GIULIA MARI
11/04/2018
- Premesse
Lo scorso 14 febbraio, la prima sezione del Tribunale Amministrativo regionale del Lazio, ha emanato una sentenza (n. 1735/2018) di particolare interesse dal punto di vista sistematico e dottrinale, che si inserisce nell’ampio dibattito circa il regime giuridico delle Linee guida emanate dall’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC).
Il dibattito si focalizza essenzialmente sulla natura e la portata applicativa delle Linee guida, nonché sulle conseguenze di una loro violazione e la possibilità di un’eventuale impugnazione delle stesse.
- Uno sguardo d’insieme alle Linee guida
Per poter apprezzare al meglio la portata di tale sentenza e come essa si inserisca nell’ambito del dibattito dottrinale, occorre fare luce su questa controversa tipologia di regole normative emanate dall’ANAC.
Il fondamento normativo del potere dell’ANAC di emanare tali atti, è rintracciabile nella legge delega n. 11 del 2016, la quale ha attribuito all’Autorità, al fine di espletare le proprie funzioni, il potere di adottare “atti di indirizzo quali Linee guida, bandi-tipo, contratti-tipo ed altri strumenti di regolamentazione flessibile, anche dotati di efficacia vincolante”.
Si tratta di strumenti di regolazione flessibili, atti a dettare criteri da seguire e chiarire la portata applicativa delle disposizioni in esse richiamate; una “guida” che l’Autorità fornisce ai propri interlocutori e con la quale indica loro i binari entro cui muoversi, ai fini del raggiungimento degli obiettivi perseguiti.
L’efficacia di tali atti risiede proprio nel loro dinamismo, nella possibilità, per l’ente o l’autorità da cui provengono, di emanarle con maggiore rapidità e flessibilità rispetto ad un ordinario atto normativo.
Ai destinatari è però lasciato un margine più o meno ampio di discrezionalità, ed è proprio con riferimento all’eventuale discrezionalità concessa da tali atti che si inserisce il dibattito circa la natura vincolante o meno delle Linee guida.
Nel parere rilasciato nel 2016 dalla Commissione speciale, istituita presso il Consiglio di Stato (parere n.855 del 1 aprile 2016),sono state individuate due tipologie di Linee guida: quelle adottate dall’ANAC, ma recepite con apposito decreto ministeriale, alle quali è stata pacificamente riconosciuta la natura giuridica di un normale regolamento ministeriale; e le Linee guida adottate direttamente dall’Autorità, senza il recepimento da parte di alcun regolamento ministeriale, le quali assumono la funzione di normativa di dettaglio e si distinguono in vincolanti e non vincolanti.
I maggiori problemi interpretativi si sono posti, in particolare, con riferimento al regime giuridico delle Linee guida (sia vincolanti che non) appartenenti alla seconda tipologia in esame.
- Il contributo del Tar del Lazio nella ricostruzione del regime giuridico delle Linee guida non vincolanti
La sentenza in esame assume un rilievo considerevole proprio perché con essa il giudice amministrativo inserisce un nuovo tassello nella ricostruzione del regime giuridico delle Linee guida non vincolanti, mettendone in luce la portata applicativa e le conseguenze.
Nello specifico, il Collegio ha rilevato la fondatezza dell’eccezione di inammissibilità con riferimento a un ricorso avanzato ai fini dell’annullamento parziale di una determinazione dell’Autorità (n. 241/2017), mediante la quale venivano imposti obblighi di trasparenza in capo a determinati soggetti, quali titolari di incarichi politici, di amministrazione, di direzione o di governo e i titolari di incarichi dirigenziali. Veniva contestata, nello specifico, la previsionedell’estensione di tali obblighi anche nei confronti degli ordini professionali.
Più nel dettaglio, tale provvedimento era stato considerato, dalla parte ricorrente, direttamente lesivo della propria situazione giuridica, in virtù della sua portata generale e del carattere immediatamente precettivo delle Linee guida in questione.
Il Tar capitolino ha fatto espresso richiamo a quanto è stato già messo in luce dal Consiglio di Stato nel parere n. 1257 del maggio 2017, con riferimento alle Linee guida ANAC emanate “in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza da parte delle società e degli enti di diritto privato controllati e partecipati dalle pubbliche amministrazioni e degli enti pubblici economici”. In tale sede, le suddette Linee guida, sono state definite come un “atto non regolamentare”, privo di carattere coercitivo, ma volto piuttosto a fornire, ai soggetti interessati, un chiarimento in merito alla portata applicativa degli adempimenti previsti dalla normativa richiamata, illustrando il corretto modo di adempiere agli obblighi che da essa derivano e sui quali l’Autorità esplica la potestà di vigilanza ad essa affidata.
Rilevanti risultano, specificamente, i corollari che derivano dalla qualificazione delle Linee guida in esame, quali atti di natura non regolamentare.
In primo luogo, tali Linee guida, in virtù della propria natura non regolamentare, rappresentano un mero atto di indirizzo per i soggetti a cui sono destinate, i quali quindi hanno la facoltà di discostarsene, attraverso atti che siano provvisti di una “adeguata e puntuale motivazione” circa le ragioni della diversa scelta amministrativa.
Da quanto abbiamo appena evidenziato emerge quindi un’ulteriore, importante conseguenza della natura non vincolante delle Linee guida in commento: tali atti possono essere disattesi, a fronte però di una puntuale motivazione.
Da ciò discende tuttavia che, al di fuori di questa ipotesi, non sia riconosciuta ai destinatari una completa facoltà di non rispettare le suddette Linee guida. La loro inosservanza, non basata su alcun atto volto a giustificare tale scelta, può essere considerata, in sede giurisdizionale, come “elemento sintomatico dell’eccesso di potere”, sulla falsariga dell’elaborazione che si è avuta con riguardo alla violazione delle circolari.
Tutto ciò ha delle ricadute evidenti anche sul piano dell’impugnabilità delle Linee guida suddette. Ricordiamo che, nel caso di specie, il Tribunale Amministrativo ha ritenuto inammissibile il ricorso per carenza di interesse ad agire, ciò a fronte della mancanza di lesioni della posizione soggettiva della parte ricorrente.
È infatti stato sottolineato dal Collegio come le Linee guida in oggetto, risultando “un mero atto di indirizzo e supporto”, non abbiano un contenuto direttamente lesivo nei confronti dei propri destinatari e non possano, di conseguenza, essere oggetto di impugnazione davanti al giudice amministrativo; dunque il fatto che tale atto abbia una portata generale, non costituisce di per sé un presupposto per considerare la sua immediata lesività.
Ma sul punto il Tar del Lazio ha effettuato un’importante precisazione: l’impugnazione delle Linee guida non vincolanti, sebbene inammissibile sic et simpliciter, è tuttavia possibile “unitamente all’atto specifico che, in applicazione di tale indirizzo ove recepito, incida in maniera puntuale sulla posizione giuridica del destinatario”.
Di conseguenza le Linee guida non vincolanti potranno essere considerate lesive degli interessi dei soggetti destinatari, e in quanto tali impugnabili, solo a fronte dell’irrogazione di sanzioni, o altri provvedimenti incidenti nella sfera giuridica del destinatario, nel momento quindi della “loro concreta applicazione”.