come la modifica straordinaria del meccanismo di controllo francese sia da una parte meno intrusivo, in quanto non prevede l’obbligo di notifica per le operazioni provenienti dagli Stati membri, e dall’altra quantomeno più trasparente anche dalle comunicazioni del Dg Trésor, che ha motivato la scelta della proroga adducendo le ragioni che mostrano l’efficacia (nel senso di dispiegamento degli effetti) di tali misure straordinarie.

3. Verso un nuovo stadio San Siro con volumetrie più contenute nel rispetto del pgt, quale il futuro del vecchio Meazza tra rilievi giuridici ed economico-sociali?

A cura di Antonio Triglia

La vicenda riguardante il Progetto del nuovo stadio di calcio del quartiere San Siro a Milano è una delle più complesse e interessanti in materia. Essa ha visto sorgere quelle che si possono considerare le problematiche “classiche”, che le società sportive e gli enti locali devono affrontare per la costruzione di un grande impianto destinato al calcio professionistico e, allo stesso tempo, questioni peculiari, dovute principalmente all’importanza dello Stadio Giuseppe Meazza, accanto al quale dovrebbe sorgere la nuova struttura.

 Già nel luglio 2019 le società calcistiche milanesi nella qualità di future utilizzatrici del nuovo impianto avevano presentato al comune di Milano la proposta relativa alla costruzione del nuovo stadio di Milano, comprensivo, secondo quando previsto dalla legge n. 147 art. Co.304, di uno studio di fattibilità, a valere come Progetto preliminare, e di un piano economico e finanziario.

Le società motivavano la scelta di non ristrutturare lo storico Stadio Meazza per ragioni economiche, di sicurezza, di comfort e di fruibilità per gli utenti. 

Essendo l’mpianto di San Siro attualmente in uso uno stadio molto antico e che ha subìto degli interventi “stratificati” per tutto l’arco del XX secolo, sarebbe molto complicato e aleatorio intervenire con una corposa ristrutturazione e alcune modfiche necessarie per ragioni di sicurezza e accessibilità sarebbero difficilmente realizzabili in molte aree dell’impianto. Allo stesso tempo per garantire l’equilibrio economico-finanziario del Progetto sarebbero fondamentali le aree hospitality, per realizzare le quali sarebbe necessario operare uno stravolgimento dell’attuale struttura eccessivamente oneroso. 

Infine l’opzione di costruire un nuovo stadio ex novo è stata ritenuta preferibile anche dal punto di vista prettamente sportivo, dal momento che I tempi necessary a una ristrutturazione di tal genere priverebbero le società per più di una stagione di uno stadio adatto alle loro esigenze.

Pertanto le I due club hanno scelto di far sorgere nella stessa area un nuovo stadio multifinzionale, conforme agli standard europei di fruibilità e che potesse rappresentare un impianto di eccellenza. Inoltre nell’idea dei proponenti dovrebbe comportare una rifunzionalizzazione e una valorizzazione dell’intero “Ambito San Siro”, con un prospettato impatto positivo sia sul piano del richiamo turistico sia occupazionale. 

Infatti il Progetto iniziale prevedeva nella zona vicina al nuovo impianto il sorgere di alberghi, edifici destinati a uffici, aree per praticare sport e alberghi; prospettiva perlatro “suggerita” dalla modifica alla normativa definita project financing per impianti sportivi operata dall’art. 62 del D.L. 50 del 2017 , il quale permette la costruzione nell’ambito della stessa iniziativa di edifici ulteriori con destinazioni d’uso diversi da quella sportiva, funzionali al finanziamento dell’impianto, restando in ogni caso vietata la costruzione di edifici uso residenziale.

Dopo aver analizzato la proposta nel novembre 2019 la Giunta comunale ha deliberato la dichiarazione di Pubblico Interesse sul Progetto “Nuovo Stadio Di Milano”, subordinate però al rispetto di alcune condizioni.

