INDICE
- Al vaglio dell’Adunanza plenaria la questione della giurisdizione in tema di domanda risarcitoria da provvedimento favorevole poi annullato. Di Giuditta Russo
- Consiglio di Stato: L’approvazione di piani di lottizzazione non ancora sottoscritti non impone all’amministrazione comunale di procedere all’espropriazione. Di Antonio Triglia
- La controversa applicazione della disciplina del golden power in italia nel 2020 alla luce della Relazione del Governo al Parlamento. Di Matteo Farnese
- Il ‘cantiere aperto’ della vigilanza finanziaria europea: Il progetto di Agenzia Europea Antiriciclaggio. Di Tommaso Mazzetti di Pietralata
1. AL VAGLIO DELL’ADUNANZA PLENARIA LA QUESTIONE DELLA GIURISDIZIONE IN TEMA DI DOMANDA RISARCITORIA DA PROVVEDIMENTO FAVOREVOLE POI ANNULLATO.
GIUDITTA RUSSO
Il caso in esame riguarda la domanda risarcitoria proposta da un privato per aver confidato legittimamente nella stabilità di determinati provvedimenti a lui favorevoli emanati dalla pubblica amministrazione, in seguito caducati dal giudice amministrativo. A seguito dell’annullamento giurisdizionale di alcune concessioni edilizie e delle sue successive varianti, il privato adiva il giudice amministrativo, chiedendo il risarcimento del danno ingiustamente subito a causa della condotta tenuta dall’ente locale. In primo grado, il T.a.r. accoglieva il ricorso e – per l’effetto – condannava il Comune al risarcimento del danno. Quest’ultimo appellava poi la sentenza di primo grado dinnanzi al Consiglio di Stato, contestando in primis l’assenza della giurisdizione del giudice amministrativo.
Con l’ordinanza n. 3701/2021, il Collegio ha dato atto dell’annosa questione inerente al riparto di giurisdizione nel caso di risarcimento del danno provocato dall’annullamento (in sede di autotutela o giurisdizionale) di un provvedimento favorevole per il privato, ma illegittimo, devolvendo all’Adunanza Plenaria il compito di risolvere il contrasto giurisprudenziale.
Sul tema in analisi è infatti insorto un contrasto di giurisprudenza sia tra i giudici ordinari che tra quelli amministrativi. Con riferimento alla giurisprudenza amministrativa, in alcune pronunce (cfr. – ex multis – Cons. St., sez. VI, n. 5011/2020) si è aderito alla traiettoria argomentativa sostenuta dalla Cassazione a Sezioni Unite, con le ordinanze nn. 6594, 6595 e 6596 del 2011 e si è affermato che la domanda risarcitoria proposta nei confronti della pubblica amministrazione per i danni subiti dal privato che abbia fatto incolpevole affidamento su un provvedimento ampliativo illegittimo rientra nella giurisdizione ordinaria (anche nelle materie rientranti nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo), non trattandosi di una lesione dell’interesse legittimo pretensivo del danneggiato (interesse soddisfatto, seppur in modo illegittimo), ma di una lesione del diritto soggettivo alla sua integrità patrimoniale oppure (più recentemente) di una lesione all’affidamento incolpevole quale situazione giuridica soggettiva autonoma (così Cass. Civ., Sez. Un. n. 8326/2020), dove l’esercizio del potere amministrativo non rileva in sé, ma per l’efficacia causale del danno-evento e la norma che si assume violata non è di diritto pubblico, bensì è regola di correttezza e buona fede di diritto privato, che anche la pubblica amministrazione è tenuta a rispettare, sulla base del principio del neminem laedere. Per contro, in altre pronunce (cfr. – ex multis – Cons. St., sez. II, n. 2013/2021) si è affermata la sussistenza della giurisdizione amministrativa, sostenendo che l’azione amministrativa illegittima – composta da una sequela di atti intrinsecamente connessi – non potesse essere scissa in differenti posizioni da tutelare, essendo controverso l’agire provvedimentale nel suo complesso, del quale l’affidamento costituisce un riflesso, privo di incidenza sulla giurisdizione, tanto più nell’ambito della giurisdizione esclusiva, dove il giudice amministrativo – ex Costituzione – è competente a conoscere sia degli interessi legittimi che dei diritti soggettivi. Il criterio per l’individuazione del giudice fornito di giurisdizione sulla domanda risarcitoria da provvedimento favorevole poi annullato prescinderebbe completamente dal fatto che ad assumersi violate dall’amministrazione siano regole di diritto privato e non pubblicistiche, atteso che – come ribadito anche da Ad. Plen. n. 5/2018 – il principio di diritto secondo cui, non diversamente da quanto accade nei rapporti tra privati, anche per la pubblica amministrazione le regole di correttezza e buona fede danno luogo a responsabilità, riguarda l’affermazione di una regola che consente di ottenere dal giudice amministrativo la tutela risarcitoria in presenza dei relativi presupposti e di per sé non consente di desumere la giurisdizione del giudice civile.
