08/11/2021
A cura di Eugenio Parisi
Con delibera n. 491 del 16 giugno 2021, l’Autorità nazionale anticorruzione ha disposto sulla presunta violazione del Dlgs 39/2013 e in particolare sull’articolo 7, ovvero sulle incoferibilità e incompatibilità di incarichi dirigenziali presso le pubbliche amministrazioni ed enti privati in controllo pubblico.
L’inconferibilità è un mezzo indiretto di lotta alla corruzione e si esplica nella preclusione, permanente o temporanea, nel conferire incarichi a coloro che abbiano riportato condanne penali per reati contro la pubblica amministrazione, a soggetti che abbiano svolto funzioni o ricoperto cariche in enti di diritto privato regolati o finanziati da pubbliche amministrazioni o ancora, svolto attività professionali a favore di questi ultimi e in fine, a coloro che siano stati componenti di organi di indirizzo politico.
Questo meccanismo vuole garantire l’integrità e l’imparzialità delle cariche dirigenziali degli enti amministrativi. Quindi preservarne il carattere di buon andamento della Pubblica amministrazione. In altri termini permette sostanzialmente di ridurre i pericoli connessi a situazioni favorevoli ad un “accordo corruttivo”.
Lo studio degli elementi dell’istituto permette di estrapolarne degli aspetti peculiari, in particolare la sua elasticità.
Da una parte è vero che l’inconferibilità è una barriera che impedisce l’entrata di tutti quei soggetti altrimenti problematici per il buon funzionamento della P.a. ma dall’altra, l’ordinamento cerca di garantire la qualità della dirigenza. Anche attraverso persone con un’esperienza politica alle spalle.
Qui interviene l’ANAC. L’articolo 16 del Dlgs 39/2013 stabilisce ai commi 1 e 2 che l’Autorità nazionale anticorruzione vigila sul rispetto, da parte delle amministrazioni pubbliche, degli enti pubblici e degli enti di diritto privato in controllo pubblico, delle disposizioni della normativa sopracitata. Inoltre, assume anche poteri di ispezione e di accertamento degli incarichi.
Per di più, l’Autorità, su segnalazione della Presidenza del Consiglio dei ministri, in particolare del Dipartimento della funzione pubblica, oppure d’ufficio, può sospendere la procedura di conferimento dell’incarico con un provvedimento autoritativo, contenente osservazioni sull’atto di conferimento dell’incarico. A ciò si aggiunge anche la possibilità di segnalare il caso alla Corte dei conti per l’accertamento di eventuali responsabilità amministrative.
La delibera del giugno 2021, porta l’Autorità a una analisi attenta e certosina degli elementi della fattispecie. In particolare, quelli di inconferibilità di soggetti che abbiano già ricoperto funzioni di indirizzo politico.
I fatti analizzati dall’Autorità sono due: il primo è l’attribuzione a un ex Assessore comunale la carica di Presidente del Consiglio d’Amministrazione del Consorzio controllato dal Comune stesso e dalla locale Università. La carica in Comune era terminata il 19 giugno del 2019, mentre l’incarico nel CdA veniva assegnato il 28 luglio 2020.
Una volta insediatosi, il presidente del CdA decide di non mantenere i poteri che, per legge e statuto, gli sono attribuiti delegando a tal scopo uno dei consiglieri del CdA. Spogliandosi delle sue facoltà, tra cui le prerogative connesse alla qualifica di datore di di lavoro, ovvero i poteri di firma e gestione di spesa, ad avviso dell’ANAC gli elementi di inconferibilità decadono automaticamente.
L’Autorità sottolinea però, che le deleghe non eliminano definitivamente la pendenza degli elementi di inconferibilità. Questi sono sostanzialmente “congelati”, e ciò significa che nel momento in cui le deleghe dovessero essere ritirate e i poteri tornati in capo al presidente del CdA, vi sarebbe l’intervento dell’ANAC, a causa della riemersione dell’inconferibilità.
Il secondo caso analizzato dall’Autorità è l’attribuzione ad un ex Consigliere regionale, della presidenza di ente di diritto privato a controllo pubblico.
La società in questione non è controllata dalla Regione di provenienza dell’ex Consigliere, tanto che, ad avviso dell’ANAC, non ci sarebbe inconferibilità.
L’Autorità nel prendere la sua decisione ha fatto un’opera di scomposizione delle norme di riferimento, ovvero del Dlgs 39/2013 e dell’articolo 2359 c.c. Se a una prima occhiata i casi evidenziati potevano sembrare delle inconferibilità in piena regola, l’Autorità evidenzia dei profili particolari, proprio in connessione ai profili di flessibilità dell’inconferibilità.
L’articolo 7 del Dlgs 39/2013, disciplina che a coloro che nei due anni precedenti siano stati componenti della giunta o del consiglio della provincia, del comune o della forma associativa tra comuni che conferisce l’incarico, non possono essere conferiti: (…) d) gli incarichi di amministratore di ente di diritto privato in controllo pubblico da parte di una provincia, di un comune con una popolazione superiore a 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione.
Ad una prima analisi, dunque, sembrerebbe la piena applicabilità al caso di specie. Lo statuto del Consorzio, però, con riferimento ai poteri del presidente del CdA, rimanda al Dlgs 81/2008, in particolare all’articolo 16, rispetto alle deleghe di funzioni. La norma stabilisce in particolare, che al delegato devono essere attribuiti i poteri di organizzazione, gestione e controllo richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate, inoltre il trasferimento deve attribuire anche l’autonomia di spesa necessaria allo svolgimento delle funzioni attribuite.
La previsione normativa ha quindi permesso lo svuotamento dei poteri del presidente, con conseguente decadenza degli elementi di incoferibilità, e conseguente qualificazione meramente simbolica del presidente del CdA.
L’ANAC però sottolinea come, similmente al caso precedente, nel momento in cui le deleghe venissero ritirate, il presidente riacquisirebbe tutte le sue prerogative. Questo farebbe ipso facto riemergere i presupposti di incoferibilità e il necessario intervento dell’Autorità.
Il secondo caso deliberato dall’Autorità riprende sempre quanto previsto dall’art. 7 Dlgs 39/2013. Se non fosse che la Regione dove l’ex Consigliere aveva prestato mandato politico non ha né potere di nomina dei membri del CdA, né tanto meno prerogative di gestione dell’ente di diritto privato a gestione pubblica.
Dato l’imperfetto allineamento tra l’ente di provenienza dell’ex Consigliere e quello di destinazione, ad avviso dell’ANAC non possono sorgere elementi di inconferibilità.
Con la delibera in parola, dunque, l’Autorità ha analizzato nel detteaglio le peculiarità degli elementi costitutivi dell’inconferibilità, ribadendo la rilevanza dell’istituto delle inconferibilità e incompatibilità proprio nel tutelare concretamente l’imparzialità dell’amministrazione.