La prescrizione più significativa da parte del Comune riguardava il volume assegnato all’area commerciale antistante il sedime del nuovo impianto. Il Sindaco Sala aveva chiarito che la costruzione sarebbe stata “autorizzata” solo nella misura prevista dal corrente Piano di Governo del Territorio, principale strumento di progarmmazione urbanistica comunale nella regione Lombardia. Tale strumento, suddiviso in tre diversi documenti: Il documento di piano, il piano dei servizi e il piano delle regole. In particolare quest’ultimo con delle prescrizioni applicabili ai vari tessuti urbani pone un freno all’urbanistica espansiva e svolgendo una funzione di tutela verso I pochissimi ambiti di irrinunciabile naturalità. Quello di limitare il comsumo di suolo al di là delle regole urbanistiche è un argomento molto sentito dagli amministratori in una Città e un hinterland come quello Milanese, centro della c.d. “città infinita”, che occupa gran parte del territorio Padano.

Inoltre proprio la programmata demolizione dello storico Stadio Giuseppe Meazza è stata oggetto dell’altra importante prescrizione, con cui l’ente ha esortato le società meneghine a a valutare soluzioni che non prevedano la totale rinuncia all’attuale impianto, bensì la sua rigenerazione attraverso altre funzioni”. 

Alla luce di queste indicazioni nel novembre 2020 Inter e Milan hanno depositato l’integrazione dello studio di fattibilità in ottemperanza alle suddette prescrizioni, in particolare il Progetto relativo all’area commerciale, la quale rientra secondo il piano delle regole nel “tessuto urbano consolidato”, è stato rimodulato in base all’indice di utilizzazione territorial unico di 0,35 mq/mq. Recentemente il Comune ha quindi confermato la precedente dichiarazione di pubblico interesse, in seguito alla quale dovrà essere presentato il Progetto definitivo, la cui approvazione in conferenza servizi decisoria da parte del comune costituiirà anche dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza.

Per quanto riguarda la richiesta di rifunzionalizzazione dello stadio Meazza, i Club hanno creato nuovi sviluppi progettuali che prevedono il mantenimento di elementi iconici (come le rampe elicoidali) della Scala del Calcio con una funzione centrale nel nuovo distretto San Siro, il quale avrà vocazione prevalentemente sportiva e di intrattenimento.

In realtà il futuro del Giuseppe Meazza è ancora molto incerto.

Il primo ostacolo agli interventi sullo storico impianto poteva giungere dalla Soprintendenza di Milano, la quale aveva paventato il rischio che il bene potesse essere sottoposto al vincolo storico-relazionale. Tuttavia la successiva pronuncia della Commissione Beni Culturali della Lombardia aveva esclusoogni vincolo sul bene, pronunciandosi principalmente sulla assenza un vincolo di interesse artistico, chiarendo che le parti risalenti agli anni venti sono residuali e l’opera è prevalentemente connotata dagli interventi degli anni 1953-55 e del biennio 1989-90. Tuttavia è stato previsto che lo Stadio di San Siro potrebbe svolgere un ruolo nella cerimonia di apertura dele Olimpiadi invernali Milano-Cortina 2026, anno in cui lo Stadio Giuseppe Meazza compierà 70 anni e il bene potrebbe ipso iure essere soggetto alla tutela del codice dei beni culturali, come tutti gli edifici non ancora sottoposti al procedimento di verifica di interesse culturale da parte del soprintendente ai sensi dell’art. 12 del D.lgs. 42 del 2004. In tal caso una nuova valutazione da parte della soprintendenza potrebbe frenare l’iniziativa delle società, il cui Progetto tra l’altro prevede di intervenire sul Vecchio stadio solo nella seconda fase dell’operazione. Pertanto è necessario un coordinamento tra il Coni, soprintendenze, Comune e concessionari dell’area per evitare il disastroso collasso di una parte del Progetto al momento in cui sarà già avviato.

Inoltre, dato l’indiscutibile valore storico-culturale e non soltanto sportivo che la “Scala del Calcio” presenta, a difesa dell’attuale impianto si sono posti varie personalità di spicco dello sport e dell’intrattenimento e soprattutto alcuni schieramenti politici. In particolare i consiglieri del Movimento 5s sono a favore di referendum sia abrogativo che propositivo sul futuro dello Stadio, mentre Sala è categoricamente contrario alla consultazione rivolta ai cittadini, sebbene essa non sarebbe definitivamente vincolante. 

