Gaia Mazzei
06/05/2021
La previsione della facoltà in capo al legislatore italiano di imporre limitazioni, quantitative e qualitative, all’opportunità di fare ricorso all’istituto del subappalto ha sempre costituito un’incertezza normativa caratteristica del nostro ordinamento. Tale problema si è tradotto in previsioni normative di dubbia legittimità, specialmente in vista dell’orientamento giurisprudenziale della Corte di Giustizia, la quale ha considerato la disciplina italiana del subappalto incompatibile con l’ordinamento eurounitario, ed ha provocato numerosi dubbi applicativi. La sentenza del Consiglio di Stato, n. 8101 del 17 dicembre 2020, ha riportato alla luce la discussa questione concernente le limitazioni imposte al subappalto, storicamente dirette a rimuovere il pericolo di infiltrazioni mafiose all’interno della contrattualistica pubblica.
In armonia con ciò si è di recente espressa, con due sentenze del settembre e del novembre 2019, anche la Corte di Giustizia, precisando che le direttive europee devono essere intese nel senso di ritenersi ostative alla previsione di limiti quantitativi al subappalto che siano generali ed indeterminati.
È stato chiesto, pertanto, da parte del giudice comunitario, al legislatore nazionale di introdurre misure meno restrittive, ma allo stesso modo idonee, allo scopo di realizzare la necessità di tutela della legalità negli appalti pubblici. In conseguenza alle sentenze della Corte di Giustizia, l’ordinamento italiano si trova ora caratterizzato da una sorta di vuoto normativo che si riverbera tanto sui privati quanto sulle amministrazioni.
Infatti, il legislatore comunitario, ritiene che sia soddisfacente un sistema di tutele, quale quello approntato nelle Direttive, prima del 2004 e poi del 2014, che lascia alle stazioni appaltanti la possibilità di porre in essere una serie di controlli preventivi sul soggetto che in concreto eseguirà l’opera, così da disporre di un sistema che permetta di verificare anticipatamente il rispetto della legge e che, di conseguenza, non richieda ulteriori limiti in fase di esecuzione del contratto quali quelli della quota subappaltabile.
L’approvazione del decreto Sblocca cantieri era stata preceduta da una discussione che aveva posto come obiettivo principale quello dell’eliminazione totale della quota subappaltabile, con l’intento di ampliare quanto più possibile il principio della massima partecipazione e conformare così la disciplina del subappalto nazionale a quella del subappalto comunitario. Nonostante questa consapevolezza, tuttavia, il decreto n. 32/2019 ha finito per conservare il limite massimo della quota subappaltabile innalzandolo inizialmente dalla quota del 30% a quella del 50% e poi, con la previsione di un periodo transitorio di vigenza della stessa, riportando la quota massima al 40%.
L’incertezza applicativa provocata della norma e la modifica della percentuale della quota subappaltabile hanno provocato, in riferimento a tale previsione, dubbi di conformità con la disciplina euro unitaria dei contratti pubblici e hanno dato luogo a due ordinanze di rimessione: l’ordinanza n. 148 del TAR Lombardia, Sez. I, del 19 gennaio 2018 e l’ordinanza n. 3553 del Consiglio di Stato, dell’11 giugno 2018.
Ora, anche se il giudizio di incompatibilità è intervenuto in relazione alla previgente disciplina prevista nel Codice appalti del 2016, la quale prevedeva il limite delle quote subappaltabili 30%, tale giudizio deve essere esteso, per analogia, anche alla più recente previsione contenuta nello Sblocca cantieri, cioè quella che fissa invece il limite delle quote subappaltabili nel 40%.
Ci si chiede, a questo punto, non solo quale sia il limite che deve essere imposto alla quota subappaltabile in sede di gara, ma anche se sia legittimo il ricorso al subappalto senza limiti quantitativi.
Nel merito della questione si è di recente pronunciato il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 8101 del 17 dicembre scorso, precisando che la norma dei contratti pubblici che pone limiti al subappalto, ovvero l’articolo 105 comma 2, deve essere disapplicata in quanto incompatibile con l’ordinamento eurounitario.
La controversia originava da un ricorso proposto al TAR Piemonte a seguito di una gara per la concessione del servizio di ristorazione a basso impatto ambientale per le mense scolastiche ed i centri diurni socioterapeutici. In particolare, la ricorrente, seconda classificata, contestava l’aggiudicazione in capo alla prima classificata con una serie di censure, tra le quali la violazione dell’articolo 105 del Codice dei contratti pubblici nella parte in cui prevede il limite del 30% alla quota subappaltabile, limite, questo, che l’aggiudicataria avrebbe superato.
Il TAR, con sentenza n. 962 del 5 settembre 2019, accogliendo il primo ordine di censure, relative alla violazione del capitolato speciale da parte dell’aggiudicataria, ha però compreso gli altri motivi del ricorso, tra i quali, la violazione dei limiti alla quota subappaltabile discendente dalla dichiarazione di subappalto dell’aggiudicataria. Successivamente il Consiglio di Stato ha ribaltato la decisione del TAR, ha accolto le censure della ricorrente ed ha analizzato tutti i motivi del ricorso principale.
Con specifico riferimento alla violazione dei limiti al subappalto il Consesso ha chiarito, avvalorando quanto già espresso con la sentenza n. 4832 del 29 luglio 2020, che i limiti generali e indeterminati imposti dal legislatore al subappalto devono essere disapplicati in quanto incompatibili con l’Ordinamento eurounitario. In particolare, ricordando un precedente orientamento, ha precisato che i limiti del 30% relativi al subappalto secondo la formulazione del comma 2 dell’articolo 105 devono ritenersi superati per effetto delle sentenze della Corte di Giustizia (ovvero la sentenza Vitali S.p.a. e la sentenza Tedeschi S.r.l.).
Il Consiglio di Stato, con la sentenza in esame, si è quindi pronunciato in relazione alla possibilità di fare ricorso al subappalto fino alla quota del 100%, esprimendo una sostanziale disapplicazione dell’articolo 105 del Codice dei contratti pubblici.