Il Collegio – nel rimettere all’esame dell’Adunanza Plenaria la questione – ritiene sussistente nella fattispecie in esame la giurisdizione del giudice amministrativo in quanto, ai sensi dell’art. 7 co 1, c.p.a., sono devolute alla sua competenza «le controversie, nelle quali si faccia questione di interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, di diritti soggettivi (trattasi dei casi di cd. giurisdizione esclusiva, espressamente elencati dall’art. 133 c.p.a.), concernenti l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente all’esercizio di tale potere, posti in essere da pubbliche amministrazioni». Nel caso in cui infatti sia stato annullato l’atto abilitativo e dunque non sia più configurabile il diritto ad esso conseguente, l’originario richiedente torna ad essere titolare di un interesse legittimo. Il ricorrente ed il controinteressato, beneficiario in quanto tale dell’atto abilitativo impugnato, sono titolari di contrapposti interessi legittimi nel corso del procedimento, sicché – una volta che la sentenza amministrativa abbia annullato il titolo abilitativo – il controinteressato non risulta più titolare del diritto che era sorto con l’atto ormai annullato e va quindi qualificato come titolare di una posizione soggettiva contrapposta e speculare a quella del ricorrente vittorioso, in un quadro nel quale tra di loro e nei confronti dell’Amministrazione non vi sono diritti soggettivi da fare valere. Qualora egli nel giudizio di legittimità intenda formulare una domanda risarcitoria nei confronti dell’Amministrazione, la relativa causa petendi riguarda proprio il come è stato in precedenza esercitato il potere amministrativo e si deve verificare se il vizio dell’atto – oltre ad aver comportato il suo annullamento – abbia conseguenze sul piano risarcitorio.
Per un principio di simmetria, dunque, la lesione arrecata all’interesse legittimo è configurabile sia quando l’istanza non sia accolta e vi sia un diniego poi annullato su ricorso del richiedente, sia quando l’istanza sia accolta e il titolo abilitativo sia annullato su ricorso di chi vi abbia interesse. In entrambi i casi, non sono ravvisabili (ab origine o a seguito dell’atto o della sentenza di annullamento) diritti soggettivi.
L’orientamento favorevole alla giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria si basa invece sul presupposto per cui vi sarebbe l’interesse legittimo soltanto a fronte della illegittima negazione di un bene della vita e non dinanzi all’illegittimo ‒ e, pertanto, necessariamente instabile ‒ riconoscimento di siffatto bene. Quest’impostazione, tuttavia, non appare in sintonia con il generale criterio di riparto sancito dalla Costituzione all’art. 103 che non condiziona la natura delle situazioni soggettive (diritto soggettivo/interesse legittimo), rilevante per la concreta applicazione del criterio, al carattere satisfattivo o non satisfattivo del provvedimento amministrativo.
In conclusione, il Collegio sottolinea le criticità che deriverebbero dall’aderire alla tesi favorevole alla giurisdizione del giudice civile. Accogliendo tale orientamento risulterebbe infatti sottratta al giudice amministrativo la cognizione di controversie di indubbia natura pubblicistica con l’inconveniente che una diversa autorità giudiziaria dovrebbe valutare il decisum della sentenza di annullamento emessa dal giudice amministrativo se non altro al fine di verificare – nel giudizio risarcitorio – se in concreto sussistano gli elementi costitutivi di un illecito, in specie se vi sia una rimproverabilità eccedente la mera illegittimità dell’atto in capo all’amministrazione. Inoltre, malgrado indubbiamente sussista la giurisdizione amministrativa per il caso in cui chi abbia impugnato un permesso proponga anche la domanda risarcitoria dopo il suo annullamento, proprio a seguito dell’annullamento del permesso il suo originario beneficiario potrebbe proporre una domanda risarcitoria dinnanzi al giudice civile, nonostante la sostanziale identicità della vicenda (caratterizzata dall’emanazione del provvedimento autoritativo all’esito del relativo procedimento e dal suo annullamento da parte del giudice amministrativo), e non potrebbe invece proporre ricorso incidentale nel giudizio incardinato dalla sua controparte, nonostante il codice di rito non preveda tale forma di limitazione relativamente alle modalità di impugnazione.