Con il referendum abrogativo è possibile chiedere l’annullamento totale o parziale di una deliberazione del Consiglio Comunale o della Giunta, entro 120 dalla esecutività della stessa. Con il referendum propositivo è richiesta l’adozione di un atto, di un provvedimento su materie di competenza del Consiglio o della Giunta comunale, potendosi eventualmente dar voce a nuove inziative per un radicale mutamento delle funzioni dello stadio rispetto ai piani della società. Una delle idee degli schieramenti politici di minoranza prevede la realizzazione nel quartiere San Siro della “più grande comunità energetica d’Italia sfruttando dei fondi europei del Pnrr”.

 E ancora il Progetto del Nuovo Ambito San Siro è avversato apertamente da comitati e associazioni cittadine, anche a prescindere dalla funzione che rivestirà il nuovo Stadio. Infatti oltre alla strada della consultazione pubblica sono stati depositati due ricorsi al Tar contro la delibera di conferma della dichiarazione di pubblico. In attesa di scoprire I motivi dei ricorsi, si può affermare che la delibera è avversata soprattutto sul piano politico-amministrativo e non solo giuridico, in quanto l’operazione è considerata dai comitati  una manovra speculativa su aree di proprietà del comune, solo in parte finalizzzata a dare alle squadre un nuovo stadio, essenzialmente utile alla società Suning e al Gruppo Elliot, ma ben distante dagli interessi del Comune e dei cittadini.

4. La Francia sotto la lente d’ingrandimento del greco. trasparenza, cooperazione e controllo: le tre parole chiave del report dell’assemblea di palazzo Agora’

A cura di Eugenio Parisi

Il Greco (Groupe d’États contre la corruption), l’organo del Consiglio d’Europa con sede a Strasburgo, nel palazzo dell’Agorà, che si occupa di monitorare la corruzione e le azioni per il suo contrasto all’interno degli Stati membri del Coe, ha concluso la sua 89° sessione plenaria all’inizio di dicembre 2021. 

Durante l’incontro, i rappresentanti dei cinquanta Paesi membri hanno approvato e adottato nei confronti della Francia il report di ottemperanza alle raccomandazioni disposte dal Greco durante l’84° sessione plenaria, che ha avuto luogo nel dicembre 2019. Le raccomandazioni sono obbiettivi, che lo Stato deve raggiungere per dimostrare di aver rafforzato il contrasto al fenomeno corruttivo, sia a livello di istituzioni, che a livello legislativo. 

Il report, approvato a fine del 2021, fa parte del c.d. “V round di valutazione” o Fifth evaluation round, inaugurato nel 2017 e che ha come scopo prevenire la corruzione e promuovere l’integrità nei Governi e nelle forze di polizia. 

Nello specifico, nelle raccomandazioni del 2019 si erano individuati interventi sia in ambito amministrativo, che penale e di polizia. 

Quelle riguardanti l’ambito amministrativo sono: 

che sia disposta una norma che ponga l’obbligo di controlli preventivi di onorabilità per tutti gli incarichi all’interno dei gabinetti dei ministri e del Presidente della Repubblica, da svolgersi durante la selezione e con il supporto dell’Alta autorità per la trasparenza nella vita pubblica (Haute Autorité pour la transparence de la vie publique, abbreviata HATVP);

che l’Agenzia francese per la lotta alla corruzione e l’Alta Autorità per la trasparenza nella vita pubblica rafforzino la loro cooperazione nell’ambito del controllo e della trasparenza per tutti qui soggetti che ricoprono funzioni dirigenziali di alto livello;

con riferimento al lobbying, che (I) le persone con alte funzioni esecutive siano obbligate a divulgare regolarmente informazioni sugli incontri con soggetti che svolgono attività di lobbying (comprensive degli argomenti discussi); (II) che tutti i lobbisti che entrano in contatto con funzionari pubblici (in particolare soggetti con funzioni apicali), indipendentemente dal fatto che siano loro stessi ad aver avviato i contatti, devono iscriversi all’apposito albo;

che le dichiarazioni patrimoniali e di interesse del Presidente della Repubblica siano esaminate dall’Alta Autorità per la trasparenza nella vita pubblica al momento del suo insediamento al fine di prevenire qualsiasi conflitto di interessi, reale o potenziale.

