8/11/2019
ELEONORA GUARAGNA
L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (3 settembre 2019, n. 9) ha definitivamente chiarito la natura di provvedimento amministrativo degli atti (“note di riconoscimento”) con cui il GSE accerta il mancato assolvimento, da parte dei produttori ed importatori di energia da fonti non rinnovabili, delle c.d. “quote d’obbligo” di cui all’art. 11 del d.lgs. n. 79/99. Salvo l’esercizio, ricorrendone i presupposti, del potere di autotutela amministrativa, gli atti che accertano l’inadempimento degli operatori economici diventano definitivi se non impugnati entro i termini decadenziali di legge. Hanno, al contrario, natura paritetica gli atti con cui il GSE accerta in positivo l’avvenuto adempimento delle quote d’obbligo.
Per comprendere l’importanza chiarificatrice della pronuncia, è necessario accennare alle premesse giuridico-fattuali che fanno da sfondo al caso in esame.
La vicenda prende le mosse dalla controversia tra ENEL Produzione s.p.a. e il Gestore dei Servizi Energetici (GSE) sulla ripetizione d’indebito di somme versate in adempimento delle quote d’obbligo. Queste ultime sono le quote di energia elettrica prodotte da fonti rinnovabili, calcolate in relazione alla quantità di energia prodotta da fonti non rinnovabili, che, sulla base dell’art. 11 del d. lgs. n. 79 del 1999, ogni produttore o importatore di energia ha l’obbligo di immettere nella rete elettrica nazionale oppure di coprire tramite l’acquisto di relativi diritti o certificati da altri produttori o dal GSE.
ENEL chiedeva la ripetizione delle somme asseritamente versate al GSE in eccesso (circa 45 milioni di euro) tra il 2003 e il 2008, sostenendo la non correttezza del metodo di calcolo degli esborsi dovuti da parte del Gestore (calcolo effettuato in proporzione all’energia necessaria al funzionamento degli impianti di pompaggio, e non solo sulla base di quella prodotta ed immessa in rete dagli stessi impianti, nettamente minore).
La vicenda era stata inizialmente esaminata dal TAR Lombardia (sentenza n. 1437 del 2006), che aveva dichiarato l’erroneità del criterio di calcolo seguito dal GSE nel calcolo delle quote d’obbligo (non coincidente col criterio stabilito dalla deliberazione dell’AEEG n. 101/2005, la quale quantificava come energia rilevante solo quella prodotta e immessa sul mercato) e ritenuto fondata la pretesa restitutoria di ENEL per il periodo 2001-2002; successivamente, con sentenza 20 febbraio 2012, n. 565, aveva dichiarato invece inammissibile la richiesta di ripetizione degli esborsi relativi agli anni 2003-2008, essendo impossibile estendere l’efficacia del giudicato ad un ambito nettamente più ampio e regolato da criteri differenti (e il Consiglio di Stato l’anno seguente, con sentenza n. 312 del 2013, aveva confermato tale inammissibilità).
In seguito a nuovo ed autonomo ricorso di ENEL per le somme relative al periodo 2003-2008, il TAR Lazio ribadiva le conclusioni del TAR Lombardia, rilevando la mancata tempestiva impugnazione delle note di riconoscimento adottate dal GSE per comunicare gli esiti delle verifiche sulle quote d’obbligo negli anni di riferimento; così decidendo, attribuiva all’atto di accertamento del GSE natura provvedimentale, in quanto esito di un tipico procedimento amministrativo (sentenza 24 febbraio 2015, n. 3252), e alla posizione del privato qualifica di interesse legittimo. Tale natura provvedimentale, posta a tutela di un interesse pubblico di rilievo, rendeva l’atto in questione assoggettabile ai vincoli impugnatori (termini decadenziali compresi) degli atti amministrativi.
A seguito di appello di ENEL, che sosteneva invece la natura paritetica dei suddetti atti del GSE (e dunque dell’assoggettabilità al termine decennale di prescrizione) e la qualifica di diritto soggettivo della propria posizione, e della costituzione in giudizio del GSE e dell’ARERA, che, d’altra parte, accoglievano la tesi della natura provvedimentale degli atti chiedendo il rigetto dell’appello, il Consiglio di Stato (ordinanza 25 marzo 2019 n. 1934) rimetteva la questione di diritto all’Adunanza Plenaria.
Questione di diritto che il collegio ha recentemente risolto tramite un’articolata analisi del ruolo del GSE e degli effetti dei suoi atti di verifica e controllo.
Il Consiglio di Stato ha chiarito, per cominciare, che il GSE è soggetto privato svolgente pubbliche funzioni: pur ricoprendo formalmente la veste di società di capitali di diritto privato, è interamente partecipato da soggetti pubblici (Ministero dell’Economia e delle Finanze), sottoposto al controllo sulla gestione finanziaria della Corte dei Conti (ai sensi dell’art. 12 della legge 259/1958), e assolve a funzioni dai connotati nettamente pubblicistici, anche di portata sovranazionale.