2. CONSIGLIO DI STATO: L’APPROVAZIONE DI PIANI DI LOTTIZZAZIONE NON ANCORA SOTTOSCRITTI NON IMPONE ALL’AMMINISTRAZIONE COMUNALE DI PROCEDERE ALL’ESPROPRIAZIONE
ANTONIO TRIGLIA
Una recente Sentenza del Consiglio di Stato (n. 2777 del 2021) su una controversia relativa a un diniego a una richiesta di permesso di costruire ha fornito occasione a i giudici di Palazzo Spada di ribadire e individuare alcune delle principali caratteristiche del Piano di lottizzazione, uno degli strumenti di attuazione della pianificazione urbanistica comunale, necessario in caso di interventi di nuova urbanizzazione.
La vicenda da cui è scaturita la pronuncia in oggetto risale al 2011 e riguarda le istanze per ottenere la licenza edilizia, presentate da due cittadini di Grottaglie (Taranto), i quali avevano richiesto un permesso di costruire per la realizzazione di due appartamenti ad uso residenziale su di un’area di loro proprietà, inserita in un piano di lottizzazione approvato dal Comune di Grottaglie con delibera consiliare n. 5/2005.
Nel Novembre 2011 il Comune di Grottaglie respinse il progetto edilizio, considerando lo stato di insufficiente urbanizzazione dell’area e la mancanza di sottoscrizione della convenzione di lottizzazione da parte dei richiedenti.
Pertanto gli istanti impugnarono il diniego dinanzi al Tar Puglia, sede di Lecce, lamentando, tra i vari motivi, di aver chiaramente manifestato in sede procedimentale la volontà futura di sottoscrivere la convenzione, che perfeziona il procedimento iniziato con l’adozione da parte del Comune di tale strumento urbanistico attuativo.
Il Tar con sentenza rigettò il ricorso, ritenendo insufficiente ed eccessivamente generica la suddetta espressione della “volontà di impegnarsi” in futuro nella sottoscrizione della convenzione e ponendo l’accento sulla necessaria stipula della stessa, cui i ricorrenti non avevano aderito nonostante un invito formale alla personale sottoscrizione della convenzione.
Infatti secondo i giudici pugliesi la sottoscrizione della convenzione urbanistica costituisce presupposto necessario per il rilascio del permesso di costruire, poiché solo da quel momento il privato assume verso il comune, in riferimento al bene, una serie di obblighi i quali necessitano di essere formalizzati e individuati in epoca anteriore al rilascio del titolo, e solo da quel momento sorge anche la sua legittimazione alla realizzazione dell’ intervento edilizio.
La sentenza del Tar veniva appellata dalle parti soccombenti, che ribadivano la loro precedente manifestata volontà, espressa in via procedimentale, di firmare la convenzione e di aver nelle interlocuzioni con l’ente espresso l’intenzione di partecipare alle spese di redazione del piano di lottizzazione; e i ricorrenti sostenevano che il Piano di Lottizzazione fosse già esecutivo, in quanto il predetto Piano si sarebbe perfezionato, avendo la P.A. concluso il procedimento espropriativo delle aree dei cittadini che non hanno aderito allo stesso.
Inoltre, dopo aver cercato di allegare prove che attestassero nel lotto di loro interesse la presenza di opere già realizzate di urbanizzazione non solo primaria, ma anche secondaria, pertanto hanno cercato di far valere l’orientamento giurisprudenziale secondo cui, in presenza di un’area che presenta già una sufficiente urbanizzazione, l’assenza di un piano attuativo non osta al rilascio del permesso di costruire.
Il Consiglio di Stato ha rigettato l’appello, operando una ricostruzione della disciplina legislativa statale e regionale e mettendo in evidenza i tratti salienti della giurisprudenza amministrativa sull’istituto del Piano di lottizzazione.