Con riguardo al punto 1, con la legge 6 agosto 2019 n. 828, le autorità francesi hanno adottato un meccanismo di individuazione di situazioni di possibile incompatibilità. L’Alta autorità per la trasparenza nella vita pubblica è stata infatti investita di un potere di controllo approfondito sui candidati per lo staff personale dei ministri e del Presidente della Repubblica. Il meccanismo di controllo serve ad evitare che il candidato, nel caso abbia lavorato nel settore privato nei tre anni precedenti la candidatura, presenti degli interessi che potrebbero compromettere il corretto funzionamento, l’indipendenza o la neutralità dell’ufficio ricoperto, o ancora violare i principi di imparzialità, integrità e correttezza. L’autorità, dunque, può emettere un parere di compatibilità, un parere di accettazione con riserva (in tal caso, viene richiesto che l’interessato e l’ufficio competente cooperino al fine di evitare qualsiasi conflitto di interessi una volta nominato), o un parere di incompatibilità. Una volta emesso, il parere ha valore vincolante. 

Entrato in funzione il 1° febbraio 2020, su 220 pareri il 57,9% dei candidati è risultato compatibile, il 41,6% è stato accettato con riserva. Solo lo 0,5% si è visto respingere la candidatura per incompatibilità.

Sebbene il Greco abbia apprezzato gli sforzi fatti in questo campo, questo raccomanda di ampliare le maglie dei controlli, non solo per quanto riguarda lo staff personale, ma anche per tutti i candidati a ricoprire ruoli di prossimità con i ministri e il Presidente della Repubblica. L’obiettivo, dunque, è stato solo parzialmente raggiunto secondo il Gruppo. 

Il Punto 2, invece, riguarda la cooperazione tra le due autorità amministrative anticorruzione. La Francia si è dotata di un’autority, l’HATVP, che si occupa del controllo della legalità delle cariche pubbliche, soprattutto quelle di alta dirigenza e quelle di natura politica, tra cui i Presidente della Repubblica, i ministri e i loro gabinetto. È stato inoltre istituita un’autorità, l’Agenzia francese anticorruzione (Agence française anticorruption, o AFA), le cui caratteristiche ricalcano molto quelle dell’Anac per l’Italia. Infatti, questa deve prevenire la corruzione all’interno della P.a. anche attraverso delle raccomandazioni. Esercita il controllo, anche d’ufficio, sullo stato di attuazione delle misure anticorruzione da parte delle amministrazioni pubbliche, o dai soggetti privati (identificati dalla Legge Sapin II).

Le due autorità, alla fine del 2019 hanno firmato un accordo di cooperazione, che comprende, tra le altre, la formazione dei dirigenti, dipendenti e studenti presso gli istituti di istruzione del settore pubblico. Inoltre, le authority condividono il coordinamento per le iniziative volte alla sensibilizzazione alla anticorruzione, come nel corso online: co-operation, favouritism, misappropriation… how to prevent them in local public administration presso il National Legal Service Training College (ENM). 

Il Greco, però non è stato del tutto soddisfatto del livello di cooperazione raggiunto. Infatti, la raccomandazione aveva come suo scopo principale il rafforzamento della cooperazione e dello scambio di informazione rispetto a quelli che il Greco definisce personnes exerçant de hautes fonctions de l’exécutif (PTEFs), ovvero persone con incarichi di alta dirigenza. Infatti, l’intenzione dell’Assemblea del Greco era quello di ampliare la trasparenza e l’intreccio di controlli su tutti i livelli della P.a. e quindi estirpare in radice ogni potenziale situazione di corruttela.

Questo aspetto ha portato il Greco a ritenere anche questo obbiettivo solo parzialmente raggiunto. 

Con il punto 3, in materia di lobbying, Le autorità francesi hanno però specificato che non intendono modificare il sistema previsto in precedenza dalla disciplina nazionale (un registro era previsto fin dal 2016). Questo perché, in primo luogo, affermano che l’obbligo di dichiarazione dei contatti si applica già ai lobbisti. Ritengono, inoltre, che richiedere pubblicamente ai PTEFs di fare regolarmente un resoconto sugli incontri dei con soggetti che svolgono attività di lobbying e gli argomenti discussi rappresenterebbe un onere significativo per loro senza aumentare significativamente la trasparenza dell’attività di lobbying. 

