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Il diritto all’errore

Gianluca Pizzutelli

 

 

 

04/04/2018

 

 

 

 

Verso la fine di gennaio, molti giornali italiani, sulla scia di quelli internazionali, batterono la notizia che in Francia fosse passata una legge che istituiva il “diritto all’errore”. In realtà il testo approvato in data 30 gennaio 2018 dall’Assemblea nazionale è una mera versione provvisoria, dovendo ancora passare il vaglio del Senato, il quale ha optato per l’affidamento ad una commissione bicamerale dopo alcune modifiche operate sulla prima navetta. Il progetto di legge, intitolato “pour un Etat au service d’une société de confiance”,rappresenta il perno del progetto politico del governo attualmente in carica in tema di amministrazione, uno dei cavalli di battaglia in campagna elettorale, consistente nella riforma di essa allo scopo di renderla il più sensibile possibile ai bisogni del cittadino. L’attuale Presidente della Repubblica aveva infatti promesso una burocrazia più snella e una macchina amministrativa più umana; d’altronde i promotori del progetto di legge hanno tenuto a precisare che non si tratta dell’ennesima legge di semplificazione, ma di una legge generale volta a mutare il rapporto col cittadino e la percezione dell’amministrazione da parte di esso: la legge è infatti destinata, nella sua ratio, a tutti quei cittadini “a cui piacciono i loro servizi pubblici ma non la loro amministrazione”. Quest’intento si evince anche dall’appendice al testo approvato dall’Assemblea nazionale, il quale svela gli obiettivi del governo per la fine del mandato, fra cui spicca “Vers une administration de conseil et de service”, ovvero la volontà di costituire un’amministrazione di servizio e di consiglio, che “accompagni” il cittadino attraverso il procedimento per soddisfare i propri interessi e non rappresenti essa stessa un ostacolo.

Il progetto è stato definito, spesso in maniera critica, un “catch-all”, dato che dietro l’affermazione di due diritti in via generale (all’errore e al controllo), il legislatore francese interveniva in maniera mirata su settori fra loro eterogenei. Nell’intento di ripristinare il rapporto di fiducia col cittadino viene istituito all’articolo 2 capitolo IV del testo licenziato dall’Assemblea il “droit au controle”(il diritto al controllo), consistente nel diritto di ogni persona a poter essere sottoposti ad un controllo ai sensi di legge da parte dell’amministrazione, la quale deve soddisfare la richiesta entro un termine ragionevole. Quest’ultima può sottrarsi a tale obbligo solo dimostrando la malafede del richiedente o ancora nel caso in cui la demandesia “abusive”o quando la domanda ha chiaramente l’effetto di compromettere il buon funzionamento del servizio o impedisce materialmente all’amministrazione di rispettare il proprio programma di controlli. In sostanza viene generalizzato l’istituto del rescritto (rescrit), già presente in ambito fiscale, allargandolo ad ogni controllo amministrativo. I risultati dei controlli effettuati secondo queste modalità saranno opponibili in futuro all’amministrazione, sebbene questa possibilità potrebbe essere prest limitata in Senato per il rischio di vedersi opporre frodi non rilevate durante i primi controlli. La ratio del diritto al controllo è quella di permettere agli amministrati, in special modo alle imprese, di acquisire un maggior grado di certezza sulle conseguenze dei propri comportamenti, eliminando tutte quelle inefficienze legate all’oscurità e alla difficile ricostruzione del quadro normativo.

Il cuore, però, del progettato intervento normativo si riscontra nel “droit à l’erreur”, sancito dal capitolo III del medesimo articolo. In virtù di tale diritto il testo provvisorio prevede che una persona che non rispetti una legge applicabile alla propria situazione o abbia commesso un errore materiale nel comprenderla, non potrà essere soggetta a sanzioni pecuniarie né sanzioni consistenti nella privazione in tutto o in parte della prestazione dovuta. Questo beneficio è subordinato ad una condizione, cioè la regolarizzazione della propria “situasion”dietro richiesta dell’amministrazione ed entro il termine contestualmente stabilito, oppure di propria iniziativa. La sanzione potrà invece essere comminata anche senza previa richiesta di regolarizzazione in caso di malafede o frode.

Il diritto all’errore rappresenta una rivoluzione nei rapporti tra amministrazione e cittadino non tanto per le sue conseguenze, dal momento che la possibilità di attivare dei percorsi rimediali sussisteva già prima, ma per la sua portata di vero e proprio principio generale, in grado di coprire tutte le fattispecie possibili e tutte le conseguenze derivanti dall’errore, tale da portare a ripensare i tradizionali rapporti con l’amministrazione. Non solo, esso costituisce anche una forte seppur indiretta affermazione del soccorso procedimentale. essendo quest’ultimo il percorso rimediale per eccellenza in caso di atto di iniziativa errato da parte dell’istante. Se si adotta una chiave di lettura che pone l’accento sulla lettera del testo del progetto, il diritto all’errore sembra spingere il soccorso oltre ogni limite di sanabilità. Infatti ammettere il ricoso alla sanzione senza richiesta di regolarizzazione in casi tassativi, intendendosi come sanzione anche la negazione della soddisfazione dell’interesse a cui legittimamente si aspira, indirettamente pone in capo all’amministrazione un obbligo comportamentale consistente nell’attivazione nel soccorso, senza alcun espresso discrimine che non sia la malafede o la frode. La stessa malafede viene definita nel testo come consapevole violazione di una norma applicabile (“Est de mauvaise foi, au sens du présent titre, toute personne ayant délibérément méconnu une règle applicable à sa situation”) e in caso di contestazione l’onere di provare la malafede, o la frode, spetta all’amministrazione stessa, al contrario di quanto accade ora in Francia. Se ne evince la volontà di creare una presunzione legislativa per la quale il primo errore del privato deve ritenersi in buona fede salvo prova contraria, sicché costituisce un comportamento illegittimo l’irrogazione della sanzione da parte del decisore pubblico senza che sia stato dato avvio al soccorso procedimentale.