Viene innanzitutto tratteggiata la grande importanza che riveste la convenzione, già individuata dalla risalente legge nazionale (art. 28 l. n. 1150/1942), che chiaramente evidenzia come il rilascio delle licenze edilizie relative ai singoli lotti sia subordinata al contemporaneo impegno dell’esecuzione dei lavori di urbanizzazione primaria da parte dei proprietari degli immobili. Nella legge adottata in materia dalla regione Puglia (art. 28 della l.r. n. 56/1980) emerge invece il contenuto della convenzione che regola i rapporti tra Comune e privati richiedenti: si prevede in capo ai proprietari degli immobili l’obbligo di cessione gratuita delle aree necessarie alle opere di urbanizzazione primaria, l’impegno nella realizzazione di tali opere e vengono fissati i termini entro i quali procedere agli interventi e infine stabilite delle garanzie finanziarie e delle sanzioni per il mancato rispetto di queste prescrizioni. È solo con la sottoscrizione della convenzione che i privati non solo assumono gli obblighi elencati dall’art. 28 della l.r. n. 56/1980, ma acquistano anche la posizione che, in virtù dell’art. 28 della l. n. 1150/1942, li legittima ad ottenere il rilascio delle concessioni edilizie per le opere sui singoli lotti che fanno parte del Piano.
A sostegno della necessaria stipulazione della convenzione al fine del rilascio del permesso, è stata inoltre ribadita la consolidata giurisprudenza, secondo cui quando uno strumento urbanistico generale prevede che la sua attuazione debba aver luogo mediante uno strumento urbanistico di livello inferiore, e in particolare solo previa l’adozione di uno strumento esecutivo, “il rilascio della concessione può essere disposto solo quando diventa efficace lo strumento esecutivo, che deve aver indefettibile applicazione e, dunque, nel caso di piano di lottizzazione, quando sia intervenuta la stipula della convenzione”(C.d.S., Sez. V, 8 luglio 1997, n. 772).
Inoltre gli appellanti prospettavano come conseguenza a loro favorevole l’espropriazione da parte del Comune delle aree di proprietà di soggetti che non avevano aderito al Piano di lottizzazione; il che avrebbe secondo loro reso così esecutivo il suddetto Piano, essendo poi sufficiente per l’operatività del Piano stesso la sottoscrizione della convenzione da parte del 51% dei proprietari degli immobili del comparto in questione. Su questo punto il Consiglio di Stato aderisce alla difesa del Comune, chiarendo che dinanzi a una lottizzazione facoltativa, di un piano finanziato degli stessi lottizzanti, come quella in oggetto, non si impone l’esercizio dei poteri coercitivi di esproprio; ciò è confermato dal mancato inserimento delle opere nel Piano Triennale delle opere pubbliche, dal quale discenderebbe l’obbligo di completare l’iter attuativo del piano, dovendo procedere all’espropriazione dei terreni da urbanizzare.
Singolare è infine una considerazione finale del Consiglio di Stato con cui i giudici di Palazzo Spada criticano quella che secondo loro sarebbe stata la “strategia” usata dei ricorrenti per ottenere il permesso di costruire, senza sopportare alcuni dei necessari “costi”. Il Collegio, quasi “accusando” gli appellanti di deliberatamente sottrarsi alla sottoscrizione della convenzione al fine evitare i relativi oneri di urbanizzazione (in termini di spese e di cessione di aree), cercando di ottenere il permesso sul presupposto che, relativamente al lotto di loro proprietà e a prescindere dagli altri lotti del Piano, le opere di urbanizzazione già ci fossero e non ne fossero necessarie ulteriori, chiarisce come sia necessario in riferimento al piano di lottizzazione e relativa convenzione ragionare in un’ottica di unitarietà, come osservato nella difesa comunale, e pertanto “è necessario il raccordo dell’urbanizzazione dell’intero comparto”. La convenzione di lottizzazione, infatti, “implica la qualificazione unitaria di tutte le particelle comunque rientranti nel progetto, ciascuna delle quali è essenziale per l’approvazione della convenzione” ( al punto che è da considerarsi legittimo il diniego di un intervento edilizio convenzionato, ove sussista una procedura esecutiva culminata nella trascrizione di un pignoramento immobiliare avente ad oggetto alcune particelle del compendio edificatorio: C.d.S., Sez. IV, 2 agosto 2011, n. 4576). Infatti è bene tenere presente che l’ “‘esigenza di un piano di lottizzazione, quale presupposto per il rilascio del permesso di costruire, si impone anche al fine di un armonico raccordo con il preesistente aggregato abitativo, allo scopo di potenziare le opere di urbanizzazione già esistenti e, quindi, anche alla più limitata funzione di armonizzare aree già compromesse ed urbanizzate, e perciò anche in caso di lotto intercluso o di altri casi analoghi di zona già edificata e urbanizzata” (C.d.S., Sez. IV, 2 aprile 2020, n. 2228, con la giurisprudenza ivi indicata).