In quanto soggetto privato preposto all’esercizio di funzioni pubblicistiche, il GSE può emanare provvedimenti amministrativi nei casi previsti dalla legge, in osservanza del principio di legalità dell’azione amministrativa (art. 1 comma 1-ter della 241/1990). D’altro canto, il GSE esercita poteri di natura certamente pubblicistica quando avvia procedimenti amministrativi volti all’ammissione dei richiedenti ai diversi regimi di incentive per la produzione di energia da FER. Il d.lgs. n. 79/99, dopo aver introdotto all’art. 11 la nozione di “quote d’obbligo”, affida al Ministro dello Sviluppo Economico, di concerto con il Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, il compito di adottare direttive per darvi concreta attuazione.
Il controllo sull’assolvimento di tali quote da parte dei produttori e importatori di energia si concretizza in una verifica affidata in via esclusiva al Gestore; verifica che si articola nelle fasi del tipico procedimento amministrativo, dettagliatamente scandite dalle direttive emanate con d.m. 11 novembre 1999, poi sostituite con d.m. 24 ottobre 2005 e con d.m. 18 dicembre 2008. L’accertamento viene svolto annualmente sulla base dell’autocertificazione ricevuta dal produttore, dei certificati verdi ricevuti e da ogni altro dato in suo possesso (con un margine, dunque, di apprezzamento discrezionale, e non solo sul fondamento di un mero calcolo). In caso di esito negativo della verifica, il produttore è tenuto a compensare entro trenta giorni la differenza risultante. Se l’adempimento entro il termine non ha luogo, il GSE attiva il successivo procedimento sanzionatorio con segnalazione dell’inottemperanza all’ARERA, cui spetta tale competenza (che non si estende, però, al riesame dell’an dell’accertamento già effettuato dal Gestore).
L’esito negativo della verifica comporta l’attribuzione al produttore/importatore della qualifica di “soggetto inadempiente”, dalla quale discendono conseguenze riparatorie e sanzionatorie (l’ingiunzione di pagamento e l’applicazione di sanzioni da parte dell’Autorità di settore) immediatamente lesive per l’operatore economico.
L’accertamento effettuato dal GSE può essere ricondotto al disposto dell’art. 41, comma 3, Cost., indirizzando l’attività economica privata al perseguimento di finalità sociali; l’adempimento del produttore di energia si qualifica come “prestazione patrimoniale imposta” di cui all’art. 23 Cost., e il vincolo costituzionale della riserva relativa di legge è soddisfatto dalla previsione delle quote d’obbligo in una norma primaria (l’art. 11 del D.Lgs. n. 79/99).
In conclusione, l’Adunanza Plenaria ritiene che, alla luce di questi rilievi e dei connotati dell’attività di accertamento svolta dal Gestore, gli atti con cui il GSE accerta il mancato assolvimento dell’obbligo abbiano natura provvedimentale; e a far preferire tale lettura è principalmente il potere sopra detto, attribuito al GSE, di assegnare al soggetto inadempiente “un nuovo status (…) suscettibile di rilevare ex se ai fini della applicazione di ulteriori provvedimenti a carattere sanzionatorio.”, attando, quindi, “atto provvedimentale a contenuto ed effetto costitutivo”.
Un potere esercitato in siffatti termini, evidentemente, mal si concilierebbe con la natura di atto paritetico e nel contesto di un rapporto simmetrico inter partes. Non sarebbe infatti coerente, anche per esigenze di certezza giuridica e stabilità dei provvedimenti e degli accertamenti, consentire che le conseguenze sanzionatorie si riconnettano ad un atto paritetico che, in quanto tale, sarebbe contestabile oltre i termini stringenti del giudizio di annullamento, con il solo limite della prescrizione.
La posizione azionabile del privato, in questo caso, è di interesse legittimo, in quanto il contrapposto interesse primario immediatamente tutelato dalla norma è di matrice pubblica e di rilevanza collettiva.
Nel caso in cui, invece, il controllo del GSE abbia esito positivo, l’atto è privo di effetti costitutivi, non attiva alcuna “parentesi sanzionatoria” del procedimento e si limita a dichiarare l’avvenuto adempimento dell’obbligo senza incidere sulla posizione giuridica dell’operatore economico: ha di conseguenza natura paritetica, la posizione del privato si ricollega ad un interesse individuale patrimoniale ed è dunque di diritto soggettivo, e l’eventuale contestazione circa il quantum del dovuto atterrebbe esclusivamente a profili patrimoniali e sarebbe, quindi, azionabile nei tradizionali termini prescrizionali. La cognizione è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo per ragioni di concentrazione ed economia processuale, trattandosi di vicende che sottendono in ogni caso una posizione di potere pubblico e di esercizio della funzione amministrativa, e in cui “situazioni di potere, diritto ed interesse risultano inestricabilmente intrecciate”. L’Adunanza Plenaria ha dunque delineato una “soluzione duale” riguardo la natura degli atti del Gestore, “provvedimentale/non provvedimentale, a seconda degli esiti del procedimento di verifica”, da definirsi in base al grado di incisività e lesività dell’atto sulla sfera giuridica dei produttori di energia