Il Greco si è detto profondamente rammaricato che il legislatore francese abbia manifestato l’intenzione di non portare a termine gli obbiettivi proposti. Il Gruppo sottolinea soprattutto l’importanza e la necessità di trasparenza per quanto riguarda gli incontri tra Presidente della Repubblica e lobbisti, situazioni che potrebbero portare a influenzare il processo decisionale dell’esecutivo. 

Il Punto n. 4 è estremamente interessante, viste anche le imminenti elezioni del Presidente della Repubblica francese, che avranno luogo ad aprile del 2022. 

Su questo aspetto le autorità francesi hanno fatto notare come i candidati alla presidenza debbano depositare presso l’HATVP, una dichiarazione patrimoniale sulle loro attività e interessi. Dichiarazioni poi puntualmente pubblicate 

Inoltre, prima della fine del mandato, il Presidente della Repubblica ha l’obbligo di depositare, sempre presso l’HATVP, una dichiarazione dove descrive i cambiamenti che possono esserci stati tra l’inizio e la fine del mandato, rispetto a quanto dichiarato 5 anni prima. Le autorità francesi hanno sottolineato come questo sistema non sarà cambiato in vista delle elezioni del 2022. 

Il Greco ha quindi criticato la posizione francese, sottolineando come nessuna parte della raccomandazione sia stata eseguita. 

In conclusione, l’Assemblea del Greco si è detta abbastanza soddisfatta degli sforzi soprattutto per quanto riguarda il ruolo dei soggetti che ricoprono incarichi dirigenziali. Il Gruppo dei Paesi contro la corruzione ha però sottolineato come debba esservi un incremento della trasparenza da parte delle autorità per quanto riguarda i candidati a far parte dello staff dei ministri e del Presidente della Repubblica e stessa cosa per quanto riguarda i rapporti tra soggetti che svolgono attività di lobbying e chi ricopre incarchi di vertice sia politici che all’interno della P.a.  

Il Greco, inoltre critica la volontà delle autorità francesi di non voler rafforzare in alcun modo la trasparenza nei confronti delle possibili situazioni che porterebbero a un conflitto di interessi, reale o potenziale dei candidati alla Presidenza della Repubblica. Ha invece lodato la cooperazione tra le due autorità amministrative anticorruzione, anche se ha sottolineato come ci siano degli aspetti da migliorare.

L’Assemblea del Greco si pronuncerà sui progressi fatti dalle autorità francesi nel giugno 2023. Secondo quanto previsto dal regolamento del Greco, infatti l’Hexagone ha 18 mesi per adeguarsi alle osservazioni e raccomandazioni poste in quest’ultimo report. 

5. La giurisdizione del G.A. sul risarcimento danni derivanti dall’annullamento di un provvedimento favorevole

A cura di Francesca Saveria Pellegrino

A seguito della remissione operata dalla IV Sezione del Consiglio di Stato con ordinanza 3701/2021, l’Adunanza Plenaria si è pronunciata lo scorso novembre. La remissione aveva ad oggetto principalmente due questioni: da un lato, la giurisdizione in caso di domanda di risarcimento a seguito dell’annullamento di un atto amministrativo favorevole; dall’altro, le condizioni necessarie ai fini del riconoscimento del risarcimento con particolare riguardo all’affidamento “incolpevole”.

Nella vicenda oggetto del giudizio, la ricorrente chiedeva il risarcimento dei danni subiti come conseguenza dell’annullamento del permesso di costruire rilasciato con riguardo ad un terreno che aveva acquistato subito dopo l’emanazione di tale atto e per il quale aveva ottenuto la voltura del titolo ad edificare. Inoltre, il ricorso a seguito del quale il Tar ha annullato il permesso di costruire era stato promosso non nei confronti della ricorrente che in questo giudizio, proprio in ragione di quell’annullamento, chiede il risarcimento dei danni, bensì nei confronti del precedente proprietario del terreno, cioè il suo dante causa. 

Il Tar aveva accolto la domanda di risarcimento riconoscendo in particolare un affidamento della ricorrente sulla sussistenza dei requisiti di edificabilità del terreno, caratteristica determinante nell’acquisto. Contro tale pronuncia, l’amministrazione ha proposto appello lamentando innanzitutto la mancanza di giurisdizione del giudice amministrativo, contestando nel merito i presupposti su cui si fonderebbe la sua responsabilità risarcitoria.