3. LA CONTROVERSA APPLICAZIONE DELLA DISCIPLINA DEL GOLDEN POWER IN ITALIA NEL 2020 ALLA LUCE DELLA RELAZIONE DEL GOVERNO AL PARLAMENTO.
MATTEO FARNESE
CONTENUTO DELLA RELAZIONE
La relazione al Parlamento in materia di esercizio dei poteri speciali mostra i dati annuali riguardanti l’attività svolta dal Governo sulla base della disciplina del c.d. Golden Power, in relazione ai settori di rilevanza strategica nazionale.
I settori presi in considerazione sono quelli della difesa e sicurezza nazionale, la tecnologia 5G, l’energia, i trasporti, le comunicazioni e i nuovi settori presi in considerazione dal Reg. 2019/452. In particolare, con il d.l. 8 aprile 2020, n. 23, il legislatore ha previsto l’immediata applicazione dell’art. 4 del Regolamento UE 2019/452, che individua una serie di beni e rapporti di rilevanza strategica per l’interesse nazionale, riferendosi per esempio a “infrastrutture critiche” e “tecnologie critiche”, che vanno ad aggiungersi a quelli già inclusi nel d.l. 21/2012. Il decreto-legge anticipa di sei mesi l’entrata in vigore del Regolamento europeo, prevista per l’11 ottobre 2020, portando ad un aumento significativo delle informative per i settori di riferimento.
La relazione spiega, inoltre, la partecipazione dell’Italia al meccanismo di cooperazione europea, descritto nell’art. 6 del Reg. 2019/452, e il monitoraggio interno svolto dai Comitati predisposti a tale fine. Sono tre i Comitati di monitoraggio: due riguardano singole operazioni (TIM/VIVENDI e PIAGGIO/PAC) mentre uno è predisposto al controllo di tutti i procedimenti aventi ad oggetto beni e servizi relativi al 5G.
DATI PIÙ SIGNIFICATIVI
I dati più significativi che si possono ricavare dal documento appartengono essenzialmente a tre categorie: il confronto con le informative delle annualità precedenti, l’aumento delle notifiche a partire da aprile 2020 e il rapporto tra il numero di notifiche e l’esercizio dei poteri speciali, soprattutto in relazione alla tecnologia 5G.
Il confronto delle informative dal 2014 al 2020 è un dato estremamente significativo in quanto dimostra la crescente rilevanza che sta assumendo la materia del controllo sugli investimenti esteri diretti. Il passaggio da 83 notifiche, relative all’anno 2019, alle 342, relative all’anno 2020, è frutto dell’attenzione che l’UE ha rivolto alla materia attraverso l’adozione del Regolamento 2019/452.
A questo aspetto si lega fortemente l’aumento esponenziale delle notifiche dal mese di aprile 2020. L’impatto della pandemia COVID-19 ha costretto il legislatore a adottare misure urgenti atte a limitare le conseguenze della crisi economica, preoccupandosi anche della protezione degli asset strategici nazionali. A tal fine è intervenuto con il d.l. 23/2020, sostanzialmente anticipando l’applicazione del Regolamento europeo in materia, allargando i settori e la platea di soggetti sottoposti all’obbligo di notifica.
Nonostante l’aumento significativo del numero di notifiche pervenute, passate da 83 nel 2019 a 342 nel 2020, l’utilizzo dei poteri speciali è stato comunque limitato. Solo in 42 occasioni il Governo è intervenuto, di cui 2 volte attraverso l’esercizio del potere di veto e 40 volte attraverso l’imposizione di specifiche condizioni soggette a monitoraggio. Il caso più interessante è quello concernente l’esercizio di poteri speciali previsti nell’art. 1-bis, in materia di tecnologia 5G. Pur occupando la porzione più piccola tra i settori presi in considerazione, con sole 19 notifiche, i poteri speciali sono stati esercitati in 18 casi, mentre l’informativa restante è stata giudicata incompleta e soggetta ad una nuova notifica.