Che il progeto di legge aspiri ad introdurre un principio cardine nei rapporti tra pubblica amministrazione e privati si desume, oltre che dalla volontà politica, anche dalla struttura della norma, che prevede tassative eccezioni all’applicazione di tale principio, che dunque ha portata generale.

L’esclusione riguarda in primisle sanzioni necessarie all’attuazione del diritto comunitario, poiché altrimenti verrebbe violato il principio europeo dell’effetto utile e la Francia potrebbe essere suscettibile di procedure di infrazione. La seconda eccezione trova la sua ratioin un bilanciamento di interessi sensibili e rilevanti, in virtù del quale si escludono dal diritto all’errore le materie della sanità pubblica, della sicurezza di cose e persone e la materia ambientale. In questi casi rilevano interessi pubblici prevalenti sulla volontà di instaurare e preservare un rapporto di fiducia reciproca con gli amministrati. La terza eccezione riguarda le sanzioni previste in un contratto, dal momento che è il contratto stesso a regolare l’assetto di interessi con una normazione specifica applicabile al caso concreto e di natura consensuale, di conseguenza ogni violazione del contratto non può presumersi avvenga in buona fede, essendo senz’altro il contraente a conoscenza del contenuto dello stesso. L’ultima eccezione è costituita dalle sanzioni pronunciate dall’autorità di regolamentazione in merito ai professionisti sottoposti al loro controllo: la ragione dell’impossibilità di presumere la buona fede risiede nella competenza del professionista, la quale porta a presupporre la conoscenza e corretta interpretazione delle norme applicabili e che nella violazione di queste ultime sia insita la malafede.

Uno degli ambiti in cui il diritto all’errore ha un impatto potenzialmente maggiore è quello fiscale, segnatamente riguardo la dichiarazione dei redditi. In caso di dichiarazione recante errori alla prima violazione non sarà prevista una sanzione; inoltre se è lo stesso contribuente a correggersi gli interessi di mora saranno ridotti del 50%, ed essi subiranno una riduzione del 30% anche se sarà la stessa amministrazione ad accorgersi dell’errore e a chiedere la regolarizzazione. Il legislatore si propone di positivizzare l’adagio “colpa confessata, mezza perdonata” (faute avouée, à moitié pardonnée). Altro esempio è stato oggetto dell’apertura delle dichiarazioni di voto nella seduta pubblica in seno all’Assemblea Nazionale: è stato ipotizzato il caso in cui una lavoratrice si trovi in congedo di maternità e decida di tornare a lavorare prima della data prevista senza avvertire il fondo per gli assegni familiari, che continua a versare i sussidi; in questo caso, una volta rilevato l’errore ed esclusa la malafede, la lavoratrice dovrà restituire esclusivamente le somme indebitamente percepite senza incappare in alcuna sanzione.

Dal punto di vista del contesto normativo europeo il diritto all’errore si inserisce nel solco del principio di buona amministrazione. Può essere visto come ulteriore sviluppo dell’articolo 41 della Carta di Nizza, nel quale la dottrina ha ravvisato l’affermazione della buona amministrazione nella duplice veste di diritto (dalla portata più specifica) e principio. In quest’ultimo caso ne è stata riconosciuta la natura matriciale, cioè l’idoneità a fondare ulteriori obblighi in capo all’amministrazione, sempre in una logica di servizio verso il cittadino. Questa lettura è avvalorata dal Codice di buona amministrazione, il quale pur non essendo giuridicamente vincolante, costituisce uno strumento ermenutico importante del principio di buona amministrazione. L’articolo 12 fa espresso riferimento allo “spirito di servizio” a cui il funzionario deve informare la propria azione. All’articolo 15 prevede inoltre che il funzionario debba allertare il cittadino in merito a omissioni ed errori, dandogli la possibilità di correggerli. Il diritto all’errore può essere allora visto come il contraltare soggettivo attivo dell’obbligo gravante in capo al funzionario di attivare un percorso rimediale.

La ventata riformatrice continua a perseguire l’obiettivo di recuperare la fiducia degli amministrati verso gli amministratori, cambiando però metodo: non più e non solo attraverso la trasparenza, ma riconoscendo e venendo incontro alle difficoltà dei cittadini nel rapportarsi con la macchina burocratica-amministrativa. Ci si espone, sì, a rischi legati a comportamenti opportunistici da parte dei privati, ma se l’intento è quello di creare mutua fiducia tali rischi sono l’inevitabile prezzo da pagare.

Va in ultimo considerato che l’affermazione di un diritto all’errore dà la stura ad applicazioni sempre più innovative: in Senato non è stata nascosta la volontà di estendere tale diritto anche nei rapporti interni all’amministrazione, precisamente fra l’amministrazione centrale e quella decentrata per migliorarne le relazioni. È probabile che l’attuale testo subisca ulteriori modifiche, ma la discussion non verte in generale sul diritto all’errore, quanto piuttosto sui limiti di esso nello specifico e sugli interventi normativi mirati nei singoli settori.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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