Come anticipato, la IV Sezione del Consiglio di Stato ha rimesso la questione all’Adunanza Plenaria rinvenendo alcuni contrasti in giurisprudenza tra le pronunce della Cassazione e del Consiglio di Stato in merito alla giurisdizione.

La Plenaria affronta in primo luogo la questione della giurisdizione sulla domanda risarcitoria, concludendo per la sua sussistenza in capo al giudice amministrativo. Infatti, la giurisdizione appartiene al GA non solo quando la domanda risarcitoria è stata proposta da chi ha ottenuto l’annullamento dell’atto lesivo, ma anche quando questa sia stata proposta da chi ha subito l’annullamento di un provvedimento favorevole in sede giurisdizionale o in via di autotutela. Conclusione che l’Adunanza Plenaria ritiene ancora più evidente nelle materie di giurisdizione esclusiva in cui diritti soggettivi ed interessi legittimi sono così “inestricabilmente intrecciati” da non poter che essere affidati alla giurisdizione dello stesso giudice, come sancito dalla Corte Costituzionale nella nota sentenza 204/2004. Il massimo vertice del Consiglio di Stato risulta in tal modo aderire (pur non essendoci sul punto approdi definitivi della dottrina) all’impostazione secondo cui il risarcimento del danno non è azione a tutela di un autonomo diritto soggettivo, ma una forma di rimedio nell’ambito di una tutela che possa effettivamente definirsi piena. Questa posizione viene fatta discendere dalla sentenza 191/2006 della Corte Costituzionale e dalla 140/2007 in cui tra l’altro si afferma come, ormai, il giudice amministrativo non possa che essere considerato un giudice dotato di una giurisdizione piena ed effettiva. Tutto ciò, sottolinea la Adunanza Plenaria, è stato fatto proprio a livello normativo dall’art.7 co.7 del c.p.a., per il quale il principio di effettività “è realizzato attraverso la concentrazione davanti al giudice amministrativo di ogni forma di tutela degli interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, dei diritti soggettivi”. 

Proseguendo nel suo approfondimento la Plenaria rileva che, benché l’istituto dell’affidamento affondi le sue radici nel diritto civile, non v’è dubbio che oggi questo trovi piena applicazione anche nel diritto amministrativo, come, tra l’atro, già chiarito in precedenti pronunce del Consiglio di Stato. Peraltro sul punto l’ordinanza di remissione aveva sottolineato come, secondo un maggioritario orientamento della giurisprudenza della Corte di Cassazione, l’affidamento integrerebbe un diritto autonomo la cui tutela rientrerebbe per questo nella giurisdizione del giudice ordinario.  La Plenaria pertanto sceglie di porsi in contrasto con la posizione espressa dalle SS.UU., in particolare nelle tre ordinanze nn. 6594, 6595 e 6596 del 2011. Al contrario di quanto statuito in tali pronunce, afferma la giurisdizione del GA quando l’affidamento riguardi la stabilità di un rapporto amministrativo, che come tale è espressione dell’esercizio di un potere pubblico. Infatti, ogniqualvolta l’affidamento poggi sull’esercizio di un pubblico potere ne è parte e non ha una consistenza autonoma rispetto alla posizione giuridica cui si riferisce, e allora in tali ipotesi la giurisdizione non può che essere del giudice amministrativo, essendo proprio l’esercizio del potere autoritativo il fondamento della tutela devoluta al giudice amministrativo. La Plenaria sottolinea come ormai anche nella dinamica tra cittadino e P.A. quando quest’ultima eserciti il suo potere sia comunque tenuta al rispetto dei principi di diritto civile di collaborazione e buona fede. Pertanto, seguendo il ragionamento del collegio, rientra nella giurisdizione amministrativa non solo il risarcimento per danni da provvedimento sfavorevole, come ormai da tempo pacifico, ma anche il risarcimento per danni da provvedimento favorevole.  Ne consegue che la violazione del legittimo affidamento generato da un provvedimento favorevole determina una responsabilità in capo all’amministrazione derivante dall’esercizio di un potere e pertanto rientrante nella giurisdizione amministrativa. Questo orientamento trova un precedente nella pronuncia 6/2005 sempre dell’Adunanza Plenaria che ha riconosciuto la giurisdizione amministrativa per il risarcimento dei danni richiesto dall’aggiudicataria a seguito di una revoca legittima della gara proprio in forza del legittimo affidamento che l’aggiudicazione aveva in questa ingenerato.