CONCLUSIONI
La materia è sempre più al centro dell’agire pubblico. La crisi sanitaria ed economica ha accentuato ed accelerato il processo di evoluzione della materia in una prospettiva di maggiore controllo degli investimenti esteri diretti. Un forte impulso arriva ovviamente dall’Unione europea. Da un lato, attraverso il Regolamento 2019/452, i settori e i soggetti sottoposti all’obbligo di informativa ex art. 2 d.l. 21/2012 sono aumentati esponenzialmente. Dall’altro la creazione di un meccanismo di cooperazione europea permette di affrontare in chiave comunitaria i rischi per la sicurezza e l’ordine pubblico, tenendo conto delle specificità dei singoli Stati Membri.
L’utilizzo dei poteri da parte del Governo italiano è stato limitato perlopiù alla tecnologia 5G e alla difesa e sicurezza nazionale. L’ampliamento dei settori soggetti alla disciplina ex art. 2 d.l. 21/2012 non ha portato ad un maggior utilizzo dei poteri speciali, esercitati in soli 9 casi su 286. La disciplina dell’art. 2, è bene ricordarlo, contiene i settori in cui gli investimenti esteri sono più indirizzati, come l’energia o le comunicazioni.
Sorge quindi un interrogativo: l’utilizzo prudente dei poteri speciali è conseguenza dei timori del Governo di disincentivare gli investimenti esteri, ovvero il fine ultimo della normativa è un più diffuso controllo sugli investimenti esteri, che prescinde dalla concreta possibilità di esercizio del Golden Power, seguendo il trend globale in chiave sostanzialmente anticinese? Probabilmente la verità sta nel mezzo. La prima ipotesi rappresenta sicuramente gli interessi nazionali, soprattutto in un momento storico in cui il Paese ha bisogno di capitali stranieri per tornare a crescere, mentre la seconda sembra esprimere l’obiettivo perseguito dalle istituzioni comunitarie.
4. IL ‘CANTIERE APERTO’ DELLA VIGILANZA FINANZIARIA EUROPEA: IL PROGETTO DI AGENZIA EUROPEA ANTIRICICLAGGIO
TOMMASO MAZZETTI DI PIETRALATA
Il 20 luglio 2021 la Commissione europea ha presentato un pacchetto di quattro proposte legislative (COM/2021/420-424)dirette a rafforzare l’azione di prevenzione del riciclaggio di denaro all’interno dell’Unione Europea. L’iniziativa legislativa giunge in risposta ai molteplici scandali che hanno avuto come protagoniste istituzioni finanziarie dei paesi membri, fra tutti la vicenda che ha coinvolto la Danske Bank, accusata di aver consentito il transito di oltre 220 miliardi di capitali illeciti attraverso la propria filiale estone.
Tra le proposte vi è quella di istituire una agenzia europea antiriciclaggio (la c.d. Anti-Money Laundering Agency – AMLA) con compiti di vigilanza diretta su talune istituzioni finanziarie ad operatività transfrontaliera, nonché di regolazione, coordinamento e monitoraggio dell’operato delle autorità nazionali di vigilanza finanziaria (ANV) e delle unità di intelligence finanziaria (UIF) degli Stati membri.
Lo strumento giuridico prescelto per l’istituzione dell’agenzia è la procedura prevista dall’art. 114 TFUE, che attribuisce al Parlamento e al Consiglio il potere di adottare, attraverso la procedura ordinaria, le misure relative al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri che hanno a oggetto l’instaurazione e il funzionamento del mercato interno. Sul punto la Corte UE nel 2006 (C-217/04 caso ENISA) aveva del resto ricompreso, nell’ambito delle misure adottabili, anche “l’istituzione di un organismo comunitario incaricato di contribuire alla realizzazione di un processo di armonizzazione”.
