MATTEO PIETROSANTE
14 settembre 2020
Uno dei temi più controversi della pianificazione urbanistica è la corretta classificazione dei vincoli imposti dal Piano Generale e a quali condizioni si determina la possibilità di una rinnovazione in variante qualora essi siano classificati come vincoli ablatori restrittivi dei diritti dei proprietari dell’area.
Sul tema viene in rilievo una controversia tra il proprietario di un’area nel Comune di Segrate e l’amministrazione comunale che, attraverso una variante al PRG, aveva rinnovato un vincolo limitativo sulla suddetta area.
Il ricorrente privato chiese al giudice del primo grado l’annullamento della Delibera del Consiglio Comunale che approvava una variante al Piano Regolatore Generale, che istituiva vincoli nella proprietà del ricorrente, lamentando la sostanziale disparità di trattamento derivante dalla classificazione della area quale “ambito soggetto a tutela paesaggistico-ambientale”, classificata come compatibile con attività agricola e destinata in parte a “collegamenti pedonali” attraverso la realizzazione di una scalinata in difformità rispetto alle aree circostanti già edificate.
Nella fattispecie il ricorrente lamentò al T.A.R. Lombardia la carenza dell’istruttoria compiuta dal Comune di Segrate, la mancata presa in considerazione delle osservazioni portate dai proprietari in sede di variante, la discriminazione della destinazione rispetto alle aree circostanti ma soprattutto la previsione della destinazione del terreno del ricorrente anche alla realizzazione di collegamento pedonale con una scala, non contenuta nella delibera comunale di adozione della variante,che sarebbe stata inserita nella delibera di approvazione della medesima variante in violazione delle norme sulla partecipazione procedimentale di cui agli artt. 9 e 10 della l. n. 1150/1942, tanto più che la destinazione a collegamento pedonale avrebbe sostanziato la reiterazione di un vincolo ablativo a tempo indeterminato, sostanzialmente espropriativo, imposto senza indennizzo dopo oltre cinque anni dalla scadenza dell’analogo vincolo posto da altro strumento urbanistico; la realizzazione della scala avrebbe sostanziato un’occupazione sine titulo, preordinata all’usucapione o alla costituzione di servitù pubblica, della quale avrebbe dovuto disporsi la rimessione in pristino e il risarcimento del danno.
Il Tar ha respinto il ricorso, avendo ritenuto generiche le censure di eccesso di potere per disparità di trattamento e non illogico il vincolo impresso all’area alla luce del contesto in cui essa è inserita
Sul tema è intervenuto il Consiglio di Stato Sez. II in una sentenza del 31 Agosto 2020.
Anzitutto si pone il tema della corretta classificazione, appunto, del vincolo. Il Consiglio di Stato sul punto si pronuncia, in linea con quanto già affermato con sentenza Cons. Stato, sez. IV, 12 aprile 2017, n. 1700, affermando che la parziale destinazione a collegamento pedonale di parte del fondo configura un vincolo sostanzialmente ablatorio, non riscontrandosi nella fattispecie gli elementi che consentirebbero di individuare un tale vincolo come meramente conformativo, difatti: <Sono conformativi e al di fuori della schema ablatorio-espropriativo, quindi non comportano indennizzo, non decadono al quinquennio e quindi non sussiste un dovere di ritipizzazione, i vincoli che importano una destinazione anche di contenuto specifico realizzabile ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata, che non comportino necessariamente espropriazione o interventi ad esclusiva iniziativa pubblica e quindi siano attuabili anche dal soggetto privato e senza necessità di ablazione del bene>.
Difatti, il Collegio osserva che l’impugnazione è tesa ad avversare gli atti con i quali è stato approvato uno strumento urbanistico di carattere generale, dal quale consegue una destinazione dell’area di cui il ricorrente è proprietario caratterizzata da una sostanziale compressione della capacità edificatoria.
Il Collegio rileva come vi sia un’effettiva difformità tra i criteri regionali e la classificazione dell’area scelta dall’amministratore comunale data anche dall’impossibilità, per specifiche del terreno, di svolgere attività agricola e come vi sia una chiara carenza istruttoria, da parte dell’amministrazione, rispetto alla nuova imposizione di un vincolo ablativo. Va inoltre considerato che, non essendosi costituiti nei due giudizi né il Comune di Segrate né la Provincia di Bergamo, viene in rilievo l’art. 64 del codice sul procedimento amministrativo che impone al giudice, al secondo comma, di decidere sulla base delle prove prodotte dalle parti in giudizio, salvo diverse disposizioni di legge.
Viene quindi in rilievo l’assenza di idonea istruttoria in capo all’amministrazione dalla quale, come afferma il Consiglio di Stato, deriva l’ annullamento degli atti impugnati, fatti salvi gli ulteriori atti che l’Amministrazione riterrà di adottare in sede di riesercizio del proprio potere di pianificazione del territorio.
Nello specifico, se è vero che gli atti di pianificazione del territorio aventi carattere generale non richiedono una specifica motivazione in ordine agli interessi pubblici cui sono preordinati, tuttavia la parziale destinazione a collegamento pedonale di parte del fondo, che configura un vincolo sostanzialmente ablatorio non riscontrandosi nella fattispecie gli elementi che consentirebbero di individuare un tale vincolo come meramente conformativo, imposta dopo la decadenza di precedente e analogo vincolo, in difetto della partecipazione dell’interessato al procedimento, risulta del tutto carente di idonea motivazione in ordine all’interesse pubblico.
Nella Sentenza quindi il Consiglio di Stato si concentra sui due temi principali: la corretta classificazione dei vincoli e il perseguimento di quel fragile equilibrio, che permea gran parte della materia urbanistica, tra gli interessi legittimi dei privati e le esigenze collettive di stampo pubblico. Proprio su questa linea allora si inserisce la rilevanza dell’istruttoria Comunale, poiché sebbene l’Amministrazione possa richiedere un sacrificio dei diritti del privato in funzione dei suoi poteri, è richiesto che ciò avvenga a seguito della presa in considerazione di tutti gli elementi e gli interessi in gioco nella situazione specifica, non potendo basarsi su meri provvedimenti generali di rinnovo dei vincoli.