Per quanto attiene le questioni di merito sollevate dall’ordinanza circa le condizioni in presenza delle quali si può parlare di affidamento incolpevole (e pertanto risarcibile) del privato, l’Adunanza Plenaria condivide solamente in parte la posizione espressa dall’ordinanza di rimessione della IV Sezione. Nello specifico l’Adunanza Plenaria stabilisce che la colpa dell’amministrazione è inversamente proporzionale alla riconoscibilità del vizio del provvedimento. Dovendosi applicare il principio di buona fede, è pacifico che non si potrà parlare di affidamento incolpevole qualora il privato abbia dolosamente indotto l’amministrazione ad emanare l’atto, e tantomeno se l’ignoranza dipendeva da colpa grave. Tuttavia, non è certamente sufficiente ad escludere l’affidamento incolpevole il solo fatto che il privato abbia contribuito alla formazione dell’atto formulando la relativa istanza, la quale non rende di per sè riconoscibile il vizio del successivo atto, il quale è comunque frutto dell’esercizio del potere della PA e quindi sua ne è la responsabilità. Dovrà quindi valutarsi caso per caso se il cittadino poteva accorgersi della presenza dei vizi che hanno poi condotto all’annullamento dell’atto secondo l’ordinaria diligenza. 

Ai fini dell’esclusione della responsabilità dell’amministrazione a nulla rileva che questa si sia successivamente attivata al fine di rimediare agli effetti dell’annullamento del suo provvedimento. Tale evidenza conferma piuttosto la sussistenza di un affidamento incolpevole del privato meritevole di tutela.

Per ciò che attiene al fattore temporale, questo non è una condizione necessaria affinché si possa parlare di affidamento incolpevole e responsabilità dell’amministrazione. infatti, il legittimo affidamento potrebbe sorgere già con la semplice proposizione dell’istanza e nell’immediatezza del rilascio del provvedimento poi annullato. Ciò che piuttosto rileva secondo l’Adunanza Plenaria è il momento in cui si viene a conoscenza del possibile vizio. In particolare si ritiene che già nel momento in cui si viene a conoscenza dell’impugnazione del provvedimento questa sia idonea a far venir meno la certezza circa la legittimità del provvedimento e di conseguenza l’incolpevolezza dell’affidamento.  Alla luce di ciò e per quanto attiene alla vicenda oggetto di ricorso, il collegio ritiene certamente risarcibili i danni derivanti dall’acquisto del terreno ritenuto edificabile e quelli derivanti dall’attività edificatoria, ma solo quella realizzatasi fino al momento in cui la ricorrente è venuta a conoscenza del contenzioso, dovendo ritenersi da quel momento in poi non più incolpevole l’affidamento.

In conclusione, con questa pronuncia, l’Adunanza Plenaria ha confermato la giurisdizione del giudice amministrativo per le domande di risarcimento per i danni subiti a seguito dell’annullamento di un provvedimento favorevole. L’affidamento sulla stabilità dell’atto non è un diritto soggettivo autonomo, bensì una diretta conseguenza dell’esercizio da parte dell’amministrazione dei suoi poteri autoritativi, da qui la giurisdizione del giudice amministrativo. Tale posizione, secondo la Plenaria, trova autorevole fondamento nei precedenti della Corte Costituzionale oltre che in alcune pronunce delle Sezioni Unite e deve ritenersi fatta propria dall’art.7 del codice del processo amministrativo. In altri termini le pretese risarcitorie di chi ha ottenuto e di chi ha subito l’annullamento sono, secondo la Plenaria, due lati degli effetti dell’esercizio del potere; pertanto tutte le relative controversie sono di spettanza del giudice amministrativo. 

Conclusioni che la Plenaria raggiunge pur nella espressa consapevolezza che le Sezioni Unite potrebbero ribaltare la sua posizione confermando il loro precedente orientamento. Infatti, ex art.111 ultimo comma Cost. a queste spetta l’ultima parola in tema di riparto di giurisdizione. 

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