La definizione dei poteri attribuibili ad un tale organismo ha risentito storicamente dei condizionamenti derivanti dalla risalente giurisprudenza Meroni (C-9/56 e 10/56), che escluse la legittimità della delega di poteri che conferiscono ad organismi non previsti dai Trattati una libertà di apprezzamento che si concreta in un vero e proprio potere discrezionale. Inoltre, la sentenza Romano (C-98/80), ha precluso l’adozione da parte delle agenzie europee di atti amministrativi generali a carattere vincolante. Conseguentemente, all’atto di istituire le tre autorità di vigilanza finanziaria dell’Unione (European Banking Authority, European Securities and Markets Authority, European Insurance and Occupational Pensions Authority – EBA, ESMA, EIOPA), fu attribuito loro solo un potere di quasi-rulemaking. Queste, infatti, hanno il compito di predisporre progetti di norme tecniche di regolamentazione, la cui adozione è comunque riservata alla Commissione europea nella forma di atti delegati o atti di esecuzione ai sensi, rispettivamente, degli artt. 290 e 291 TFUE. Tale soluzione, per quanto lineare sul piano formale, aveva tuttavia suscitato varie perplessità dal momento che le possibilità di emendare tali progetti da parte della Commissione risultavano significativamente limitate.
Per quanto dubbia l’idoneità dell’art. 114 TFUE a legittimare autorità europee con poteri di regolazione, ancor meno percorribile sembrava l’opzione di attribuire alle stesse anche compiti di vigilanza diretta sugli intermediari, poiché questi implicavano l’adozione di provvedimenti decisori vincolanti sulla base di valutazioni caratterizzate da elevata discrezionalità tecnica. Questi compiti rimasero pertanto affidati alle autorità nazionali competenti seppur con l’isolata eccezione della vigilanza sulle agenzie di rating e sui trade repositories (repertori dei dati di negoziazione in derivati), attribuita all’ESMA attraverso successive modifiche al suo regolamento istitutivo.
Nel 2014 la Corte di Giustizia, con la nota sentenza sul caso Shortselling (C-270/12), ha offerto una parziale rilettura della giurisprudenza Meroni ampliando lo spettro dei poteri delegabili. Secondo i giudici di Lussemburgo, infatti, è conforme con il diritto dell’Unione la delega di poteri amministrativi connotati da ampio margine di discrezionalità ad organismi non previsti dai Trattati europei purché tali poteri “siano disciplinati in modo chiaro e preciso e soggetti a controllo giurisdizionale alla luce degli obiettivi stabiliti dal delegante”. In secondo luogo, la Corte ha ritenuto l’art. 114 TFUE base giuridica appropriata per l’attribuzione ad un organismo dell’Unione del potere di adottare “misure di ravvicinamento” a carattere amministrativo che abbiano come destinatari anche gli operatori finanziari. Infine, la Corte ha affermato che il diritto dei Trattati, alla luce delle modifiche che hanno interessato gli artt. 263 e 277 TFUE, consente l’adozione di atti amministrativi di portata generale da parte delle agenzie europee. A seguito della pronuncia della Corte, è pertanto possibile ricorrere all’art. 114 TFUE al fine di realizzare l’accentramento in capo ad un’autorità europea delle funzioni di vigilanza diretta.
Il legislatore europeo nel 2019 ha quindi attribuito all’ESMA nuovi poteri di vigilanza diretta su determinate attività e determinati operatori finanziari, realizzandosi così un parziale trasferimento di competenze amministrative dal livello nazionale a quello sovranazionale. Tali trasformazioni non hanno invece interessato EBA ed EIOPA, la cui azione è rimasta confinata nell’ambito del supporto e controllo dell’attività delle ANV. Per quanto riguarda il settore bancario, ciò potrebbe trovare spiegazione nel fatto che l’accentramento dei compiti di vigilanza diretta a livello sovranazionale era stato realizzato nel 2014, quantomeno per la zona euro, mediante l’affidamento degli stessi alla BCE nell’ambito del Single Supervisory Mechanism.
In questo contesto, l’esame dei tratti essenziali della proposta per l’istituzione dell’AMLA offre spunti per la ricostruzione delle linee evolutive dell’architettura finanziaria europea.
Il testo redatto dalla Commissione prevede il conferimento alla nuova agenzia di poteri di vigilanza diretta su intermediari transfrontalieri selezionati in ragione dell’elevato profilo di rischio dell’attività esercitata (selected obliged entities). L’analisi dei fattori di rischio copre, a titolo esemplificativo, la tipologia dei prodotti e servizi offerti, le caratteristiche della clientela e l’operatività al di fuori dell’Unione.
Al riguardo l’AMLA disporrà di poteri che spaziano dalla richiesta di informazioni alle entità vigilate all’indagine ispettiva condotta in sede. Qualora i soggetti vigilati non rispettino i requisiti fissati dalla legislazione dell’Unione e da quella nazionale, ovvero risulti concreto il rischio di violazioni future, l’agenzia potrà adottare misure amministrative incidenti direttamente nella loro sfera giuridica. Tra i poteri esercitabili figurano, a titolo di esempio: la richiesta di cambiamenti nella governance dell’intermediario; l’imposizione di specifiche restrizioni all’attività degli intermediari con riferimento a clienti o transazioni che presentano rischi elevati. Si prevede infine il potere di irrogare sanzioni pecuniarie in caso di violazioni della legislazione rilevante. Nello svolgimento delle proprie funzioni, l’AMLA si avvarrà del supporto delle ANV competenti. La proposta prevede infatti la creazione, per ciascuna selected entity, di un gruppo di vigilanza congiunto (Joint Supervisory Team) composto da personale dell’agenzia europea e delle autorità di vigilanza nazionali.
Per quanto riguarda gli intermediari non ricompresi nella lista predisposta dall’autorità (non–selected obliged entities), la vigilanza sugli stessi rimane di spettanza delle ANV. In questo caso l’attività dell’AMLA si configura quale vigilanza indiretta o di secondo grado (control over implementation), ossia rivolta a indirizzare e conformare l’azione delle autorità nazionali.
Al fine di realizzare il coordinamento tra le ANV nella supervisione degli intermediari cross-border, all’AMLA è richiesto di assicurare la creazione di “collegi delle autorità di vigilanza” e di garantirne il corretto e costante funzionamento.
All’agenzia sono poi attribuiti compiti di supporto e di coordinamento anche nei confronti delle UIF dei paesi membri. Ai meccanismi di monitoraggio e di coordinamento, si affianca, sempre circa le non-selected entities, anche l’intervento in sostituzione delle ANV in circostanze eccezionali. L’esercizio di tale prerogativa presuppone che l’AMLA abbia rilevato una violazione della disciplina antiriciclaggio ed abbia raccomandato senza successo alle ANV le misure di contrasto da intraprendere. In tal caso l’AMLA può adottare essa stessa, previa autorizzazione della Commissione, una decisione individuale nei confronti degli intermediari.
Quanto ai poteri di regolazione, il legislatore europeo ripropone la soluzione già sperimentata all’epoca dell’istituzione delle autorità europee di vigilanza finanziaria, conferendo all’AMLA il compito di predisporre progetti di norme tecniche che spetta poi alla Commissione adottare. Il procedimento di adozione ricalca essenzialmente quello previsto dai regolamenti istitutivi di EBA, ESMA ed EIOPA, in quanto la Commissione, ove ritenga opportune delle modifiche, deve assegnare con atto motivato un termine per redigere un nuovo progetto. Il catalogo degli strumenti a disposizione dell’autorità include infine atti di soft law, ossia linee guida e raccomandazioni che possono avere come destinatari le ANV, le UIF, e le entità vigilate, al fine di favorire la convergenza delle prassi di vigilanza e garantire una coerente applicazione del diritto dell’Unione. Nonostante la natura non vincolante, tali atti hanno un rilevante effetto conformativo in quanto è previsto che le ANV, qualora non intendano darvi seguito, debbano esplicitare le motivazioni e che di tale motivato discostamento l’AMLA possa dare pubblicazione.
In conclusione si può rilevare come, sul piano funzionale, l’attività della nuova agenzia non sarà limitata alla armonizzazione delle normative nazionali e alla convergenza delle prassi di vigilanza delle ANV, bensì si estenderà all’esercizio di poteri autoritativi esercitabili direttamente nei confronti dei soggetti regolati.
In questa prospettiva, la proposta di regolamento conferma la generale tendenza al trasferimento delle competenze amministrative dal piano nazionale a quello sovranazionale. Nella specie tuttavia tale trasferimento è basato su un riparto di competenze che, in ossequio ai principi di proporzionalità e sussidiarietà, prevede l’allocazione al livello dell’Unione dei compiti di vigilanza sugli intermediari con più marcata connotazione transfrontaliera e maggiormente sospettabili di un uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo. In relazione a quest’ultimo profilo non sfuggono le affinità con la distribuzione delle competenze tra le ANV del settore bancario e la BCE nell’ambito del Single Supervisory Mechanism, in cui, pur con alcune eccezioni, il legislatore europeo ha conferito a quest’ultima competenze esclusive solo con riferimento alle banche “significative” sulla base di criteri fissati dalla legislazione dell’Unione.